mercoledì 28 novembre 2007

Citigroup è alla frutta?

Il pendolo è tornato ieri nuovamente verso gli Stati Uniti, con la notizia che il fondo governativo di Abu Dhabi ha chiuso ieri un'operazione finanziaria con la quale investe 7,5 miliardi di dollari in un prestito convertibile che consentirà agli investitori arabi di acquisire, se lo vorranno, il 4,9 per cento delle azioni dell'ormai fragile colosso finanziario statunitense al prezzo di 37,24 dollari per azione, con esercizio della conversione in un periodo compreso tra il 15 marzo del 2010 e il 15 settembre 2011.
Molto più interessante del possibile acquisto futuro con rimpiazzo del principe Bin Al Waleed come primo azionista di Citi è il fatto che il rendimento delle obbligazioni convertibili di cui godranno gli avveduti investitori arabi sarà dell'11 per cento annuo, ben al di sopra di quel 7,3 per cento attualmente corrisposto da Citigroup sulle sue obbligazioni, un tasso che rivela in modo molto evidente le difficoltà in cui versa il gruppo bancario alle prese con una montagna di titoli della finanza strutturata presente nel proprio bilancio ed una altra, di dimensione forse maggiore, parcheggiata presso un numero sterminato di SIV e Conduit.
Come dicevo ieri, la mossa del gruppo bancario numero uno in Europa, la HSBC, consistente nell'acquisire, seppure con sconto, 45 miliardi di assett da due dei suoi sette SIV mette ulteriormente in difficoltà Citigroup e le altre maggiori banche statunitensi, in quanto diventa più difficile per loro sottrarsi agli inviti pressanti delle autorità di vigilanza che chiedono loro trasparenza e, quindi, di rimettere sopra la linea del bilancio quella massa sterminata di CDO, LBO, Commercial Papers e via discorrendo attualmente parcheggiati nei veicoli posti fuori dal bilancio.
Nel frattempo, l'euforia per le vendite nel week end del Thanksgiving Day si è presto dissolta dopo il vero e prorpio tonfo dell'indice del Conference Board che misura la fiducia dei consumatori, indice che ha toccato, in ottobre, il livello più basso degli ultimi due anni, tornando ai livelli toccati dopo il forte impatto emotivo legato al ciclone Katrina che sommerse New Orleans.
Nè qualche conforto è venuto dalla diffusione del dato sul prezzo delle case che ha segnato, nel terzo trimestre di quest'anno, la contrazione maggiore, -4,6 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mai toccata da quando S&P rende noto l'indice, una flessione che conferma peraltro quanto è emerso da un'altra indagine che ha evidenziato un calo dei prezzi delle case su base annua in settembre pari al 4,9 per cento.
Né va sottovalutato l'allarme lanciato in uno studio commissionato a Global Insight dalla conferenza dei sindaci statunitensi e che prevede un calo del valore degli immobili statunitensi nel 2008 del 7 per cento, una flessione cifrabile in 1.200 miliardi di dollari e con conseguenze sull'economia reale e sull'occupazione alquanto pesanti, -166 miliardi per quanto riguarda l'aggregato che misura la creazione di ricchezza degli Stati Uniti.
Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs, e gli analisti di Merrill Lynch concordano almeno su un punto, il forte rialzo delle probabilità di una recessione prossima ventura negli Stati Uniti, ricordo che viene definita tale la variazione negativa del PIL per almeno due trimestri di fila, e, mentre Hatzius vede una Fed particolarmente reattiva e pronta a portare i tassi sui Fed Funds al 3 per cento dall'attuale 4,5 entro la metà del 2008, gli analisti di Merrill giudicano addirittura salutare una fase di recessione che dovrebbe portare ad un punto di equilibrio più sostenibile, anche se le recessioni, mi permetto di dire, si sa quando iniziano ma è raramente chiaro dove portano e, soprattutto, quando finiscono.
L'immissione di liquidità effettuata ieri dalla Federal Reserve e gli annunci della Banca Centrale Europea continuano a non sortire effetti sul mercato interbancario che sia nei tassi a tre mesi sull'eiro che in quelli sulla sterlina inglese continuano a mantenersi a livelli di guardia e che superano, rispettivamente, di 72 e 80 punti basi i tassi ufficiali, segno evidente che, nonostante la decisione presa da HSBC, ancora molto deve emergere dagli off balance sheet e, quindi, la sfiducia reciproca regna sovrana.
Non accenna a placarsi, nel frattempo, la guerra per banche in corso in Italia, in particolare il conflitto tra Intesa-San Paolo e Unicredit Group, mentre vi è molto movimento anche ai livelli immediatamente inferiori della graduatoria delle banche italiane, con continui rumors su possibili vendite e speculari acquisizioni che presentano lo stesso grado di imprevedibilità ex ante che ha avuto l'acquisizione di Antonveneta da parte del gruppo Monte dei Paschi di Siena realizzatasi nelle scorse settimane.
L'ultimo pomo della discordia tra Passera e Profumo è stata la questione delle nomine al vertice di Telecom Italia, in particolare l'attribuzione della carica di capo azienda con pieni poteri a Franco Bernabè, fortemente avversata da Unicredit e fatalmente avvenuta pur in presenza del voto contrario del rappresentante dell'istituto di Piazza Cordusio nel comitato nomine di Mediobanca, venendo così a rappresentare l'ennesima sconfitta in ordine di tempo delle richieste dell'ex ragazzo d'oro della finanza italiana, al momento angustiato anche dall'evidente presenza di mani forti ribassiste sul corso di un titolo che non riesce in alcun modo ad allontanarsi dall'area dei 5,60 euro.
Una bella consolazione è venuta a Profumo dall'attribuzione, avvenuta due giorni fa a Londra, del titolo di banchiere dell'anno ad opera della rivista Financial News, mentre, per The Banker, Unicredit Group è la igliore banca nell'Europa centrale e in quella dell'Est.
Alla lista delle banche investigate da Banca d'Italia per la questione dei derivati, si è aggiunta, anche se è stata definita di routine, un'ispezione della Vigilanza presso la sede milanese della Banca Popolare di Milano, attualmente alle prese con le aspirazioni del gruppo francese Credit Mutuel.