venerdì 23 novembre 2007

Servono nuove regole per questo finance casinò



Mentre Paulson, Blankfein, Rubin, Bernanke e tutti gli altri protagonisti del mercato finanziario statunitense sono impegnati a mangiare il tacchino ed i dolci tradizionali di quella ricorrenza così cara agli americani come è il giorno del ringraziamento, il resto del mondo ha vissuto una giornata in relativo surplace, con qualche tonfo nell’Asia di matrice cinese ed un relativo pari e patta della borsa di Tokyo, mentre agli europei non è parso vero di vivere una giornata che si conclude tra le 17 e le 18, senza l’incubo di quello che poi accadrà nelle ore successive a Wall Street.

L’andamento delle quotazioni di ieri ha, inoltre, confermato i sospetti sulla patria di origine di molti di coloro che stanno giocando apertamente al ribasso sulle azioni delle principali banche europee, certi, come lo era Gorge Soros quando scommise sulla svalutazione di sterlina e lira italiana nel 1992, che vi sarà sempre un livello più basso al quale ricoprirsi con lauti se non cautissimi guadagni.

L’assenza di dichiarazioni dei pezzi grossi di quell’enorme casinò all’aperto che è ormai il mercato finanziario statunitense ha ridato la voce al Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che, parlando a Francoforte, si è ricordato della pericolosità di quegli stessi hedge funds, che, da presidente del Financial Stability Forum, aveva graziato non più tardi di cinque mesi, alla vigilia dell’avvio della “tempesta perfetta”, chiedendo oggi che qualcuno, chi?, deve decidersi ad imporre regole più severe.

Ma il punto più toccante del suo discorso è stato certamente il passaggio che ha voluto dedicare allo sconcerto imperante sulla questione della vendita di derivati, confermando con approccio scientifico che quello che prevale è un modello Origineted to Distribute (OtD), modo alquanto elegante per dire che, in realtà, banche e compagnie di assicurazione hanno trasferito gran parte dei loro rischi ad una clientela fatta di piccole e medie imprese, nonché di voraci amministratori di enti locali di ogni ordine e grado, si tratterebbe quindi della vecchia storia dell’offerta che crea la propria domanda.

Ma una volta fatte queste affermazioni e rilevato che ciò non è proprio un bel modo di agire (almeno ad avviso di chi aveva inaugurato il suo governatorato pronunciando una parola, reputazione e rischi reputazionali, il cui significato molti banchieri andarono di corsa a controllare sul dizionario), Draghi si è dato anche una risposta, chiarendo che molto difficilmente banche e compagnie di assicurazione vorranno rinunciare a queste cattive pratiche, al che i più hanno pensato che a parlare non era un decision maker italiano, europeo ed anche mondiale, ma un passante in vena di esternare le sue considerazioni.

In una giornata così fiacca, risalta con maggiore evidenza la persistente tendenza al rialzo dei tassi interbancari, senza distinzione per valuta di riferimento, ed è possibile notare che, in particolare quelli sulla sterlina inglese e sull’euro, gradino dopo gradino, stanno tornando pericolosamente vicino ai livelli toccati nelle settimane più calde di agosto e settembre, segno evidente che la sfiducia reciproca tra le banche sta velocemente tornando a toccare livelli di guardia, con l’aggravante che tutto quello che poteva essere tentato dalle banche centrali in materia di iniezioni di liquidità e di riduzioni dei tassi di interesse è stato già messo in atto e che, oltre questo, vi sarebbe solo la perdita di credibilità degli stessi banchieri centrali.

In un breve lancio, l’Associated Press ha fatto il conto dei morti e dei feriti dopo la brusca flessione segnata mercoledì a Wall Street, con tutte le investment bank, fatta eccezione ovviamente per Goldman Sachs, ormai a i minimi delle ultime 52 settimane, in gran parte per le speculazioni sempre più diffuse sulla scarsa attendibilità dei loro bilanci e per l’impatto delle nuove norme contabili sul quarto trimestre e su quelli successivi.

Sempre mercoledì, è stato finalmente annunciato il nome della istituzione che gestirà l’ancora non nato MLEC, il fondo interbancario che dovrà accogliere la montagna, o almeno una parte di essa, di titoli della finanza strutturata che stanno letteralmente soffocando le banche dei cinque continenti, un nome, quello della BlackRock Inc., che, pur dicendo poco a noi europei, è in realtà il più grande money manager statunitense e gestisce assett per ben 1.300 miliardi di dollari.

Nei giorni scorsi, riportavo la cifra dei superbonus che verranno erogati, tra poche settimane a Wall Street, ma ho poi scoperto che la cifra, già molto elevata, si riferiva soltanto alle prime cinque banche statunitensi, mentre allargando l’attenzione alle prime sette banche si raggiunge la cifra di ben 95 miliardi di dollari già maturati nei primi due trimestri dell’anno e si apprende che tale cifra sarà solo parzialmente decurtata per i disastrosi dati dei due trimestri successivi.

A dispetto delle incertezze e dei tentennamenti di Draghi e degli altri banchieri centrali è ormai giunta l’ora di individuare in tempi rapidi un nuovo sistema di regole che impedisca questa continua traslazione del rischio e la pressoché totale impunità di quanti, a tutti i livelli, se ne rendono colpevoli, così come non è più derogabile una riflessione profonda sui meccanismi di remunerazione dei top manager e dei loro più stretti collaboratori, almeno prevedendo che ai più che lauti e spesso immotivati premi corrisponda un chiaro e trasparente sistema sanzionatorio.

Sempre approfittando della vacanza dei mercati statunitensi, vorrei inoltre fare qualche considerazione sulla vera e propria montagna di bond, in almeno un caso multipli dello stesso fatturato, che sono stati emessi dalle principali società italiane, spesso emessi utilizzando veicoli esteri, per un ammontare che supera i 100 miliardi di euro per le sole prime tre società per capitalizzazione di borsa, così come ricordo, a solo titolo di memoria, che, anche dopo i casi Parmalat, Cirio e Giacomelli e l’emanazione di una legge che dovrebbe tutelare i risparmiatori, non esistono ancora previsioni atte a scongiurare l’ipotesi di un default prossimo venturo

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