mercoledì 5 dicembre 2007

Il pessimo esempio dei vigilantes britannici


Se c’era qualche dubbio sull’esattezza della diagnosi dell’economista statunitense Paul Krugman, che, è utile ricordarlo sosteneva che i banchieri e la miriade di altri soggetti che popolano il mercato finanziario USA e quello globale “appaiono veramente terrorizzati, perché si sono improvvisamente accorti che non capiscono il complesso sistema finanziario che hanno creato”, quello che sta accadendo in queste convulse giornate provvede con grande evidenza a fugarli.

Mentre, infatti, pochi sembrano ritenere che la nuova ricetta di Henry Paulson, che come nel bel romanzo di Mack Reynold, Effetto domino, propone di tornare là dove tutto è iniziato, nell’immenso mercato da 11 mila miliardi di dollari dei mutui immobiliari statunitensi, disinnescando, attraverso un opportuno congelamento delle condizioni, la mina rappresentata da quegli infernali marchingegni che promettevano tassi molto bassi nei primi due-tre anni, per poi passare a tassi ben più elevati nelle decadi successive, cominciano a vacillira significativamente i due pilastri semipubblici rappresentati dal gigante Fannie Mae e il suo ben più piccolo rivale Freddie Mac.

Fannie Mae, che finanzia o garantisce un quinto dei mutui residenziali statunitensi, ha annunciato un taglio dei suoi ormai improbabili dividendi a partire dal primo trimestre del prossimo anno ed è alla ricerca un po’ affannosa di denaro fresco, mediante l’emissione di azioni privilegiate per 7 miliardi di dollari, una goccia per un’entità finanziaria che presenta un attivo, per quanto traballante, superiore ai 2.400 miliardi di dollari, con il mercato che non ci ha pensato due volte e ha abbondantemente venduto le azioni di Fannie e, tanto per non sbagliare, ha alleggerito anche le proprie posizioni lunghe su Freddie.

E’, peraltro, diventato difficile tenere dietro alla raffica di profit warning, downgrade incrociati (a solo titolo di esempio, Goldman Sachs ha abbassato le valutazioni di buona parte del listino finanziario statunitense ed è stata a sua volta degradata da un’altra rinomata casa d’affari), mentre risparmiatori ed investitori istituzionali, non sapendo bene che pesci pigliare, vendono un po’ di tutto, facendo abortire sul nascere quel tentativo di recupero delle quotazioni di banche e finanziarie seguito alle speranze accese dalle parole molto accomodanti di Ben Bernanke e dal piano di Paulson.

Il duello tra J.P. Morgan-Chase e Goldman Sachs, una sfida condotta a colpi dei dossier dei rispettivi analisti, chiarisce, peraltro, una volta di più che, qualunque sia l’esito finale di questa crisi finanziaria, non vi sono più dubbi che si andrà ad una semplificazione, a colpi di acquisizioni, della struttura alquanto variegata che si colloca al vertice del sistema finanziario statunitense.

Al pari del piano di Paulson, anche il recente rally del dollaro sembra già esaurirsi e riprende il rafforzamento dello yen (che in realtà aveva dato buona prova anche nelle sedute precedenti) nei confronti della valuta statunitense ed anche l’euro si sta riaccostando, nonostante gli sforzi delle banche centrali, a quota 1,48 dollari, un fallimento di rimbalzo che, come sa chiunque abbia dimestichezza del mercato valutario, potrebbe preludere a nuovi test della soglia psicologica degli 1,50 dollari e dei 105 yen.
Come già scrivevo nell’articolo del 3 settembre scorso che ha dato l’avvio al diario della crisi finanziaria, la vera incognita, oltre alle immense dimensioni della finanza strutturata, era rappresentato dalla capacità delle banche centrali di gestire un passaggio difficilissimo e disseminato di colli di bottiglia soprattutto sul piano della liquidità, o meglio della illiquidità, presente nel mercato interbancario.

E’, a questo proposito, realmente sconvolgente scoprire oggi che autorevoli esponenti delle istituzioni preposte a vario titolo, in Gran Bretagna, alla sorveglianza dei soggetti del mercato finanziario britannico si erano incontrati il 9 agosto, il giorno del maxi intervento della BCE, ed avevano già pianificato il da farsi nel caso, poi verificatosi, dell’insorgere di gravi problemi in una banca da loro sorvegliata.

L’inefficacia e la tardività degli interventi nel caso della Northern Rock sono ormai storia, ma si apprende solo ora che la totale garanzia dei depositi della banca sull’orlo del fallimento era solo teorica, in quanto solo in questi giorni è stato raggiunto un accordo sulla tutt’altro che irrilevante questione della tecnicalità sottesa all’eventuale esecuzione della garanzia sbandierata ai quattro venti in quelle infuocate giornate di settembre e che servì a diradare quelle chilometriche file di clienti impegnati nel loro disperato tentativo di riprendersi i loro risparmi.

Sempre in Gran Bretagna, ormai anche i giornali popolari aprono le loro edizioni sulle preoccupazioni per le conseguenze sul costo delle rate dei mutui indicizzati derivanti dalla nuova impennata dei tassi di interesse sul mercato interbancario, un rialzo che tocca peraltro anche la scadenza estremamente sensibile del mese alla quale, ancor più che a quella atre mesi, sono indicizzati la maggior parte dei mutui variabili, le carte di credito revolving ed altre forme di finanziamenti indicizzati, con la parte relativa ai soli mutui che potrebbe mettere in serie difficoltà 1,5 milioni di famiglie britanniche.

L’allarme lanciato dal commissario alla concorrenza dell’Unione europea, Neelie Kroes non ha certo aiutato la situazione, anche per la vaghezza di riferimenti sulle due banche coinvolte, lasciando agli operatori ed ai risparmiatori l’arduo compito di individuare l’identità delle due banche citate, il che ha, a sua volta, prodotto ribassi un po’ indiscriminati che hanno, in particolare colpito le banche francesi, ma non hanno risparmiato i colossi del credito di altri paesi europei.

Mentre siamo tutti in attesa, e non sarà breve, di un’articolazione operativa della proposta di sorveglianza creditizia sopranazionale avanzata da Tommaso Padoa Schioppa, segnalo che, come è già accaduto questa estate, alla opposizione tedesca si sono è già accodata la maggior parte dei new comers della UE.

Mentre fervono le iniziative di commemorazione di Enrico Cuccia, la principale delle quali è stata officiata da Cesare Geronzi, credo che sarebbe di pubblica utilità la ristampa del documentatissimo libro di Fabio Tamburini dedicato al banchiere scomparso ed intitolato Un siciliano a Milano, per i tipi dell’editore Longanesi.

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