martedì 11 dicembre 2007

Le bugie, anche nella finanza, hanno le gambe corte


Nel mercato finanziario, come del resto in tutti gli ambiti dell’attività umana, le bugie hanno le gambe corte e questo vale a maggior ragione quando si ha a che fare con le banche globali, non proprio dei modelli di trasparenza e di attenzione al rischi reputazionale.

A cadere in contraddizione con le ripetute smentite sull’esistenza di un grosso problema con i titoli della finanza strutturata, è stavolta la UBS, il colosso creditizio svizzero con grande proiezione internazionale che ieri ha dovuto ammettere svalutazioni sulle varie tipologie di titoli in suo possesso per ulteriori 10 miliardi di dollari, ma l’annuncio è stato dato solo dopo che in soccorso della banca svizzera è giunto il fondo governativo di Singapore e, seppur in misura più ridotta un non meglio precisato investitore mediorientale.

Il Singapore Investment Corp. Ha acquisito il 9 per cento delle azioni di UBS per 9,75 miliardi di dollari, mentre il non meglio precisato investitore arabo si è dovuto accontentare di una quota azionaria più modesta, avendo sborsato solo 1,77 miliardi di dollari e, a quanto pare, né l’uno né l’altro hanno chiesto di avere propri rappresentanti nel board of directors di UBS.

Per avere un’idea della entità della svalutazione comunicata ieri, basti pensare che, con riferimento al terribile terzo trimestre, UBS aveva operato svalutazioni su titoli della finanza strutturata per soli 3,4 miliardi di dollari e che fu la prima tra le entità creditizie europee a comunicare di aver contratto il contagio statunitense, anche se in forma ed entità molto lontane da quelle rese note solo dopo aver messo sufficiente fieno in cascina, anzi, in realtà, assicurandosi mezzi freschi eccedenti il fabbisogno per ben 1,5 miliardi di dollari, il che, per una banca che comunicherà una perdita per il quarto trimestre e per l’intero esercizio, non era del tutto scontato.

Di molto meno si è dovuto accontentare il numero uno delle compagnie statunitensi che garantiscono i prestiti, la MBIA, che è stata sospesa ieri dalle contrattazioni a causa dell’annuncio di un finanziamento da Warburg Pincus per appena un miliardo di dollari, somma che era assolutamente necessaria per evitare la perdita della tripla A, o rating equivalente, dalle principali società di rating.

A proposito delle società di rating, sotto accusa in questi mesi al di qua e al di là dell’Oceano per il comportamento non proprio esemplare tenuto in questi anni, si è appreso in questi giorni che hanno provveduto a degradare, con buona pace dei possessori, poco meno di 20 mila emissioni precedentemente da loro stesse considerate come oro zecchino, spesso incassando una lauta commissione per il rating ed un’altra per la preziosa consulenza prestata agli emittenti di quei titoli che adesso sono valutati dal mercato al di sotto delle obbligazioni spazzatura.

A sollevare un po’ gli animi è poi giunta la notizia, riportata in una corrispondenza de Il Sole 24 Ore, della transazione fatta con la SEC da William McGuire, un tempo amministratore delegato di United Health, che ha accettato di pagare 618 milioni di dollari per sanare il contenzioso con l’organo di vigilanza e con gli azionisti per la allegra pratica di retrodatare opportunamente le vagonate di stock option che riceveva dalla società, anche se non andrà per questo in miseria perché, tra stock option giudicate legittime e i sudati stipendi, ha messo da parte oltre 1,3 miliardi di dollari.

McGuire, peraltro, si trova in buona compagnia, in quanto sono 120 le società accusate di aver consentito ai loro top manager di fissare a loro piacimento la data a cui retrodatare le proprie stock option e almeno 80 i manager che hanno perso il posto a seguito dell’investigazione a tappeto effettuata a loro carico dalla Securities and Exchange Commission.

Nella ressa di improbabili acquirenti della disastrata Northern Rock, fatta di private equity, hedge fund e un simpatico self man inglese non noto per il suo profilo di banchiere, si è finalmente fatto avanti uno del mestiere, Luqman Arnold, ex numero uno di UBS, ora a capo della società di investimenti Olivant Advisers, che ha messo sul piatto 800 milioni di sterline per il 15 per cento del pacchetto azionario ed ha affermato che la caratteristica distintiva della sua offerta è quella di non puntare, come fanno invece gli altri pretendenti, ad ottenere il controllo di Northern.

Se qualcuno si aspettava rovesci sulle borse europee e su quella statunitense dopo la maxi svalutazione di UBS e il salvataggio di MBIA, è rimasto certamente deluso, in quanto, non solo le azioni delle due entità citate, ma anche il comparto finanziario quasi nella sua interezza hanno vissuto una giornata assolutamente tranquilla e caratterizzata anche da qualche brillante performance, un comportamento un po’ schizofrenico ma che ha alla sua base la valutazione che, finché ci sono salvatori e margini in cassa, anche le cattive notizie non sono poi così brutte.

Il vero elemento di preoccupazione continua ad essere rappresentato dalla scarsa condizione di liquidità in cui continua a versare il mercato interbancario dell’area euro e quello britannico che nelle scadenze cui sono legati la maggior parte dei mutui e prestiti indicizzati continuano a segnalare differenziali rispetto ai tassi ufficiali stabiliti dalle banche centrali che sono ormai pari al punto percentuale nel caso dell'euro e addirittura di 110 punti base per i tassi a 3 mesi sulla sterlina.

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