giovedì 6 dicembre 2007

Lo sceriffo Cuomo getta nel panico i banchieri


Non hanno avuto il tempo per rallegrarsi dell’uscita di scena dello sceriffo Spitzer i boss delle maggiori banche e case di investimento di Wall Street, che ecco che un nuovo spauracchio appare all’orizzonte e giusto in tempo per guastare gli allegri festini di fine anno, nei quali, tra bottiglie di champagne e tavole riccamente imbandite, si aprono le buste contenenti bonus e superbonus destinati a top manager e semplici manager delle varie entità che popolano il mercato finanziario statunitense.

Il nuovo sceriffo ha un cognome importante nella grande mela, si chiama Andrew Cuomo ed è l’Attorney General della procura dello Stato di New York, che ha deciso di mettere sotto indagine il Gotha della finanza statunitense e le banche globali operanti negli Usa per gli eventuali reati commessi nella gigantesca traslazione del rischio dalle banche agli investitori istituzionali e ai semplici risparmiatori.

L’indagine tocca anche il controverso rapporto tra le banche e le società di rating che avevano il compito di certificare la qualità dei titoli della finanza strutturata emessi, ma che ricevevano lauti compensi per le consulenze che prestavano alle stesse banche per servizi che consistevano nel suggerire il modo migliore per realizzare l’impacchettamento mediante soluzioni, a volte, talmente complessi e astrusi che è ancor oggi difficile attribuire un valore ragionevole a buona parte di questa carta.

Anche se lo stile ed i metodi di Cuomo sono alquanti diversi da quelli che caratterizzavano il suo predecessore, è difficile dimenticare, ad esempio, la massiccia retata che agenti dell’FBI in tenuta antisommossa effettuarono anni fa negli uffici di banche e finanziarie di New York in pieno orario di lavoro e in diretta televisiva, credo che la preoccupazione dei vertici delle entità indagate sia oggi molto maggiore di quella che provavano ai tempi dello sceriffo Spitzer.

D’altra parte, il maggior timore trae fondamento da quello che è avvenuto in questi anni, una vera e propria trasformazione genetica del mestiere del banchiere, un mestiere che traeva la sua ragion d’essere dall’intermediazione creditizia e da quel proverbiale fiuto dell’addetto ai lavori nella delicata attività di pesare e valutare colui che chiedeva un finanziamento che nasceva e moriva nella banca che lo aveva concesso, mentre tutto questo, con la finanziarizzazione spinta, è divenuto pressochè superfluo, anche perché spesso il tempo che intercorreva dalla concessione alla cessione si misurava in poche ore.

Di fronte all’evidente scetticismo dei mercati sulle possibilità di concretizzazione del piano annunciato da Henry Paulson sul congelamento degli interessi sui mutui subprime ed indicizzati in generale, anche Bush ha deciso di rompere gli indugi e ha fatto sapere che seguirà personalmente il dossier, forte anche dell’esperienza personale vissuta al tempo del disastro delle casse di risparmio statunitensi negli anni Novanta (il futuro presidente era al vertice di una di queste in texas), un salvataggio che costò ben 125 miliardi di dollari ma evitò un’ondata di fallimenti che avrebbe avuto un costo finale per un ammontare oltre tre volte superiore.

E’ quasi esilarante che, solo ieri, Il Sole 24 Ore ha dedicato un corsivo al conflitto di interessi che caratterizza Henry Paulson, oggi ministro del Tesoro Usa ma, fino a poco tempo fa, potentissimo numero uno di Goldman Sachs, cosa che induce a ritenere che tra qualche tempo il quotidiano della Confindustria, che si è peraltro recentemente quotato in borsa seguendo pedissequamente lo schema adottato dal più grande private equity statunitense qualche mese orsono, dedicherà un’accurata inchiesta alle ben più stridenti stranezze che caratterizzano il passato, il presente e lo stesso futuro prevedibile di Goldman Sachs .

Come era facile prevedere, sta tramontando rapidamente la possibilità che Virgin o qualcuno degli altri dipendenti possa acquisire il controllo di Northern Rock e questo non per lo scandalo legato ai benefici fiscali impropriamente goduti dalla disastrata banca britannica, ma per la inconsistenza degli affidamenti bancari necessari per completare l’acquisizione, il che apre una sola strada per evitare il fallimento della banca e che è rappresentata dalla possibile nazionalizzazione.

Sempre a proposito della ormai celebre Northern, stupisce che nessuno si sia stupito del fatto che nessuna banca basata in Gran Bretagna, né peraltro nessuna banca di nessuna parte del pianeta abbia avanzato un’offerta per acquisire il controllo dell’ottava banca britannica (quinta nell’erogazione di mutui immobiliari), ma che a farsi avanti siano stati un hedge fund, un private equity e un personaggio certamente originale e poliedrico quale certamente è l’ineffabile Richard Branson.

Nel frattempo, l’ulteriore rialzo dei tassi sul mercato interbancario europeo, un rialzo che assomiglia ormai ad una traslazione verso l’alto in quanto riguarda quasi tutte le scadenze, segnala che la caccia per individuare le due grandi banche cui faceva riferimento il commissario UE, Neelie Kroes, è ben lungi dall’essersi conclusa, mentre, come era altrettanto prevedibile, l’Ecofin si è preso una bella pausa di riflessione sul progetto di sorveglianza unica transfrontaliera avanzato dal ministro italiano dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa.

Se L’unione europea si rivela sempre più una sorta di Torre di Babele, non sta certamente messo meglio il board della Banca Centrale Europea, un organismo presieduto dal navigatissimo Jean Paul Triche e letteralmente dilaniato da uno scontro interno tra l’ala templare olandese e tedesca, vera erede dello spirito della Bundesbank e quei pochi membri che, consapevoli dei rischi connessi all’attuale crisi, vorrebbe mettersi sulla scia della Federal Reserve, che tra qualche giorno concederà quasi certamente al mercato finanziario quello che il mercato pretende e cioè il terzo ribasso consecutivo del tasso sui Fed Funds e forse anche un ulteriore ritocco al tasso ufficiale di sconto.

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