venerdì 11 gennaio 2008

Il principe azzurro di Countrywide


La crisi finanziaria sta assumendo dei ritmi ed una velocità quasi sorprendenti e gli avvenimenti di ieri stanno lì a testimoniarlo in modo evidente, in quanto non avevo quasi finito di descrivere l’ansia dei mercati per le sorti di due colossi dei rispettivi ma intrecciati settori, Countrywide leader dei mutui più o meno residenziali e MBIA il gigante delle assicurazioni specializzato nelle garanzie sempre più costose alle emissioni di bond, che, a poche ore dall’inizio delle contrattazioni a Wall Street, l’azione di Countrywide ha preso letteralmente il volo sull’onda dell’anticipazione di un concreto interesse di Bank of America per l’ormai dissestata banca specializzata californiana da giorni in caduta libera per le voci sempre più ricorrenti di un possibile ricorso alla protezione della legge fallimentare.

In realtà, i primi fuochi di artificio sul titolo si sono visti prima della notizia e dettagliate ricostruzioni parlano di un movimento rilevante di opzioni che hanno determinato guadagni milionari per una nutrita pattuglia di ben informati, ma di questo si occuperanno a tempo debito gli occhiuti e solerti funzionari della SEC, che da tempo hanno sotto esame la posizione del combattivo ed alquanto spregiudicato numero uno di Countrywide, Angelo Mozilo.

Se otterrà l’infinito numero di autorizzazioni, a partire di quella della Federal Reserve, Bank of America assumerà dimensioni decisamente gigantesche, in quanto la banca, con sede anche essa in California, già è in lizza con la traballante Citigroup per il primo posto nella graduatoria delle banche statunitensi, ma, acquistando l’enorme parco mutui di Countrywide, oltre all’indiscussa primazia sul suolo a stelle e striscie, entrerà nel ristretto gruppo delle prime banche globali, pur se alle dimensioni vanno accompagnate fastidiose considerazioni sulla qualità e la redditività degli assett, così come, quasi certamente, nessuno batterà Bank of America per svalutazioni sui crediti in questo e negli anni immediatamente a venire.

D’altra parte, come sostenevo nelle puntate precedenti, una delle caratteristiche distintive di questa crisi finanziaria sarà, con ogni probabilità, l’accelerazione estrema di un processo di consolidamento e concentrazione di un mercato finanziario, quale quello statunitense, che si è caratterizzato sino per avere, a fianco di grandi colossi in ognuno dei principali segmenti che lo compongono, una pletora infinita di entità di ogni ordine e rango che, pur consentendo una salutare diversificazione dell’offerta, hanno, nel loro insieme, contribuito a determinare lo scenario che ha visto proliferare il trasferimento massiccio del rischio che si è poi in buona parte incagliata presso quelle grandi banche che sono caratterizzate da una minore agilità nel muoversi tra i meandri della alquanto accomodante legislazione fallimentare in vigore negli Stati Uniti e sono, pertanto, rimaste con il cerino in mano.

Ho provato francamente un po’ di tenerezza di fronte al diluvio di articoli apparsi ieri e nei quali i loro autori si interrogano sulla posizione che Bush, Bernanke e gli altri responsabili di Authorities ed agenzie assumeranno nei confronti dell’ormai certa offerta di acquisto da parte di Bank of Americano, anche perché forse gli stessi autori erano lontani dalle stanze dove gli autorizzatori brindavano con lo champagne insieme ai loro collaboratori, tutti entusiasti per la bella notizia e per il fatto che veniva disinnescata una mina che, a partire da Calabasas (California), rischiava davvero di innescare una reazione a catena della quale nessuno sente, alla luce dei sufficienti guai attuali, il bisogno.

Ma se questo non bastasse, credo francamente che, oltre che sulla scontata approvazione da parte di Bush e, stavo per scrivere del governo, ma, come dicono quotidianamente Hillary Clinton e Barak Obama, sarebbe meglio parlare di quel comitato di affari posto a tutela da sette anni degli interessi delle grandi corporations, dei petrolieri, delle banche e delle compagnie di assicurazione, altrettanto scontato sarà l’avallo di quello che continuo dopo anni a chiamare il nuovo presidente della Fed, anche perché il nostro, sempre ieri, ha finalmente gettato la maschera, annunciando che continuerà a tagliare i tassi di interesse finché serve, esattamente quello che ha detto e fatto il Maestro Alan Greenspan prima di lui, un Greenspan che, non a caso, è secondo molti il vero responsabile del proliferare di quel meccanismo infernale di trasferimento del rischio che da mesi si è inceppato determinando l’avvio della tempesta perfetta.

Restando in attesa degli ulteriori e certamente interessanti sviluppi della risistemazione del mercato finanziario statunitense, una semplificazione che renderà più agevole leggere le certamente più smilze graduatorie settoriali, non posso esimermi dal ricordare che questo processo non sarà certo indolore, in particolare sul versante dell’occupazione nel settore, con ridimensionamenti degli organici che rischiano di oscurare le 200 mile vittime (90 mila solo nel settore del mortgage) del 2007, così come è difficile trascurare gli effetti su una clientela già oggi colpita dalla restrizione del credito e da condizioni sempre più onerose di un’offerta sempre più concentrata su un numero sempre minore di soggetti.

Cosa accadrà su questo versante in Europa? Credo proprio che, al netto dei ritardi dovuti alle regole sulla pubblicazione dei bilanci, l’ora della verità stia per scoccare anche nel vecchio continente, così come in Gran Bretagna e nell’extracomunitaria Svizzera, e che anche da noi il processo di concentrazione a livello nazionale e transnazionale farà, in questo e negli anni a seguire, dei passi da gigante e che questo riguarderà anche quei paesi, come l’Italia, che su questo fronte hanno già fatto tanto e non sempre con risultati brillanti.

Ricordavo ieri le fibrillazioni in corso nei due principali gruppi bancari italiani, in particolare lo deflagrazione dello scontro tra il CdA del Banco di Sicilia, controllata al quadrato di Unicredit Group in quanto in precedenza controllata con garbo da Capitalia, e l’istituto di Piazza Cordusio, con la decisione presa in teleconferenza con la Patagonia (dove è in meritata vacanza l’amministratore delegato Anselmi) di licenziare il direttore generale inviato da Milano e nominarne un altro con l’aggiunta di quattro vice direttori generali, decisione che ha indotto un inviperito Alessandro Profumo ad annullare tutto in vista dell’incontro con il riottoso presidente del Banco e Totò Cuffaro, Governatore della Sicilia.

Per sovra mercato e tanto per fare qualcosa, è stato anche licenziato Carfì, sindacalista storico della CGIL che aveva, tra l’altro denunciato alla magistratura, uno strano giro di mutui erogati dalla sede di Roma del BdS ad un solo cliente, vicenda sulla quale la magistratura doverosamente indaga, mentre per Unicredit Group non vi sarebbe assolutamente nulla di anomalo, mentre per me è anomalo licenziare un sindacalista colpevole di fare, a 360 gradi, il suo mestiere.

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