venerdì 4 gennaio 2008

Naufraghi nella tempesta perfetta


Ho preso in esame più di una volta il problema dell’indebitamento crescente dei cittadini statunitensi via utilizzo delle carte di credito, in particolare di quelle del tipo revolving che consentono la rateazione della restituzione delle spese effettuate, anche perché, inariditosi il canale del rifinanziamento del mutuo che era possibile quando il valore delle case era in continua crescita, gli onnivori consumatori made in USA hanno preso a dare fondo a quell’unico strumento di agevole utilizzo che gli era rimasto e cioè, appunto, le numerose tesserine di plastica di cui dispongono.

Non è quindi un caso se, secondo gli ultimi dati resi noti dalla Federal Riserve, l’indebitamento complessivo legato alle carte di plastica si è portato al record storico di 920 miliardi di dollari (dato, peraltro, approssimato per largo difetto in quanto l’indagine della Fed non copre tutti gli emittenti delle carte medesime), ma la notizia di ieri è che le banche e gli altri emittenti stanno applicando, a fronte del ritardo, anche minimo, nei pagamenti, una penalizzazione dei tassi che porta gli stessi al livello del 30 per cento ed in alcuni casi a livelli anche superiori..

Nel clima non certo sereno che si respira in questi mesi nel mercato finanziario statunitense e mentre si moltiplicano le denunce di comportamenti scorretti da parte delle banche e delle finanziarie a danno dei loro clienti, le denunce sempre più numerose dei cittadini e di associazioni dei risparmiatori in merito all’applicazione di questi veri e propri tassi di usura ha trovato orecchie attente nei palazzi della politica, con l’avvio, per decisione bipartisan, di una indagine ad hoc che va ad aggiungersi alle molteplici iniziative del Congresso sui comportamenti tenuti dalle banche operanti negli Stati Uniti d’America nella concessione dei mutui e nella creazione e nella vendita di quella montagna di titoli della finanza strutturata che è, in fondo, la vera causa della attuale crisi finanziaria.

La notizia ha fatto ieri il giro dei siti web e delle edizioni online dei gionali statunitensi, per non parlare dei tele e radio giornali, e, ne sono certo, sarà presente oggi, con dovizia di storie personali, sui quotidiani americani di ogni ordine e rango, favorendo un aumento, se possibile, della visione altamente negativa che consumatori e risparmiatori di oltre atlantico hanno dei variegati soggetti che popolano il mercato finanziario, non che le cose vadano negli in Europa o in Asia.

Così come ritengo che i principali commentatori statunitensi non dimenticheranno di sottolineare i guasti del modello originate to distribuite che tanta parte ha avuto nella genesi dei guai odierni, quel modello che, per dirne una, prevedeva l’offerta massiccia di prestiti, mutui, carte di credito di ogni genere, anche e molto spesso in assenza di una richiesta da parte del cittadino che si trovava la buca delle lettere letteralmente intasata da depliant, lettere e, a volte, involucri colorati contenenti la carta di credito che gli veniva così sollecitamente proposta.

L’aspetto più odioso di questa vicenda non è tanto l’estensione di queste pratiche di tasso penalizzante anche ai clienti con un punteggio di credito elevato (negli USA si usa così), ma quanto l’applicazione invalsa in precedenza di colpire con queste vere e proprie mazzate soltanto, o soprattutto, proprio i clienti cosiddetti marginali, che, spesso, a causa di queste pratiche, erano costretti a chiedere il fallimento personale, un istituto che recenti leggi hanno reso più penalizzante per il richiedente, ma che consente ancor oggi un certo grado di protezione nei confronti della famelicità dei creditori.

Così come largo spazio verrà dato al fatto che, a differenza dei mutui residenziali, delle vendite a rate di auto o elettrodomestici, nel caso delle carte di credito non vi è alcuna forma di garanzia reale e le banche e gli altri emittenti corrono il rischio concreto di trovarsi in mano con il classico pugno di mosche, il che, se peggiore la situazione prospettica della redditività di queste entità finanziarie, non costituisce certo un valido motivo per queste vere e proprie pratiche predatorie..

Per quanto riguarda le notizie economiche di ieri, la soddisfazione con cui è stata accolta la crescita degli ordini all’industria in dicembre (+1,5 per cento rispetto al mese precedente) e la riduzione delle nuove richieste dei sussidi di disoccupazione, rende bene l’idea di come gli operatori si attacchino ormai a tutto, anche ad un rialzo degli ordini che sarebbe negativo senza la componente legata all’aumento del prezzo del petrolio, giunto ormai a 100 dollari al barile, o ad una riduzione dei sussidi non destagionalizzata dal non trascurabile fattore stagionale rappresentato dal riferimento al periodo natalizio, un periodo nel quale le occasioni di lavoro temporaneo sono molteplici.

Le illusioni, come si sà, durano poco e, infatti il rimbalzo dei listini si è presto ridotto a ben poca cosa rispetto ai forti ribassi delle sedute precedenti, con le banche che si trovano a testare ogni giorno nuovi minimi e anche le azioni degli altri comparti che non mostrano particolari segni di salute, mentre, sul fronte valutario, il rafforzamento più volte segnalato dello yen è giunto ormai a livelli (108 yen per dollaro ieri mattina in Europa) da fare scattare le stop loss dei carry trader.

Devo confessare che, leggendo l’avventura vissuta dal numero uno di Unicredit Group, Alessandro Profumo, che, in compagnia della moglie e di due coppie di amici, ha fatto naufragio alle Maldive ed è stato costretto ad aspettare per nove giorni i soccorsi, non ho potuto non pensare, al netto della ovvia e doverosa solidarietà per gli sventurati naufraghi, al valore simbolico della disavventura di un brillante banchiere che accade proprio nel bel mezzo della tempesta perfetta, come ormai i commentatori usano definire questa lunghissima crisi finanziaria, né la notizia dell’avvenuto salvataggio e dell’avvenuto rientro in Italia dell’ex golden boy della finanza italiana è riuscita a risollevare le sorti di un’azione, quella di Unicredit, che sembra ormai colpita dalla sindrome di una malattia chiamata Capitalia.

Una malattia che tocca il suo apice nei non proprio idilliaci rapporti intercorrenti tra Profumo e il presidente pro tempore (credo poco tempore) del Banco di Sicilia, rapporti che non sono certo migliorati dopo l’allontanamento, almeno stando a quanto riferiscono oggi alcuni articoli di stampa, disposto dal focoso presidente del CdA dell’istituto siciliano, del nuovo capo del personale inviato direttamente da Milano a normalizzare i rapporti sindacali e più in generale quelli con i dipendenti, entrambi a forte vocazione autonomistica.

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