giovedì 28 febbraio 2008

Il cow boy Bernanke alle prese con la trappola della liquidità


Una vera e propria pioggia di dati negativi provenienti dall’economia reale e i non certo brillanti risultanti di Fannie Mae hanno accompagnato le cupe parole che Ben Bernanke ha pronunciato nel corso di una tutt’altro che tranquilla audizione di fronte all’House Financial Services Committee, un organismo parlamentare che sentirà a breve sette dei maggiori banchieri impegnati nel travagliato settore del mortgage, ma l’erede di Alan Greenspan ha dimostrato di non aver bisogno di suggerimenti nel corso della dura interrogazione da lui subita in quell’austera classe del Congresso statunitense.

Ormai sempre più behind the curve, il nostro non si è forse nemmeno accorto dell’incoraggiamento proveniente da un senatore repubblicano dell’Alabama che ricordava come Bernanke sia bersagliato da tempo più di quanto accada il lunedì ad un quarterback, ed ha sciorinato la lezioncina preparata che si era portata dietro, affermando che la situazione economica è certamente peggiorata, soprattutto in termini di aspettative di famiglie ed imprese, che, certo, quelli relativi all’inflazione sono sempre più reali e sempre meno rischi, ma che lui e i suoi compagni di avventura tireranno dritti per la loro strada di tagliatori dei tassi senza pietà, caso mai qualcuno avesse dimenticato che, in soli otto giorni in dicembre, non ha esitato ad abbassare di 125 punti base il tasso chiave sui Fed Funds.

Con l’euro giunto a testare la soglia degli 1,515 dollari e il biglietto verde sempre più a rischio di ritestare l’area dei 105 yen, il petrolio e le altre materie prime ormai senza freni ed i metalli preziosi lì a macinare record su record, qualche osservatore ha colto, ieri, qualche segno di vago turbmento anche sulla faccia normalmente imperturbabile di Jean Claude Trichet, un uomo che sembra sempre più convinto di essere la reincarnazione in vita di Hans Tietmeyer, mito presidente della Bundesbank sino all’avvio dell’euro, e il potente banchiere centrale europeo si è spinto sino ad ammettere la possibilità di muovere i tassi, anche se non è ancora chiaro in che direzione.

Venendo alle cose serie, non vi è dubbio che, almeno sino a questo momento, la scelta della BCE di mantenere i nervi saldi è risultata certamente più pagante, e non solo in termini di credibilità, di quel vero e proprio panic cutting messo in atto da Bernanke e colleghi, anche perché, a furia di stare dietro e non davanti la curva e di avere come priorità assoluta quella di premiare e non punire il moral hazard, si rischia concretamente di finire dritti, dritti nella cosiddetta trappola della liquidità, che non è solo una previsione teorica di Keynes, ma è stata e continua ad essere la realtà di quel case study che è l’economia giapponese ormai da tempo lunghissimo.

Lasciando Bernanke e soci a meditare sulla loro perdità di credibilità, che, a causa di scelte concrete come l’apertura dello sportello “riservato” dedicato a scontare a prezzi irrealistici i titoli della finanza strutturata, diviene ogni giorno che passa una vera e propria perdita di reputazione, è il caso di ricordare che, dopo l’ennesimo tonfo delle vendite di case esistenti, ier è stata la volta delle vendite di nuove case, giunte ad un volume annualizzato e destagionalizzato che si pone ai minimi degli ultimi tredici anni,con uno stock di invenduto che richiederebbe dieci mesi di tempo per essere smaltito e mentre le vendite di edifici commerciali di valore superiore si 5 milioni di dollari sono letteralmente crollate a 4,3 miliardi di dollari in gennaio dai 20,1 miliardi del gennaio 2006.

Sempre dal fronte dell’economia reale, merita di essere segnalato l’ennesima variazione negativa degli ordini di beni durevoli che sono state, in gennaio, in flessione del 5,3 per cento, con punte di –13,4 per cento per il settore dei mezzi di trasporto, mentre va segnalata l’anomala anche se modesta (-1,4 per cento) flessione degli ordini relativi al settore della difesa.

A perfezionare il quadro sono, poi, giunti i tanto attesi dati relativi al quarto trimestre e all’intero esercizio 2007 di Fannie Mae, il colosso semipubblico del settore del mortgage con mutui in portafoglio per la bellezza di 2.400 miliardi di dollari, dati che segnalano una perdita di 3,6 miliardi di dollari nell’ultima frazione dell’anno ed una perdita 2007 di poco superiore ai 2 miliardi dollari che va messa a confronto con gli utili per 3,65 miliardi registrati nell’esercizio 2006.

Mentre permangono i dubbi degli analisti sui criteri sottostanti ai 2 miliardi di dollari di svalutazioni su crediti operati dai vertici di Fannie Mae, i cui predecessori sono stati pochi anni orsono allontanati e sanzionati proprio per allegri criteri contabili, colpiscono i 3,6 miliardi di perdite segnalati, sempre nel quarto trimestre, i 3,2 miliardi di dollari di perdite legate all’utilizzo di strumenti derivati.

Mi era sfuggita, nei giorni scorsi, la notizia relativa all’incorporazione, da parte di Dresdner Bank controllata dal colosso assicurativo tedesco Allianz, di assetts per 19 miliardi di euro sino a quel momento tranquillamente parcheggiati presso un suo Structured Investment Vehicle, notizia che, purtroppo, non mette assolutamente la parola fine a questa allegra pratica di tenere fuori dai bilanci la vera e propria montagna di titoli della finanza strutturata direttamente o indirettamente facenti capo alle banche e alle compagnie di assicurazione europee, così come alle loro omologhe basate in ogni parte del mondo.

Dopo aver quasi dichiarato guerra la lillipuziano Principato del Liechtenstein, con grande paura del pacioso Principe Alois, la Cancelliera tedesca Angela Merckel, incurante degli obblighi di ospitalità, ha strigliato ieri ben bene il malcapitato Alberto di Monaco, sovrano dell’omonimo mini stato, al quale, in un serrato confronto a quattr’occhi, ha ricordato che è meglio che dia disposizioni precise in termini di trasparenza bancaria, forse sventolando davanti ai suoi occhi una precisa e dettagliata lista dei depositi degli alquanto infedeli contribuenti tedeschi modello esportazione.

Per quanto riguarda le serrate indagine degli ispettori dell’Agenzia delle entrate italiana sulla copiosa lista di nomi di allegri esportatori di valuta nostrani, non vorrei che la stessa facesse la fine della celebra lista dei 500 di sindoniana memoria che ben tre amministratori delegati dell’allora Banco di Roma, Alessandrini, Barone e Ventriglia, dichiararono, sotto giuramento e davanti a disperati magistrati della procura della Repubblica di Roma, di avere sì letto, ma di non ricordare nemmeno uno dei pur importanti cognomi dei ricchi affidatari di patrimoni alle cure del bancarottiere di Patti, nonché mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli..