sabato 2 febbraio 2008

La mossa di Gates oscura il calo degli occupati


Quando è in corso una crisi finanziaria, anche se non avesse le caratteristiche dell’attuale tempesta perfetta, è sempre utile osservare le chiusure di ottava, vecchio termine borsistico per indicare la settimana di contrattazione, anche se, almeno nell’attuale fase un po’ turbolenta, ogni seduta fa storia e sé e, come si usa dire, ad ogni giorno basta la sua pena.

Le notizie del giorno sui mercati sono state certamente la flessione del numero degli occupati, certificata dalle 17 mila buste paga in meno in gennaio segnalate dal non-farm payrolls, e l’OPA apparentemente non concordata ma generosissima lanciata da quell’affossatore della libera concorrenza incarnato da Bill Gates di Microsoft nei confronti del motore di ricerca Yahoo, al fine dichiarato di ridurre a più miti consigli Google, attualmente leader incontrastato del settore e che, dopo la quotazione, è stata una delle più fortunate storie di borsa degli ultimi decenni.

Spero che scuserete la mia formazione di analista fondamentale che mi fa privilegiare la mini flessione degli occupati statunitensi, peraltro la prima dal 2003, rispetto all’offerta da 45 miliardi di dollari circa avanzata dall’ex enfant prodige Gates, con un premio del 61 per cento sulle quotazioni della un po’ malandata Yahoo, per il semplice motivo che la prima è legata all’indicatore caratterizzato della maggiore valenza psicologica sui frastornati operatori, mentre la seconda non rappresenta che uno degli aspetti di quel processo di concentrazione che sta facendo, ma ancor più farà, passi da gigante nel corso di una tempesta perfetta della quale abbiamo visto ancora poco.

Commentando i precedenti report sull’occupazione statunitense, non mi sono stancato di segnalare che i sempre più striminziti incrementi degli occupati erano, in realtà, il risultato degli sforzi dei settori protetti o anticiclici, quali la scuola, la sanità e il pubblico impiego in generale, mentre da almeno sei mesi si assisteva ad un’emoraggia più o meno forte di buste paga nel settore manifatturiero, segnatamente nel settore fondamentale rappresentato dall’edilizia, ma ancor di più la vera e propria strage intervenuta nel settore finanziario, con particolare riferimento a quel sottosettore del mortgage che ha visto il ricorso alla protezione della legge fallimentare USA da parte della maggior parte dei soggetti operanti e frenetici tentativi di bailout per quelli aventi dimensioni da too big to fail (altro mito destinato a venir meno tra i marosi che si profilano all’orizzonte).

Il non-farm payrolls di gennaio è stato, peraltro, preceduto, dall’imprevisto balzo in avanti dei nuovi sussidi settimanali, portatisi di un balzo da poco più di 300 mila alla rotonda ed inquietante soglia dei 375 mila nuovi sussidi, un balzo che ha fatto svanire come neve al sole le tesi alquanto diffuse su una un po’ inspiegabile capacità di resistenza dell’economia reale rispetto agli alti marosi della crisi finanziaria, tesi che sembravano dimenticare l’ampia pubblicistica esistente sui ritardi temporali di trasmissione degli shock da un settore ad un altro, ritardi che, tuttavia, hanno sempre un carattere eminentemente temporaneo, alla luce dell’ovvia considerazione che vede l’interconnessione a livello del singolo paese e a livello globale.

Ovviamente, l’attenzione della stampa, delle televisioni, dei siti di informazione e economica e finanziaria era, ieri, tutta incentrata sulla mossa dell’alquanto attempato maghetto Gates che punta a coprire d’oro i fondatori di Yahoo, un’azienda che è qualcosa di più dei propri assetts and liabilties, una mossa che assomiglia molto a quelle compiute nei decenni scorsi per surclassare quell’altrettanto straordinaria storia di successo rappresentata dalla Apple, un’azienda che univa la realizzazione di hardware, ma, soprattutto, di un software che Microsoft ha cercato inutilmente di superare, accontentandosi, si fa per dire, di acquisire posizioni di quasi monopolio nella fornitura di software ai produttori di personal computer, con soluzioni di marketing talmente lesive della concorrenza da meritare una mega multa dall’Unione Europea e pesanti sanzioni da parte di numerosi tribunali statunitensi.

La mega ristrutturazione in corso nel settore finanziario, quel processo di concentrazione sempre più spinta che vede salvataggi non immaginabili fino a poco tempo fa, rischia di impallidire rispetto alla risistemazione di tutto quanto attiene al world wide web, quel settore che sta battendo, in termini di lucrosa advertising, i precedenti mezzi di comunicazione di massa, in particolare quella televisione che è stata universalmente considerata un’imperitura gallina dalle uova d’oro e che ora rischia di essere soppiantata dalle possibilità offerte da internet, soprattutto alla luce delle prevedibile diffusione esponenziale delle connessioni senza fili.

In altri tempi, la mossa di Gates avrebbe determinato una esplosione degli indici azionari, in particolare di quello maggiormente legato alle nuove tecnologie, anche perché, seppur simile per l’entità dell’offerta alle più celebri operazioni messe in piede, grazie ad un indebitamento spinto, dalle celebri locuste, quei private equity che hanno inondato il mondo intero di quegli LBO che, assieme ai CDO e alle altre tante varianti della finanza strutturata, sono ormai da tutti riconosciuti come corresponsabili della tempesta perfetta, l’OPA di Microsoft ha carattere del tutto industriale e risponde a chiare motivazioni strategiche e, the last but non the least, è alimentata dalla cassa sterminata del gigante pressoché incontrastata del software, una liquidità che, secondo gli osservatori più maliziosi, trae origine da una rendita di posizione quasi monopolistica.

Il mercato sembra anche scommettere sulla riuscita del financial bailout in corso di realizzazione in favore delle due pencolanti maggiori compagnie di assicurazione monoline, MBIA e Ambac, attorno alle quali un nutrito pool di banche sta allestendo una rete di protezione miliardaria, anche se di entità frazionale rispetto alle stime sui reali fabbisogni delle due compagnie e delle altre quattro che fanno loro da comprimarie, fabbisogni che vanno da un minimo di 80 ad un massimo di 200 miliardi di dollari, cifre, a fronte delle quali, il pur apprezzabile sforzo del gotha finanziario statunitense, stimato al massimo in 15 miliardi di dollari, rischia di essere ben poca cosa, pur essendo innegabile l’impulso che può dare a quotazioni azionarie che, sia per MBIA che per AMBC, continuano a segnalare pesantissime perdite rispetto ai massimi toccati nelle ultime 52 settimane.

Resta avvolto nella nebbia, invece, il destino di Société Générale, anche se, anche in questo caso, almeno a giudicare dalla brillante performance della relativa azione, il mercato sembra non avere dubbi sull’intervento risolutore operato da una o più sue concorrenti, così come, sempre a giudicare dall’andamento, in questo caso ovviamente negativo, dell’azione di una di esse, sembra non esservi dubbio alcuno sull’identità del cavaliere bleu, blanc et rouge che, alla fine, lo realizzerà.
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Post scriptum
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