martedì 19 febbraio 2008

La vera storia del disastro di Northern Rock


Non so se sia attendibile il giudizio sullo stato psicofisico dell’ex Cancelliere dello Scacchiere ed attuale premier, Gordon Brown, espresso dalla sua ministra per le comunità locali, Hazel Blears, che in un’intervista alla BBC, pur negando che il suo capo sia caratterizzato da cattivo carattere e sia un po’ troppo duro, ha tuttavia ammesso che avrebbe proprio bisogno di una belle e forse lunga vacanza, dando così un autorevole supporto alla campagna che l’aspra stampa britannica sta conducendo da qualche tempo sui motivi della pessima performance e del conseguente calo di popolarità di questo sanguigno politico scozzese, giunto forse troppo tardi alla successione di Tony Blair.

Confesso che della cosa non potrebbe importarmene di meno, se non si intrecciasse con quel vero e proprio disastro rappresentato dal modo in cui la Bank of England, l’attuale Cancelliere dello Scacchiere, Alistair Darling e il responsabile dell’autority sul sistema creditizio hanno gestito, o piuttosto non gestito, il caso Northern Rock, una somma di errori ed una chiara lack of governance che hanno alla loro base un peccato originale, che è rappresentato dal non avere in alcun modo compreso che, in presenza di una fulminea e gravissima crisi di liquidità quale era quella innescatasi il 9 agosto 2007, tutto bisognava fare tranne negare ad una banca sbilanciata sul fronte della raccolta l’accesso, ed in forma del tutto riservata, ad anticipazioni straordinarie da parte della BoE.

Ma l’errore del Governatore della BoE, appena confermato, come ricordavo tristemente ieri, nel suo prestigioso incarico, ha fatto di peggio in quelle convulse giornate, in quanto ha reso noto le alquanto oscure ragioni del suo rifiuto opposto alle pressanti richieste dei vertici di Northern Rock, una banca che aveva scelto, per un’errata scelta gestionale mai sanzionata dalle autorità monetarie britanniche, di sbilanciare le fonti di raccolta in favore di quella interbancaria, una fonte che, almeno sino a quel momento, era facile da ottenere al pari dell’acqua del rubinetto proveniente dall’acquedotto comunale di una città senza problemi di approvvigionamento idrico, ma che prevede l’assenza di un modello efficace di shock test e stress test, quali quelli che Draghi sta cercando di imporre alle banche italiane, peraltro molto meno sbilanciate sul fronte della liquidità rispetto alla maggior parte delle banche europee, per non parlare poi delle banche statunitensi.

Non so quanto sia noto che la Gran Bretagna rappresenta uno dei rarissimi casi, almeno tra i paesi maggiormente industrializzati, di divisione in due delle competenze sul mercato creditizio, in quanto, da alcuni anni, le funzioni di prestatore di ultima istanza e controllo della concorrenza sono affidate alla BoE e quelle di vigilanza sono state affidate ad un nuovo organismo che, di fatto, ha letteralmente girato la testa dall’altra parte, anche perché la chiusura dei rubinetti è avvenuta per uno shock esterno alla Gran Bretagna e assolutamente non previsto dal board della BCE, i cui membri erano, quel famoso 9 agosto, tutti beatamente in vacanza.

La concessione tardiva della linea di credito di credito di emergenza di 25 miliardi di sterline, ad un tasso peraltro punitivo, non impedì che si diffondesse un’ondata di panico tra i depositanti e determinato quello assalto agli sportelli, con code chilometriche e l’evaporazione di miliardi di sterline di depositi, per non parlare della vicenda di quel direttore di agenzia sequestrato da due anziani coniugi fino alla concessione della possibilità di ritirare il loro milione di sterline depositato presso la banca.

La calma giunse solo quando il Governo si spinse, travalicando le previsioni di legge sulla tutela dei depositanti che prevedono un rimorso massimo di 41 mila sterline, ad estendere la garanzia all’intero ammontare dei depositi della Northern Rock, una decisione che di fatto nazionalizzava, come è peraltro evidenziato dalla recente inclusione della banca tra le entità pubbliche operata dall’istituto centrale di statistiche britannico, una decisione forse indispensabile, ma che chiarisce in modo palmare quanto quelle sul libero mercato sono in realtà chiacchiere che vanno bene solo quando si è a distanza di sicurezza da situazioni di crisi, figuriamoci quando si è immersi fino al collo negli alti marosi dell’attuale tempesta perfetta.

Sarei tentato, poi, di stendere un velo pietoso sugli errori marchiani compiuti dal Governo di Sua Maestà britannica nei quasi sei mesi di trattative, palesi ed oscure, che hanno caratterizzato quella specie di spettacolo di paese che è stata l’asta per procedere all’accasamento della banca di Newcastle, che più volte ho definito la Sora Camilla, quella che a Roma si dice tutti la vonno e nessuno la piglia, un’asta che ha visto, come ricordavo ieri, una schiera, piccola in verità, di pretendenti aventi tali caratteristiche da non poter essere presi seriamente in considerazione da nessuna autorità monetaria o governativa di nessun paese del mondi civilizzato come acquirenti di un’importante banca del paese da lor, a vario titolo, gestito.

Pur con il rispetto che si deve ad uomo dalle qualità eccezionali, quale certamente è l’eterno giovanotto Richard Branson, del quale ho avuto peraltro il piacere di conoscere a Findhorn in Scozia uno dei giovani e brillanti collaboratori, una persona che ha avuto il coraggio e l’abilità necessarie per rompere il cartello delle blasonate compagnie aeree di bandiera con la Virgin, anche se poi è stato superato da new comers, quali Ryannair, Transavia, Vueling e compagnia cantante ed ha visto appannarsi la sua stella brillata solitaria per qualche anno, ma di certo autore di un progetto di integrazione tra una sua finanziaria e l’ottava banca del regno che gridava vendetta e che ha fatto girare nella loro tomba i Morgan, i Rockfeller, i Rothschild, i Mattioli e persino il povero Enrico Cuccia, un banchiere che nella sua lunghissima vita aveva visto di tutto e che si poteva permettere di cenare a New York persino con il latitante Michele Sindona, anche se ha detto, sotto giuramento, di non aver proprio capito quello che il bancarottiere andava dicendogli, anche perché, se l’avesse capito, un galantuomo come l’avvocato Giorgio Ambrosoli non sarebbe stato vilmente assassinato.

Che dire poi di pretendenti come hedege fund o private equità, entità cui affidare una banca delle tuttora rispettabili dimensioni di Northern Rock equivarrebbe a mettere una pistola od un mitra nelle mani di un rapinatore recidivo di banche o prestare qualche milione di euro a qualche frequentatore confesso e abituale di casinò, se non di vere e proprie bische clandestine, eppure, oltre a Branson, tale era la natura degli altri soggetti, mentre credo che non meriti una parola il tardivo progetto di management buyout avanzato da un oscuro dirigente, credo in pensione, della banca di Newcastle.

A costo di sembrare un po’ noiso ripeto la domanda che faccio da tempo: perché nessuna banca del pianeta ha voluto comprare Northern Rock?