sabato 9 febbraio 2008

Se il Dow piange, l'Europa non ride


La vera e propria alluvione di chiusure negative del Dow Jones nelle sedute che si sono tenute dall’inizio dell’anno e il livello alquanto depresso dello strategico indice S&P 500 sono rese ancora più significative dal fatto che sono sempre più numerose le psicologicamente importanti chiusure di ottava, come quella che si è registrata al termine di questa difficile settimana, anche se la flessione dello 0,53 per cento del Dow Jones 30 è ampiamente al di sopra dei minimi di seduta.

Verrebbe la voglia di sorvolare sull’ennesimo tonfo dei titoli finanziari statunitensi, ma il dovere di cronaca impone di segnalare l’estrema pesantezza di colossi del calibro di Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America, J.P. Morgan-Chase, Wachovia Bank ed un innumerevole numero di altre entità del variegato mercato finanziario USA, mentre continua l’apprensione per le sorti, in termini di rating e non solo, per le compagnie di assicurazione monoline, a proposito delle quali si è registrato l’aumento della richiesta al mercato di MBIA, portata da 750 a milioni ad un miliardo di dollari e l’ennesimo downgrade che stavolta riguarda XL Capital Assurance, mentre, anche in base ai disastrosi dati nel quarto trimestre 2007, ci si aspettano nuove degradazioni per Triad Guaranty, Radian Group e PMI Group.

Come ho segnalato più volte in queste settimane, al di là delle preoccupazioni per una flessione dei listini che, pur nella sua non disprezzabile entità e della maggiore profondità evidenziata a livello settoriale, è ben lungi dall’esprimere l’intensità dell’attuale tempesta perfetta, deve essere osservato con attenzione il balzo in avanti della volatilità che, misurata dall’indice Vix, ha segnato una crescita del 18 per cento che ci riporta davvero nei pressi dei valori segnati dallo stesso indice prima dello scoppio della bolla del Nasdaq.

Nel frattempo, è fallito il tentativo dei democratici di riformare radicalmente il piano di restituzione fiscale proposto dal presidente Bush, in quanto il Senato, pur aumentando significativamente l’ammontare delle risorse destinate, nei prossimi due anni, a restituire risorse ai contribuenti, non ha accolto le modifiche proposte dal Congresso, che, alla fine, si è dovuto piegare ad accettare sostanzialmente l’impostazione iniziale del presidente, anche al fine di garantire che gli assegni di vario importo tanto attesi dai un po’ finanziariamente esausti cittadini americani giungano a domicilio già nel mese di maggio.

Così come non desta stupore la segnalazione della Federal Reserve che rende noto che in dicembre si è registrata una forte frenata del credito al consumo statunitense, con un +2,1 per cento rispetto al ben più robusto +8,2 per cento segnalato con riferimento a novembre, anche se, al netto del fatto che l’incremento di questo cruciale aggregato si è posto quasi esattamente a metà di quanto previsto dagli analisti, lo stock dell’aggregato ha raggiunto, nell’ultimo mese dell’anno scorso, l’astronomica cifra di 2.520 miliardi di dollari, circa mille dei quali sono riferiti all’outstanding delle micidiali carte di credito nella loro ancora più letale versione revolving (anche se a tassi di crescita rallentati drasticamente in dicembre, con un +2,7 per cento su base mensile, rispetto al +13,7 per cento relativo a novembre).

Ma, e anche questa non è ,purtroppo, una novità, i guai americani rischiano di impallidire rispetto alla vera e propria crisi di nervi che sta pervadendo il mercato finanziario europeo, che è in larga parte sotto la sorveglianza di quella sempre più teutonica e templare Banca Centrale Europea, che, nonostante le mosse convulse della Fed e quelle un po’ più caute della Bank of England, continua a mostrarsi sorda al grido di dolore che viene dagli operatori economici di ogni ordine e rango, i quali, a loro volta, avvertono ormai sempre più nettamente gli effetti disastrosi di questa lack of governance.

Non riesco francamente a capire lo stupore espresso dalla stampa quotidiana rispetto alla decisione dell’istituto di statistica britannico di considerare nazionalizzata la tecnicamente fallita Northern Rock, una banca che, come è a tutti noto da largo tempo, è tenuta in vita con ammirevole accanimento terapeutico dai 25 miliardi di sterline prestati dalla BoE ed i cui 65 miliardi di depositi sono garantiti senza condizioni dal governo di Sua Maestà britannica Elisabetta II, un governo guidato dall’ineffabile Gordon Brown, per lunghi anni temuto e rispettato Cancelliere dello Scacchiere, l’equivalente del nostro ministro dell’Economia, ma dotato di poteri molto più incisivi.

Suggerirei di prendere con qualche cautela i risultati delle prime grandi banche europee che stanno uscendo allo scoperto con comunicati che cercano di annacquare i disastrosi dati del quarto trimestre, tentando di sovrastarli con quelli dell’intero esercizio 2007 che, lo ricordo di passata, sono stati caratterizzati da un primo semestre che, a giudizio stavolta alquanto concorde, sarà irrepetibile per lungo tempo a venire, così come metto in guardia i miei pochi lettori dai resoconti dei giornalisti embedded che amplificano a dismisura il mascheramento operato dai citati comunicati aziendali.

Solo a titolo di esempio, cito il caso della Deutsche Bank e quello del Banco Santander, la prima alle prese con un probabile buco miliardario in euro nei confronti di un solo cliente, la storia davvero si ripete per chi ricorda il precedente del costruttore tedesco che rischiò, con il suo controverso fallimento, di mettere in seria difficoltà la prima banca tedesca, anche se, stavolta, il costruttore è americano, mentre, per quanto riguarda il Santander di Don Emilio Botin, appare veramente stupefacente parlare di risultato record nei 150 anni di storia della banca, a fronte di una crescita dell’utile 2007 rispetto al dato dell’anno precedente, una crescita più che spiegata dal capital gain relativo alla vendita in tempo reale dell’Antonveneta appena strappata all’ABN AMRO, peraltro non unica tra le voci straordinarie.

Lasciando i banchieri europei al loro originale approccio comunicativo e suggerendo sommessamente qualche ripetizione sui fondamentali di bilancio e sulle regole condivise in materia di contabilità, è necessario tornare nuovamente sullo scandalo Socgen e sulla prevedibile sorte dell’importante banca francese, sia alla luce del ritorno in carcere di Jerome Krevial, stavolta in compagnia di un secondo trader di Socgen, che della vera pioggia di manifestazioni di disinteresse che provengono da importanti banche europee cui nessuno aveva attribuito intenzioni di acquisto, mentre, l’informatissimo ufficio studi londinese di Morgan Stanley, banca che assiste Socgen nell’aumento di capitale da 5,5 miliardi di euro, esclude anche la tanto strombazzata ipotesi di OPA da parte del colosso britannico HSBC.

Il gioco delle rinunce ad operazioni mai annunciate e il progressivo venir meno di quelle annunciate ai quattro venti fa capire che la soluzione, alla fine, sarà esattamente quella ordinata da Sarkozy alle due superstiti grandi banche francesi, mentre resta molta inquietudine sui riflessi che l’operazione avrà sui loro rispettivi imperi, in particolare in Italia, paese che riveste molta importanza sia per BNP Paribas che per il Credit Agricole e che potrebbe risultare strategico nelle tecincalità finanziarie della gigantesca operazione.

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