lunedì 24 marzo 2008

Ma fosse davvero la Grande Depressione?


Sperando che non siate troppo impegnati nel lavoro di fauci usuale nelle festività pasquali e nelle inevitabili conseguenze sul lavoro della mente, vi consiglio caldamente la lettura di un’analisi molto articolata di questa perfect storm a cura di Rachel Beck e Erin Mcclam dell’Associated Press, oggi disponibile su Yahoo Finance, un testo inusualmente molto lungo per un’agenzia che, sentiti esperti e gente comune, giunge alla conclusione che l’unica fase dell’economia statunitense che somiglia all’attuale crisi finanziaria potrebbe essere rinvenibile negli anni Settanta, con i loro due shocks petroliferi ed il relativo innescarsi di un effetto domino non troppo dissimile da quello attuale.

Purtroppo, come peraltro notano i due autori dell’articolo, vi è una grande differenza tra le due fasi, in quanto, allora, era in piena attività la generazione partorita durante il cosiddetto baby boom, una massa di persone che con la loro inesauribile voglia di fare e di spendere ha svolto un ruolo significativo nella successiva espansione quasi senza soste dell’economia statunitense, peccato che gli stessi ora siano in pensione od in procinto di andarvi.

Ma l’altra, ed a mio avviso, più significativa differenza è data dal fatto che il processo di finanziarizzazione spinta dell’economia statunitense e di quella globale era allora davvero agli albori, in quanto si era ancora lontani da quella metà degli anni Ottanta che, attraverso la deregolamentazione spinta, la cartolarizzazione di tutto il cartolarizzabile, la progressiva sofisticazione dei prodotti della finanza strutturata ed il correlativo boom degli strumenti derivati e via discorrendo ha reso le distanze planetarie molto esigue e gli effetti di trasmissione degli shocks molto più accentuati.

Delle differenze tra i due periodi e della necessità di andare più indietro per trovare le opportune analogie, ne è ben consapevole la Federal Reserve, ma in particolare il suo attuale presidente, Ben Bernanke in arte Bernspan, di cui si dice che sia il maggior esperto, almeno come studioso e prestigioso docente presso l’università di Princeton, delle crisi finanziarie avvenute nel passato, un uomo che da 228 giorni vive con l’incubo che non basti tornare ai Novanta a go-go, o ai foschi anni Settanta, ma che per trovare analogie in termini di clima psicologico, di effetto domino e di sfiducia reciproca tra i principali attori del mercato finanziario, ma, come tutti ormai temono, a quell’ottobre del 1929 che cambiò le prospettive dell’economia statunitense per poco meno di un quindicennio.

Chiedo a tutti coloro che, se fossero presenti qui, alzerebbero decisamente la mano per obiettare a questo apparentemente ardito paragone, di avere la pazienza di leggere l’articolo citato in apertura e/o di visionare il video del mio intervento al Convegno organizzato dalla UIL e svoltosi il 19 c.m., video che, come ho già ricordato, è disponibile su http://www.flipnews.org/ nella sezione video, perché il filo del mio ragionamento e le cifre fornite dai due autori consentono di comprendere meglio le ragioni di questa tesi volutamente ignorata dalla maggior parte dell’informazione economica, più o meno embedded, così come viene sprezzantemente scartata ed aspramente confutata da legioni intere di analisti, economisti ed esponenti delle banche centrali e delle banche tutte.

E’ molto difficile, peraltro, rendersi conto dell’effetto sovrastrutturale, come avrebbe detto il mai troppo compianto Antonio Gramsci, che la finanziarizzazione e la relativa globalizzazione hanno esercitato sul mondo accademico, su quello del giornalismo e sugli stessi analisti e revisori in forza direttamente od indirettamente a quello che Hildfering definiva il capitalismo finanziario, anche se per averne soltanto una pallida e vaga idea basterebbe pensare all’influenza che Big Pharma esercita su altrettante legioni di medici e ricercatori operanti all over the world.

Se nessuno si è scandalizzato per il fatto che Bernspan e complici si siano spinti a rispolverare l’armamentario di leggi e regole inventati proprio in occasione della Grande Depressione, strumenti quali la possibilità di garantire un maxi deal da 30 miliardi di dollari consistente nella mega iniezione di liquidità garantita da J.P. Morgan-Chase all’agonizzante Bear Stearns, intervento a sua volta garantito integralmente dalla Fed grazie ad un dispositivo legislativo varato nel 1932, o l’autorizzazione a soggetti formalmente non bancari ad attingere alle copiose mammelle della Fed stessa, per non parlare poi della totale indifferenza mostrata da Bernspan e complici per la pericolosità derivante dalle ripetute decisioni che hanno portato il livello dei tassi reali di quasi due punti al di sotto del tasso di inflazione.

E’ facile ironizzare comodamente seduti davanti al proprio personal computer sulle ambasce e le angosce di un uomo che ha dovuto abbandonare la propria comoda Chair universitaria, smettere di chiacchierare amabilmente con vivaci e curiosi studenti e con i propri amabili colleghi di ateneo, rinunciare alle passeggiate nei vialetti che si snodano tra curati giardini e la casetta di mattoni rossi per venire catapultato nell’avido, rissoso, incontentabile ed a volte veramente incomprensibile mondo delle investment banks, delle CIB, con i loro bilanci incomprensibili, i loro SIV ed i loro Conduits, con gli effetti nefasti derivanti dalle astruse invenzioni degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto, la rinuncia da oltre sette mesi al sacro rito del week end e chi più ne ha ne metta.

Quante volte, in questi 228 giorni, Bernspan deve avere invidiato i propri colleghi di Francoforte, ed in particolare quel Jean Claude Trichet che gli errori suoi e dell’improponibile King della BoE hanno reso un gigante, sordo alle sirene della politica e della finanza, alla guida di un board di neotemplari pronti anche a vedere l’esercito dei disoccupati europei raddoppiare o, addirittura, triplicare, senza battere un ciglio né, tanto meno, fare un fiato, disponendo al massimo un raddoppio della già consistente scorta, impegnata più contro l’infuriato Nicolas Sarkozy ed il sanguigno Gordon Brown che contro improbabili minacce terroristiche o ancor meno credibili sollevazioni popolari, in quanto i terroristi hanno probabilmente altro da fare e gli europei sembrano apprezzare sempre di più l’autonomia della “loro” banca centrale e l’indipendenza di quel francese sempre più teutonico che tiene salda la barra del timone, almeno per ora.

Ma il povero Bernspan è alle prese con ben altri problemi e ben altre difficoltà, in quanto, solo per fare un esempio, un accurato studio dell’alquanto autolesionista Merrill Lynch, a quando il suo turno?, ci informa che il valore complessivo dei mutui non solo supera il valore delle relative abitazioni, ma ha l’improntitudine di farlo per la non disprezzabile cifra di 836 miliardi di dollari, una cifra che, anche agli attuali, depressi cambi del dollaro ponderati in base alle ragioni di scambio, fa veramente tremare i polsi dell’esile e mite professore di Princeton. Tanti auguri!