venerdì 7 marzo 2008

Il nulla di fatto della BCE avvicina l'ora della verità per le banche globali europee


Due grandi entità del mercato finanziario globale basate negli Stati Uniti d’America hanno ieri fallito di ricostituire i margini come richiesto dai regolamenti federali, con l’aggravante che una di queste, Carlyle Capital, fa capo al colossale private equity Carlyle Group, forse la locusta delle locuste e nel quale svolge un ruolo non secondario l’ex presidente statunitense, George H. Bush, padre dell’omonimo, basta sostituire l’H. con W., ed attuale presidente USA, che ha seguito attivamente le acquisizioni europee del fondo, acquisizioni che, al pari di quelle effettuate in buona parte del pianeta, raramente hanno intaccato le quote dei sottoscrittori, in quanto si è fatto ampiamente ricorso al credito, che è stato prontamente trasformato in quelli LBO che, almeno sino a poco tempo fa, venivano allegramente piazzati presso gli investitori istituzionali ed i comuni investitori.

L’impossibilità di Carlyle Capital di ricostituire i margini sul suo portafoglio valutato in 21,7 miliardi di dollari fa, peraltro il paio con quella annunciata da Thornburg Mortgage, anche se stavolta è riferita ad un portafoglio di 28 miliardi di dollari e, poiché si tratta di una società quotata, ha anche determinato un crollo in borsa del relativo titolo, in flessione a Wall Street di un rotondo 52 per cento, un uno-due di notizie che, assieme alla solita alluvione di brutte novità provenienti dal settore immobiliare made in USA, ha determinato una vera alluvione di vendite che ha, a sua volta, spinto i tre principali listini statunitensi a chiudere in rosso in modo alquanto convincente e ancora una volta con volumi considerevoli, archiviando l’ennesima seduta in rosso da inizio anno ed aumentando la prevalenza delle chiusure negative su quelle positive.

Corre l’obbligo di segnalare che, in base alle stringenti norme imposte in casi simili dai regolatori, non ché da quel semplice ma sempre più raro buon senso, i gestori delle due entità in esame non hanno altra scelta che vendere il vendibile per ricostituire al più presto i margini obbligatori richiesti, dal che difficilmente ne verrà del bene alle più che depresse quotazioni del mercato azionario.

Sempre ieri, l’intero comparto del mortgage, o meglio quello che ne resta dopo il massiccio ricorso della maggior parte delle entità alla protezione dai creditori offerta dalla legge fallimentare statunitense, non ha mancato di segnalare le persistenti ed acutizzatisi difficoltà in cui versa da tempo, difficoltà evidenziate ed ampliate da una consistente serie di ribassi con punte del 31 per cento circa per Capstesad, ma con una media prossima al 10 per cento per le altre, il che, in una sola seduta, non è proprio sintomo di salute, anche se di questo nessuno in realtà dubitava.

Ma quello che è davvero strabiliante, almeno dopo il vero e proprio aggiotaggio delle scorse sedute, è il fatto che le banche che dovevano certamente aiutare la sempre più traballante Ambac hanno ieri fatto sapere che il loro soccorso si limiterà a partecipare, ma solo in parte e senza chiarire per quanta parte, all’annunciato aumento di capitale annunciato due giorni orsono dai vertici della compagnia monoline, un aumento che ha fatto crollare, in due sole sedute, l’azione del 35 per cento circa, annuncio, peraltro, che suona un chiaro de profundis sul tanto strombazzato deal e mentre Goldman Sachs si premura di rendere noto che all’aumento di capitale manca almeno un miliardo di dollari rispetto a quella che la preveggente banca valuta siano le effettive necessità, al fine di ottenere il tanto agognato mantenimento del massimo rating da parte delle sempre più scettiche e spaventate agenzie di rating.

Questa vera e propria doccia scozzese sulle magnifiche e progressive sorti della povera monoliner si sta alquanto ovviamente trasformando in un boomerang per le tremebonde banche coinvolte nel tentativo eterodiretto di salvataggio, come è ben testimoniato dall’andamento disastroso delle relative quotazioni azionarie nelle ultime sedute, una vera pioggia di vendite, in buona parte allo scoperto, che non hanno mancato di influenzare l’intero comparto finanziario, che non aveva certo bisogno di ulteriori incoraggiamenti per proseguire in un trend discendente del quale nessuno è oramai in grado di scorgere il fondo e che vede molti colossi del settore segnalare livelli delle proprie azioni anche al di sotto del 50 per cento rispetto ai massimi delle ultime 52 settimane.

Spero che larga parte degli operatori e degli analisti abbia seguito ieri il mio consiglio di non saltare il pranzo o di evitare di consumare lo stesso seduti di fronte a screen sempre più colorati di rosso a causa del più che prevedibile nulla di fatto deciso da jean Claude Triche e dai suoi compagni neotemplari del board, si fa per dire, della Europea Central Bank con sede a Francoforte sul Reno, anche se, alla più che scontata non decisione, ha fatto seguito una vera e propria alluvione di parole del talmente germanizzato presidente che si dice si faccia accompagnare da un interprete nelle rare occasioni in cui si fa vedere all’ombra della Torre Eiffel e che ha cancellato dalla sua mappa turistica la parte di Parigi che ospita l’Eliseo con annessa coppia presidenziale.

Per quanto scontata, la decisione della BCE ha consentito all’euro di provare il brivido di testare la soglia degli 1,54 dollari, con il dallato che, a sua volta, sta tentando, ormai in modo sempre più convinto, di portarsi anche al di sotto dell’importantissima soglia psicologica dei 100 yen, mentre sul mercato interbancario dell’euro si è tornati da giorni al di sopra dei livelli segnalati nell’ormai famosa data del 9 agosto 2007, anche se ancora al di sotto dei massimi, soprattutto nelle strategiche scadenze a uno ed a tre mesi, toccati nel mese di dicembre dello scorso anno.

Come non mi stanco di ripetere da mesi, i raffreddori statunitensi rischiano sempre più di trasformarsi nelle polmoniti europee, che, detto fuor di metafora, significa che, in assenza di una politica monetaria più che accomodante come quella pervicacemente perseguita da Bernspan e complici e dai criteri più che laschi con i quali la Fed sta scontando una vera e propria montagna di titoli della finanza strutturata valutati come se fossero diversi da quella spazzatura che in realtà sono, le banche europee, in particolare quel manipolo di esse che viene considerata come operante a livello globale, vedono avvicinarsi, ogni giorno che passa, il tanto temuto momento nel quale dovranno alzare il velo sulla vera situazione dei loro conti, in particolare di quanto è contenuto, al di sopra ed al di sotto della linea del bilancio, in quelle banche nelle banche che sono le loro rispettive entità definite Corporate & Investment Banking.