martedì 25 marzo 2008

Non riesce la patacca di Bernspan e Morgan


Lo scoop di un giornalista del New York Times ha svelato ieri, ben prima dell’apertura dei mercati azionari statunitensi, che il numero uno di J.P. Morgan-Chase, Jamie Dimon, era in procinto di capitolare di fronte alla fiera resistenza degli azionisti di Bear Stearns, in particolare dei dipendenti che ne possiedono circa un terzo, del tutto insoddisfatti dalla previsione iniziale di 2 dollari per azione decisa in sede di emergency deal, accettando di portare, almeno per il momento, l’offerta a 10 dollari per azione, oltre all’impegno di acquisire il 40 per cento delle azioni prima dell’assemblea degli azionisti di Bear che dovrebbe ratificare l’accordo.

In effetti, più che lo scoop del NYT, è stata la forzatura di tutte le agenzie di stampa, le quali hanno trasformato una blanda previsione del prestigioso quotidiano americano in una sorta di certezza, a costringere un alquanto riluttante Dimon a bruciare i tempi ed a decidersi a far diffondere il comunicato ufficiale della quintuplicazione dell’offerta, un comunicato che, almeno di fatto, mette alla berlina se stesso, Bernanke, la Securuities and Exchange Commission e lo stesso Henry Paulson, ma l’ex numero uno di Goldman Sachs ed attuale ministro del Tesoro USA è stato l’unico a rompere il silenzio ed a benedire i nuovi termini del deal, peraltro già superati dalle quotazioni di Bear, segno inequivocabile che i giochi non sono ancora del tutto conclusi.

Certo, la concitata notte tra giovedì e venerdì di due settimane orsono, con i saloni del quartier generale di Bear affollati oltre ogni capienza di manipoli di altissimi dirigenti della Fed di New York, della SEC, e di agguerrite squadre di revisori e controllori delle due banche impegnate, l’una come carnefice, l’altra come vittima, nel deal, non era certo la sede ideale per compiere una due diligence accurata e millimetrica dei valori in ballo, ma è altrettanto certo che gli scopi “politici” sottostanti al salvataggio hanno davvero fatto premio rispetto ai legittimi interessi degli azionisti e del mid management della quinta casa di investimenti statunitense.

Pochi tra gli analisti e gli operatori addosseranno la croce all’acquirente, aggiungerei possibile, in quanto nessuno può ragionevolmente pensare che la CIB delle CIB, quale è la banca guidata da Dimon, possa esimersi dal cercare di approfittare di una situazione di assoluta emergenza quale era indubbiamente quella che le si presentava; è forse troppo, anzi, il prezzo da lei offerto per una banca che aveva come unica alternativa il fallimento più o meno immediato.

No, gli analisti, i commentatori e gli operatori, almeno in cuor loro, getteranno la croce addosso a Bernspan e complici ed agli altri regolatori e supervisori dei mercati che hanno voluto pervicacemente che si chiudesse quella stessa notte, e ad ogni costo oltre che a qualsiasi prezzo, un deal che doveva rassicurare i mercati, ma che, in quei termini ed a quelle condizioni, non poteva che fornire una ragione di più ai già atterriti detentori di azioni di investment banks, di banche commerciali, di compagnie monoline e di compagnie di assicurazione generaliste per considerare con ancora maggiore preoccupazione il loro investimento.

Ho trovato commovente la testimonianza resa alla ferocissima Mary Bartiromo, sì proprio lei, per Business Week, della Chief Financial Officer di Lehman Brothers, Erin Callan, percependo la reale disperazione di chi occupa quel posto in una banca universalmente sospettata di essere la prossima vittima del micidiale effetto leverage, il rapporto tra patrimonio ed indebitamento, che, per Lehman come per Bear è addirittura superiore a 30, ma non si scherza neanche nelle altre tre investment banks statunitensi, così come nelle CIB delle banche globali.

La Callan, tuttavia, anche se in preda alla disperazione mista al sollievo che la sua banca ancora sia in grado di resistere ai marosi della tempesta perfetta, non manca di lodare il Salvatore, che per lei è impersonato proprio da Bernspan e dalla sua provvidenziale decisione di aprire anche alle case di investimento lo sportello, forse dovrei dire la discarica, dei titoli della finanza strutturata, sportello al quale lei ha portato, per la prima volta ed a mercati opportunamente chiusi, robaccia per l’equivalente, grazie ai provvidenziali rating farlocchi, di ben 2 miliardi di dollari.

Né ha aggiunto tranquillità ai mercati il recente report che FRB & Co, una prestigiosa società di analisti indipendenti, ha ragionevolmente rivisto al ribasso le proprie stime sui profitti di 15 delle 18 banche statunitensi esaminate, in alcuni casi, le previsioni precedenti ipotizzavano già delle perdite, raddoppiate nella nuova versione, come nel caso di Indymac Bancorp Inc., per la quale le perdite 2008 stimate sono state portate da 80 centesimi di dollaro ad 1,70 dollari.

Stiano tranquilli quanti si aspettano il mega fondo orchestrato dalle banche centrali per ospitare i titoli della finanza strutturata, perché Bernspan e complici si sono già messi la tuta da operatori ecologici e stanno già operando alla grande, peccato che le loro discariche rotative a 28 giorni abbiano una capienza cifrabile nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari, mentre la spazzatura complessiva resta nell’ordine dei 25-30 mila miliardi, sempre, purtroppo, di dollari.

La stessa notizia positiva sulle vendite di case esistenti, passate da un tasso annualizzato di 4,89 a 5,03 milioni, con un incremento del 2,9 per cento, il primo da oltre sei mesi, è stata accompagnata dalla ferale notizia che il prezzo di vendita mediano è crollato a 195 mila dollari circa, il tonfo più significativo mai registratosi dal lontano 1999 e che spiega in larga misura il fatto che le vendite siano aumentate in febbraio, anche perché nessuno, almeno sinora, ha abolito la severa legge dell’equilibrio tra domanda ed offerta con quanto ne segue in termini di prezzo.

Nel frattempo, avvertiti analisti spostano alla fine del 2009, se non ai primi mesi del 2010, la possibile conclusione di questa perfect storm, avvertendo così i naviganti di fare le opportune provviste e di tracciare le proprie rotte, avendo un orizzonte temporale molto più ampio di quanto previsto da Paulson e Bernspan, con relativa grancassa di giornalisti embedded operanti pressoché in tutti i media.