venerdì 14 marzo 2008

Olio, petrolio e profumo di crisi


Lascio volentieri ad altri la conta infinita dei record altrettanto infiniti che stanno ripetendosi, ed ancora si ripeteranno, in questa tempesta perfetta i cui marosi si fanno talmente alti da rendere oltremodo arduo scorgere la costa, né la vedetta issata sul più alto pennone riesce ad intravedere un gabbiano qualsivoglia che ne indichi, seppur a distanza, l’esistenza.

Chiedendovi scusa per la metafora un po’ marinaresca, credo proprio che i test importanti in cui si è esercitata la valuta statunitense contro euro e yen, pur nella loro importanza psicologica (in particolare, quello della soglia dei 100 yen), non siano che i prodromi di quanto deve ancora accadere e, mentre confermo la previsione fatta il 31 dicembre dello scorso anno sul cross euro/dollaro a 1,70 dollari entro la fine del 2008, penso proprio che l’altrettanto strategico dollaro/yen possa portarsi anche al di sotto della previsione di 90-95 yen fatta sempre a quella data.

Di relitti barbarici come l’oro e gli altri metalli preziosi ho deciso da tempo di non occuparmi, se non per segnalare segni inequivocabili di ipercomprato, anche se so per esperienza che la follia umana e la paura irrazionale non hanno limiti, per cui non mi stupirei che venissero macinati altri record su record prima dell’inevitabile bagno di sangue, quello stesso bagno di sangue che è più che prevedibile per gli incauti che aprono posizioni a partire dal folle prezzo del petrolio, incuranti, non fosse altro che questo, dell’inevitabile impatto della recessione americana in atto e dei suoi riflessi, già ben visibili, sugli esportatori abituali asiatici ed europei e, quindi, sul quel non trascurabile particolare che è la domanda aggregata di questa alquanto preistorica materia prima.

A proposito di petrolio e delle guerre che da sempre ne rappresentano gli effetti collaterali, trovo rilevante, per quanto ampiamente scontata, la notizia proveniente dagli stati Uniti d’America, dove la più importante agenzia di spionaggio federale ammette definitivamente che non vi era alcuna seria prova dei legami tra Saddam Hussein e la rete terroristica guidata da Osama bin Laden, né alcun elemento concreto di quelle armi di distruzione di massa di cui l’ex Segretario di Stato e generalissimo, Colin Powell, si dichiarò, in una fatale seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non certo ma certissimo, anche se non riuscì a convincere l’altissimo consesso a dargli quel via libera che avrebbe reso non necessaria l’azione unilaterale della coalition of willingness.

Venendo alle tragedie odierne, ma senza dimenticare che numerosi analisti avevano predetto, oggi diremmo per difetto, che quella sciagurata ed esiziale decisione statunitense avrebbe provocato inevitabilmente effetti duraturi su un prezzo del petrolio allora a livelli più che sostenibili, è da segnalare che la stampa quotidiana, i siti internet a sfondo economico ed i media in generale, danno per certa la fine più che annunciata del fondo Carlyle Capital, con i suoi alquanto inevitabili impatti sul controllante fondo washingtoniano di private equity Carlyle, un fondo considerato universalmente, insieme al quotato Blackstone, la locusta delle locuste e antesignano di quei mega acquisti a debito che non intaccavano quasi mai le quote dei sottoscrittori del fondo e che, molto più degli sventurati sottoscrittori di mutui subprime, sono all’origine delle sciagure attuali, anche se sarebbe ingiusto dimenticare le altre schifezze prodotte dalle ineffabili fabbriche prodotto delle Corporate & Investment banking dislocate all over the world.


Ignoro se i 16 miliardi di assetts nelle disponibilità della branca dell’importante fondo di private equity, peraltro bellamente quotata alla borsa valori di Amsterdam, ovviamente a valori infinitesimali rispetto ai massimi toccati nelle ultime 52 settimane, basteranno a soddisfare i credito di Carlyle Capital o se sarà necessario attingere alle disponibilità della controllante, ma quello che è certo che gli effetti di questa vicenda finiranno in breve volgere di tempo per essere molto pesanti per le altre locuste ancora intente a divorare i resti delle loro prede dislocate in quasi tutti i paesi dei cinque continenti, con il serio rischio che, finiti gli avanzi, inizino a divorarsi cannibalescamente tra di loro, anche perché non credo che tra i ricchissimi possessori di quote dei private esista qualche vegetariano.

Non stupisce, peraltro, la notizia della mega class action intenta da azionisti alquanto arrabbiati ai danni di Socgen, ritenuta, a torto o a ragione, colpevole di quantomeno non aver messo in atto tutte le misure di sicurezza volte ad evitare che un solitario o meno trader potesse mettere in ginocchio la banca ed i suoi incolpevoli azionisti, suscitando le ire del Governo francese e dell’Eliseo, con un Sarkozy che, apparentemente incuranti dei consigli della nuova consorte, continua a reclamare, senza peraltro ottenerla, la testa dell’odiatissimo Daniel Bouton.

Se fosse vero che ad ogni giorno basta la sua pena, dovremmo fermarci qui, ma non posso evitare di unire il mio commento alla pletora di paginate dei tanti delusi dall’ex enfant prodige della finanza italiana, quel Alessandro Profumo che, vinte le resistenze degli anziani “proprietari” delle fondazioni bancarie che continuano, prese nel loro complesso, ad essere le principali azioniste di Unicredit Group, sembrava realmente destinato in un breve volgere di tempo a realizzare il primo gruppo creditizio europeo, per porsi successivamente in lizza con global competitor.

La revisione al ribasso delle precedenti stellari previsioni per l’esercizio 2008 non vedrà il gruppo di Piazza Cordusio, in splendida solitudine, in quanto vi sarà quasi certamente il salvifico mal comune mezzo gaudio, mentre segnalo il coraggio del embedded Alessandro Graziani che si esibisce oggi sul suo quotidiano in un’intervista che è quasi eufemistico definire sdraiata.

Il problema, tuttavia, sta nel fatto che, per accelerare i tempi di realizzazione del suo più che giusto sogno, l’ex golden boy della finanza è venuto a patti con gli apprendisti stregono della sua Corporate & Investment Banking che lo hanno convinto ad autorizzarli a gestire volumi di attività articolati su prodotti che richiedono una strumentazione, delle procedure e, soprattutto, l’esistenza di uno o più Chief Operatine Officer degni di questo nome e, soprattutto, possibilmente allevati in quella CIB delle CIB che prende il blasonato ed autorevole nome di Goldman Sachs.

Spero per Profumo che questo non sia solo il primo di numerosi altri profit warning da effettuare nel corso di questo certamente difficile 2008, anche perché mi auguro che siano state correttamente contabilizzate le perdite della CIB relative al 2007.