mercoledì 5 marzo 2008

Qualcuno fermi Bernspan!


Credo proprio che le continue esternazioni di Ben Bernanke, un uomo che, pur essendo alla guida della Federal Reserve ormai da qualche anno, continua ad essere definito come il successore di Alan Greenspan e come il nuovo Chairman della Fed, abbiano effetti sul mercato finanziario globale ancora più devastanti dei pur alti marosi della tempesta perfetta in corso, né ritengo sia un caso che, dopo il vero e proprio tonfo registrato ieri a Wall Street dopo l’ennesimo allarme lanciato da Bernspan, sia dovuta intervenire la massima autorità regolatoria sul sistema creditizio per rassicurare i più che spaventati operatori, avvertendo che un’ondata di fallimenti di banche statunitensi non è proprio dietro l’angolo.

In un mercato che ormai crede in prevalenza a quello che vuole credere, gli indici azionari hanno compiuto una vera inversione ad u, anche se non sufficiente a trasformare il rosso prevalente nel verde tanto desiderato, con il settore finanziario che riusciva ad abbandonare le flessioni paurose delle prime ore di contrattazione per limitare in qualche modo le perdite all’ormai solito 3-4 per cento, in luogo dell’onta di cali a due cifre che sembrava dovesse protrarre sino al suono liberatorio della campana che alle 16 manda tutti a casa, salvo i “drogati” dell’after hours.

E’ quasi inutile sottolineare che l’indice che misura la volatilità dei corsi azionari è ormai quasi in linea con il valore segnalato prima dello scoppio della bolla speculativa del Nasdaq nel corso dell’anno di grazia 2000anticipavo ieri, ma devo dire che faceva impressione, ieri, vedere titoli come MBIA ed Ambac passare in poco tempo da flessione pari e superiori al 10 per cento a progressi anche significativi rispetto alle quotazioni segnate nella seduta precedente.

Due notizie danno il senso della giornata faticosissima di ieri, provenienti, la prima, dagli Emirati Arabi Uniti, vera disperazione per le scarse nozioni geografiche di George W. Bush, paese dal quale il numero uno del fondo governativo ivi ospitato ha ritenuto suo dovere affermare che il molto lucrativo investimento effettuato dal fondo in compagnia di altri investitori a favore di Citigroup potrebbe non bastare per tirare il colosso creditizio americano dalle peste in cui si trova e di non volere in alcun modo allargare nuovamente i cordoni della borsa se Citi non sarà in grado di presentare un piano di recupero realmente convincente ed in grado di attrarre capitali da altri investitori.

Dopo aver perso sino ad oltre il 7 per cento, Citigroup ha recuperato qualcosa, terminando con una flessione “soltanto” del 4 per cento, ma credo che la seconda notizia, proveniente dal ricco Stato della California sia molto più inquietante, in quanto le autorità statali competenti hanno deciso che è del tutto inutile chiedere alle disastrate compagnie monoline di garantire le emissioni municipali, delle contee e dello stesso Stato, valutando implicitamente che il rischio di controparte sia tale da ritenere che sia meglio risparmiare la somma di oltre cento milioni di dollari pagati alle rischiose compagnie di assicurazione specializzate, una notizia dettagliata che è rapidamente scomparsa dagli screen degli operatori e degli analisti che pure avevano avuto un discreto tempo per memorizzarla, stamparla e valutarne le perfettamente intuibili conseguenze sulle stesse monoline.

Le dichiarazioni della presidentessa della Federal Deposit Insurance Corporation (più noto con l’acronimo FDIC), tale Sheila Bair, rese all’apposita commissione del Senato statunitense, non meritano peraltro particolari approfondimenti, mentre ritengo utile riportare la domanda retorica formulata dal presidente della Commissione senatoriale, Christopher Dodd, potente esponente del partito democratico, che ha chiesto “ma dove erano i regolatori”, riferendosi, ovviamente, al silenzio veramente assordante del FDIC nei primi mesi della tempesta perfetta, così come era palese l’insoddisfazione di larga parte dei membri della commissione per la vaghezza delle dichiarazioni e per lo scarso supporto statistico e numerico delle stesse.

A differenza di quanto sosteneva la maggior parte della stampa, la riunione dell’Ecofin non si è risolta in quella sconfitta annunciata delle posizioni della Germania su quella che viene ormai definita la guerra delle tasse, con possibile passaggio alle vie di fatto nei confronti di stati e staterelli riottosi ad adottare criteri comuni in materia di segreto bancario e di abbandono dello status molto proficuo di paradisi fiscali, in quanto l’importante organismo comunitario ha preso impegni da verificare entro la scadenza, prevista per il prossimo mese di maggio.

Più che prevedibili le ferme ed immediate reazioni del Principato di Montecarlo, di quello del Liechtenstein, del Lussemburgo e dell’Austria, reazioni in genere basate sul principio di non voler essere né i primi, né i soli a mettersi in regola, non spingendosi, tuttavia, al punto di mettere sulle loro bandiere “business is business” o il più antico “pecunia non olet”, non fosse altro che per il temibile rischio di finire dritti, dritti sulla temuta black list redatta dalle agenzie internazionali deputate a svolgere attività di contrasto nei confronti di fenomeni quali il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo internazionale o il traffico di droga.

In attesa di vedere se l’Unione Europea deciderà di passare dalle parole ai fatti, ritengo confortante che il giovane Governatore della Banca d’Italia, il professor Mario Draghi, abbia deciso di porre paletti abbastanza invalicabili nell’ambito di quel sistema duale di governance che molti avevano pensato potesse fare rientrare dalla finestra quella spartizione di posti e di attenzione alle “esigenze” del territori che sembrava destinata a finire con il tramonto del modello su base federale e la persistenza infinita delle cosiddette banche marchio che hanno caratterizzato per lungo tempo i due principali gruppi creditizi italiani.

Al proposito, è utile ricordare che l’attivismo del Governatore sta investendo, nell’ordine, l’attiva ricerca di una soluzione alla morte annunciato delle entità create dalle banche per la gestione del risparmio, la spinosa questione dei sempre più attivi e poco regolati mediatori creditizi, l’annosa questione della governance delle banche popolari, gestita, almeno al momento, da nugoli crescenti di ispettori della Vigilanza operanti da mesi in almeno due non marginali banche appartenenti a questa categoria, un approccio più stringente nei rapporti con i principali sei gruppi creditizi ed una revisione della filosofia di fondo relativi ai rischi che passa anche attraverso una maggiore responsabilizzazione dei soggetti vigilati e la concentrazione dell’attività di Vigilanza a livello della sola sede centrale dell’istituto di Via Nazionale, non c’è che dire: molta carne al fuoco, Governatore!