martedì 1 aprile 2008

Provaci ancora, Henry!

Il plico di 22 pagine graziosamente inviato in anteprima da Henry Paulson alle agenzie di stampa che se ne sono fatte generosamente interpreti verso gli altri media era, in fondo, solo l’Executive Summary del ben più corposo progetto dell’immaginifico ministro del Tesoro USA in materia di riforma, alquanto radicale, del sistema regolatorio e di vigilanza sul magmatico mercato finanziario statunitense, magna pars del gigantesco mercato finanziario globale, progetto che spazia per ben 218 pagine e le cui principali previsioni impegneranno il Congresso per gli anni a venire.

Provenendo da uno dei maggiori protagonisti del mondo delle investment banks e che è adiuvato da un folto manipolo di banchieri di vario livello momentaneamente prestati alla politica ed attivamente presenti nell’austero dicastero, non ci si poteva francamente aspettare di meno di quel ventaglio di misure che puntano ad accentrare in un numero ristretto di soggetti la vigilanza preventiva ed ex post di banche di ogni genere, attività finanziaria delle corporations, attività assicurative, trading su azioni, commodities e quant’altro, sia in versione per contanti o a termine, passando per quel mercato dei derivati giunto ad un turn over quotidiano caratterizzato da volumi assolutamente da panico.

Purtroppo per il vulcanico banchiere d’affari e di investimento di lungo corso, parlano per lui e per l’ancor più sfortunato Bernspan le vicende intercorse dal loro rispettivo e relativamente recente insediamento (entrambi si sono insediati nei rispettivi e prestigiosi incarichi nel 2006), vicende che hanno portato al meltdown del settore immobiliare statunitense, fatto sparire l’ottanta per cento delle attivissime, e spesso poste al di fuori delle previsioni della legge federale, entità operanti nel settore del mortgage, letteralmente prosciugati i mercati dei titoli della finanza strutturata, paralizzato di fatto e da mesi l’un tempo vivacissimo mercato interbancario, viste fallire, anche se sempre prese in carico da qualcuno dalle spalle più solide o con alle spalle le sempre amorevoli banche centrali, un discreto numero di banche di ogni specie e dimensione.

E’ ovvio che in uno scenario siffatto, la strana coppia formata dall’ex numero uno di Goldman Sachs, quella investment bank che è veramente e per antonomasia la CIB delle CIB, un’entità che, non certamente a caso, ha previsto il raddoppio dell’improbo incarico di Chief Operating Office (una mansione talmente stressante da richiedere che entrambi gli incaricati abbiano percepito, con riferimento all’esercizio 2007, la bella cifra di 70 milioni di dollari circa cadauno), un uomo che con lo stipendio non esaltante percepito come civil servant ci si compre al più le sigarette ed il mite professore di economia di Princeton, una persona che le crisi finanziarie era abituato a studiarle dal quieto studiolo dell’ameno ateneo, circondato dalla stima dei discenti e dei docenti.

Così come hanno pesato, ieri, nella tiepida ed alquanto scettica reazione degli analisti, degli operatori, dei politici di entrambi gli schieramenti, il ricordo delle recenti sortite di Paulson, dallo strombazzato e poi miseramente fallito MLEC, quel Conduit dei Conduit che, almeno nelle intenzioni del nostro, avrebbe dovuto calmierare i mercati e che è stato affossato dalla necessità per le banche di riprendersi in pancia quella pletora di SIV e Conduit nei quali avevano allocato quella montagna di titoli da esse stesse prodotti e che gli investitori si erano stufati di comprare, ai vani appelli alle banche ed alle compagnie di assicurazione di di re la verità, ma proprio tutta la verità, ai non proprio felici piani, con relativi numeri verdi quasi mai operativi, per affrontare il problema dei mutuatari, assillati di fare la fine dei loro compagni di sventura che, in numero di almeno 2 milioni si erano visti portare via la casa nel solo 2007.

Un bilancio non del tutto esaltante per un uomo che era abituato a guidare i suoi partners di Goldman con una sola alzata di sopracciglio, un personaggio realmente convinto di aver risolto il rebus alchemico di trasformare il piombo in oro, peccato che si trattasse di prodotti finanziari che oggi il mercato valuta spesso a valori che si pongono persino al di sotto dei junk bonds di Milkieniana memoria, titoli spesso originati dalle mirabolanti avventure a spese altrui effettuate dai private equity o dalle mirabili gesta dei matematici alquanto folli degli hedge fund, ancor più spesso originate da avventurieri che ora attendono pazientemente di essere associati alle patrie galere per le loro, spesso confessate, malefatte.

Figurarsi se per me, che predico quasi come una vox clamans in un assoluto deserto la necessità di maggiori regole per il mercato finanziario e, soprattutto, per i suoi disinvolti protagonisti, il progetto corposo ed alquanto di Paulson non rappresenti un oggetto di grande interesse, soprattutto nelle partii volte ad innovare un sistema regolatorio che, in più di un caso, affonda le proprie radici alla fase storica immediatamente successiva alla Guerra Civile americana, un sistema che sino al 1913, e solo per i devastanti effetti della tempesta perfetta del 1907, sentì il bisogno di avere una banca centrale, seppur dalle caratteristiche e dalla connotazione alquanto anomale che ha la Federal Reserve, un sistema che vede la regolazione e la vigilanza sulle attività assicurative spezzettata in tante entità quanti sono gli Stati che compongono la nazione e via discorrendo.

Il problema è, tuttavia, rappresentato dal fatto che, come titolavo nei giorni scorsi, le pur con divisibilità finalità ed anche alcune delle perfettibili tecnicalità proposte da Paulson ed incondizionatamente appoggiate, spero però che almeno le abbia lette e comprese, dal presidente George W Bush, al massimo otterranno l’effetto di chiudere la stalla delle investment banks e delle CIB quando i buoi, vere e proprie mandrie, sono già e da tempo scappati, mentre non vi è nulla, ma proprio nulla che indichi la volontà, alquanto autolesionistica, del ministro, né, tanto meno, del suo presidente, di punire, severamente ed esemplarmente, i principali responsabili, persone e le loro aziende, di quel moral hazard continuato ed aggravato che ci ha portati in questa situazione così complessa e francamente molto difficile da maneggiare.

Dopo una fiammata iniziale più legata alla scadenza tecnica del fine trimestre che ad entusiasmi dilaganti, il mercato azionario statunitense ha decisamente ripiegato nel finale, in perfetta analogia con quanto è accaduto in quel comparto bancario ed assicurativo che è universalmente visto come un imputato che si veda assolto da un’apparentemente maldisposta giuria e che, dopo una fiammata iniziale, è stato costretto a vedere le quotazioni delle rispettive azioni tornare in territorio negativo o chiudere con progressi alquanto modesti, anche per la doccia fredda giunta da Standard & Poor’s che ha deciso di scegliere proprio la giornata di ieri per portare al livello dei titoli spazzatura il rating della compagnia monoline statunitense FGIC, una vera guastafeste, non c’è che dire!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org