venerdì 30 maggio 2008

Dalle Big Five alle Big Four


L’assemblea degli azionisti di Bear Stearns ha approvato oggi la proposta del numero uno della banca favorevole all’accettazione della mini offerta di acquisto dell’intero capitale sociale della storica banca d’investimento newyorkese avanzata, ma solo dopo aver ottenuto un maxi finanziamento di 30 miliardi di dollari a rischio zero dalla Fed, da J.P. Morgan-Chase, una decisione che, ovviamente, mette la parola fine agli 85 anni di storia di Bear e riduce a quattro il numero delle grandi Investment Bank statunitensi, non a caso conosciute sino ad oggi come le Big Five.

Per gli sventurati azionisti che si erano fidati delle false rassicurazioni dei top manager della banca e che avevano, quindi, rinunciato a realizzare 29 dollari per azione nell’ultimo giorno di contrattazioni del titolo prima della fatale nottata in bianco che ha visto i saloni della prestigiosa sede centrale di bear affollate da squadre di uomini della Federal Reserve, della Securities and Exchange Commission, della J.P. Morgan-Chase e, ovviamente dei disperati vertici della banca di fatto già tecnicamente fallita, per non parlare dei 56 dollari a cui aveva chiuso il venerdì precedente, si è trattato di una decisione molto sofferta, anche perché non è certo piacevole vedersi riconoscere qualcosa come un ventesimo del valore massimo toccato dall’azione di Bear soltanto un anno prima.

Quello che è certo è che stuoli di avvocati pagati a molte centinaia di dollari l’ora stanno rovistando nei precedenti e nelle sentenze già emesse su casi analoghi per valutare le probabilità degli infuriati azionisti di riuscire ad ottenere singolarmente o sotto la forma della class action una qualche forma di risarcimento dai top manager dell’orso di Stearns o dalla banca dei nipotini di Pierpoint Morgan o di Nelson Rockfeller (personaggio a cui si ispirò Wal t Disney per il fortunato personaggio di Rockerduk, storico ed acerrimo nemico di Paperon dei Paperoni), se non, per omessa vigilanza, dalle due entità federali sopra citate.

Pur essendo quasi del tutto digiuno di questioni giurisprudenziali così intricate e complesse, suggerirei ai sopramenzionati legali di studiare la deposizione del capo della SEC, l’ormai mitico Effe O Ixs (Fox), davanti agli arrabbiati membri della Commissione bancaria del Senato degli Stati Uniti d’America, una testimonianza nella quale traspariva nettamente l’inadeguatezza dei modelli del potente ente federale, modelli che, per candida ammissione di Fox, non prevedevano in alcun modo la possibilità che una banca in possesso di titoli di prima qualità per centinaia di miliardi di dollari non riuscisse ad ottenere finanziamenti per poche decine di miliardi di dollari dalle altre banche, il che, in altre parole, significa che quei sofisticati modelli non prevedevano il rischio di controparte basato esclusivamente sul clima di sfiducia reciproca tra banche anche di grande dimensione che sta regnando ininterrottamente dal 9 agosto del 2007.

Come ho già avuto modo di dire in una puntata di qualche mese fa, il buco nel modello della Sec, nonché l’organico letteralmente decimato dell’ufficio dell’ente che dovrebbe prevedere le crisi bancarie, nascono entrambi dal semplice fatto che erano molti decenni che non si verificava qualcosa del genere, fatta eccezione per la crisi delle Saving and Loans statunitensi nei primi anni Novanta, una crisi che sta alla tempesta perfetta in corso come una cerbottana sta ad un missile intercontinentale.

Così come non ho dubbi sul fatto che se qualche dirigente con i capelli bianchi avesse avuto l’ardire di suggerire in un orecchi ad Effe O Ics che, sulla base degli avvenimenti del 1907 o del 1929, qualcosa del genere poteva anche verificarsi, ebbene quella donna o quell’uomo avrebbe ottenuto come unico effetto delle sue incaute considerazioni una bella lettera di licenziamento senza nemmeno uno straccio di preavviso o sarebbe stato considerato un inguaribile invidioso/a per le fulminee carriere fatte da schiere di giovani imbecilli sfornati da qualche brillante università americana, semmai con il cognome seguito da qualche lettera romana.

Se vi è un aspetto della crisi finanziaria che desta in me un grande stupore è che, dopo una scoperta come quella appena descritta, vi siano ancora persone che si ostinano a detenere azioni delle Investment Banks o delle banche più o meno globali, alla luce della banale considerazione che, oltre a non essere nessuna di loro immune dal rischio di finire come la povera Bear, vi è anche l’aggravante derivante dal non secondario fatto che le autorità monetarie e governative statunitensi hanno chiaramente detto che un salvataggio del genere, soprattutto in un anno denso di importantissime scadenze elettorali, non si ripeterà.

D’altra parte, non credo sia un caso se proprio oggi i già elevati tassi euribor abbiano segnato un ulteriore balzo in avanti, in particolare per quelli aventi scadenza molto breve, segno inequivocabile che il riscoperto rischio di controparte non è per niente sottovalutato dagli addetti ai lavori operanti nel settore.

Come spesso accade in occasione delle tre letture cui è soggetto ogni dato sul GDP statunitense, anche stavolta il titolo battuto dalle agenzie a caratteri cubitali enfatizzava come, in sede di seconda lettura, la crescita annualizzata USA era giunta quasi a sfiorare l’1 per cento (0,9 per la precisione, cioè poco più dello 0,2 per cento rispetto al miserrimo quarto trimestre del 2007).

Il problema è sorto quando dalla sola headline si è passati, qualche decina di minuti più tardi, al testo completo, che aveva il difetto di rivelare che la crescita più robusta di quanto non apparisse nella rilevazione resa nota qualche settimana orsono era semplicemente dovuta ad un sensibile miglioramento dell’export statunitense, mentre i consumi interni si ostinavano a viaggiare ad un tasso toccato solo durante la crisi del 2001, particolare che ha determinato l’innesto di una rapida retromarcia da parte dei tre principali indici azionari USA che avevano provato in precedenza a fare un balzo, un po’ timido in realtà, in avanti.

Non sono passate 24 ore da quando ho parlato del rischio di un improvviso voltafaccia di Goldman Sachs e di altri primari attori nelle scommesse future one way sul petrolio e le altre materie prime e già il petrolio ha registrato una prima e brusca debacle, perdendo poco meno di 4 dollari in un giorno e fissando poco al di sopra della soglia dei 125 dollari al barile, un tonfo preceduto nelle sedute precedenti da classici segnali di difficoltà a tenere i vertiginosi livelli cui era giunto, livelli che avevano autorizzate stime ancora più stratosferiche sul possibile raggiungimento dei 150, qualcuno addirittura sparava 200, dollari al barile, il che mi induce a ritenere che il bagno di sangue per i new comers in questo gioco pericoloso non sia poi così lontano, al netto ovviamente di qualche ulteriore up and down.

Confesso che non ho avuto il coraggio di vedere cosa ne è stato di Ambac, anche perché ritengo veramente che ad ogni giorno basta la sua pena.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/