sabato 17 maggio 2008

Un amichevole e sommesso suggerimento alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena


La lettura del comunicato emesso in occasione dell’approvazione del bilancio a consuntivo relativo all’esercizio 2007 dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena desta in me un misto di stupore, di perplessità e di curiosità per quello che ne diranno le autorità governative competenti in materia di Fondazioni scaturenti dall’applicazione della legge Amato-Carli che rese necessaria la scissione tra l'azienda bancaria e La Fondazione spesso omonima che si vide conferire le relative quote di possesso delle quote dell'azienda bancaria stessa, un processo di grande rilievo istituzionale e che ha visto coinvolti la quasi totalità degli istituti di credito di diritto pubblico e le casse di risparmio senza eccezione alcuna, ma, e forse soprattutto, in merito a quanto ne penserà il giovane e preparato Governatore della Banca d’Italia, professor Mario Draghi.

Per parte mia, ho avuto, alcuni anni orsono, l’onore e l’onere di tenere un seminario avanzato per i dirigenti nazionali del mio sindacato, la UILCA, nell’ambito del quale, affrontando la trasformazione del settore del credito in Italia dal regime ipervincolistico che lo caratterizzava all’inizio degli anni Ottanta (peraltro, senza soluzione di continuità dalla Legge Bancaria del 1936-1937, facente seguito alla gravissima crisi bancaria allora in corso) alle coraggiose decisioni che i ministri del Tesoro via, via succedutisi assunsero a partire dal 1983 sino quasi alla fine degli anni Novanta.

Ebbene, dalla lettura attenta dei testi legislativi e regolamentari, nonché da quella vera e propria guida che sono i diversi libri che l'allora membro del Direttorio della nostra banca centrale, Pierluigi Ciocca, ha dedicato alle norme ed alla ratio delle stesse in relazione all’industria finanziaria italiana, per non parlare delle considerazioni contenute in un recente saggio di Salvatore Rossi, responsabile del Servizio Studi della Banca d’Italia, o del modello implicito opportuno per le cosiddette Fondazioni bancarie che scaturiva chiaramente dalle varie disposizioni che l’allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, ritenne di adottare in materia, il quadro che emerge dallo stato dell’arte in quel di Siena, ma ancor più le prospettive già dall’ente deliberate, si presenta come un unicum assoluto nel panorama italiano, europeo e, mi sento di dire, addirittura mondiale.

Prego le amiche e gli amici senesi di aspettare almeno un attimo prima di innalzare severamente il sopracciglio e di avere la bontà di seguire il filo di un ragionamento che, almeno in larga parte, propone un approccio deduttivo e basato sui concreti comportamenti di quella pletora di entità che, al pari della Fondazione senese, hanno dovuto confrontarsi con il mutato quadro normativo e regolamentare che le ha costrette al processo di separazione della banca o dalla cassa con la quale erano identificate, prima, e a decidere cosa fare di quella spesso unica e totalitaria partecipazione nell’azienda bancaria, poi, decisioni che, mi permetto di dire, seppur le più disparate tra di loro, raramente hanno assunto la forma e la sostanza di quelle che hanno caratterizzato, caratterizzano e, almeno secondo le decisioni recentemente assunte, minacciano di continuare a caratterizzare l’ente con sede a Palazzo Sansedoni.

Nel seminario già citato, ebbi modo di formulare, con riferimento alla coeva fase del settore creditizio italiano, la teoria delle tre F che stavano a rappresentare Fazio, Fondazioni e Fiorani, individuando in esse, senza, ovviamente, alcuna intenzione di assimilarle o confonderle tra di loro, l’elemento di freno al totale dispiegarsi delle potenzialità derivante dalle scelte che le autorità monetarie e quelle governative avevano coraggiosamente e unilateralmente assunto, scelte che contenevano in sé la possibilità di una completa trasformazione del mercato finanziario italiano, con l’unica e rilevantissima eccezione data dalla debolezza del quadro normativo posto a tutela del risparmiatore, un principio che pure ha, in Italia, rilevanza costituzionale, ma ben gracili gambe normative sulle quali marciare.

Due delle tre F, il non più Governatore Antonio Fazio, uomo certamente molto devoto e pio ma, a mio avviso, disastroso per le scelte concrete che ha voluto monocraticamente assumere nei 13 anni di carica, di Fiorani non parlo per il principio che prevede di non infierire sui vinti (in particolare quando vinti dalla propria vanità e dalla propria limitata competenza), non esistono ormai più, mentre la maggior parte delle Fondazioni bancarie, seppur in molti casi obtorto collo, si è sostanzialmente messa in regola con le previsioni normative e regolamentari o uscendo del tutto dalle banche conferitarie, o mischiando abilmente le carte in modo da garantirsi una certa influenza su soggetti bancari diversi da quello originario e dalle dimensioni finali enormemente più grandi, una scelta che dimostra il coraggio e la lungimiranza di quanti la assunsero e che dovrebbe essere di insegnamento a quanti continuano pervicacemente a ritenere che solo il controllo assoluto della propria banca sia garanzia dell’integrità di una plurisecolare e rispettabilissima tradizione.

Non voglio qui spendere più che qualche parola sulle tre Fondazioni (CRT, Cariverona e Friuladria) che scelsero, non senza patemi e forti contrasti interni, di dare vita, assieme al Credito Italiano ed al da questi controllato Credito Romagnolo, ad Unicredito Italiano, poi Unicredit ed, infine, dopo la fulminea e forse incauta acquisizione di Capitalia, Unicredit Group, o sulle scelte assunte da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo, in relazione all’altrettanto fulminea realizzazione di Intesa-San Paolo, per non parlare della miriade di esempi che hanno visto le Fondazioni bancarie convivere serenamente con altri soci, fruendo degli ingenti benefici fiscali e mantenendo al contempo una discreta influenza sulla banca che le aveva partorite, o sul soggetto risultante da fusioni e/o acquisizioni.

L’obiezione che mi viene mossa più di frequente da persone che stimo profondamente è rappresentata dalla indubitabile circostanza della mia non conoscenza diretta della a loro dire peculiarissima situazione senese, una comunità di, almeno credo, 68 mila anime, prodotto di una storia altrettanto peculiare e che vede nella suddivisione in Contrade, caratterizzate da conflitti che trovano la loro stanza di compensazione nel celeberrimo Palio che si corre due volte l’anno ed al quale il mio amico Gianni Giansanti ha dedicato un volume fotografico, Cavalli al Palio per le Edizioni Whitestar, che è stato talmente apprezzato da meritargli una mostra in loco, nonché permessi per la realizzazione delle bellissime e suggestive immagini raramente concessi ad un non senese.

Pur confessando questo mio imperdonabile limite, mi permetto di osservare umilmente e sommessamente che anche con una quota azionaria del, a solo titolo di esempio, 30 per cento, opportunamente sindacata con uno o più soggetti bancari od assicurativi con proiezione globale, patto di sindacato semmai realizzato in località sicure ed a prova di occhi ed orecchie indiscrete, potrebbe tranquillamente garantire la tradizione, la storia, gli affetti e quant’altro stia a cuore alle donne ed agli uomini che hanno avuto il privilegio di nascere o di essere stati naturalizzati, come è avvenuto al calabrese Mussari, in quel lembo di terra certamente fortunato e benedetto dalle Dee e dagli Dei o dall’unico Dio, sempre che, cosa della quale coerentemente continua a dubitare Eugenio Scalfari, Dio esista.
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Post Scriptum
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Come spesso mi accade, ho dimenticato di spiegare i motivi della mia sorpresa e curiosità in relazione ai conti della Fondazione MPS, conti che, ovviamente, vanno benissimo sul piano reddituale e su quello delle erogazioni, mentre il problema è rappresentato dalla composizione a tendere delle voci dell'attivo patrimoniale, in quanto, con la sottoscrizione della parte spettante dell'aumento di capitale del gruppo bancario omonimo, la Fondazione si troverebbe con un signolo investimento che peserebbe per l'82 per cento circa dei 5,4 miliardi di euro di patrimonio netto, oppure, ma questo è di quasi nulla rilevanza per quanto riguarda le delicate questioni di carrattere istituzionale da me sollevate, del 69,3 per cento dell'attivo totale di bilancio, pari a 6,38 miliardi di euro.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/