mercoledì 30 novembre 2016

Una lezione dal passato: "Lehman Brothers is the next?"


A volte, per comprendere meglio le vicende del presente è utile tornare al passato, anche se, travolti dagli alti marosi della terza ondata della Tempesta Perfetta, vi è qualche difficoltà a ricordarsi di quanto accadde quando si era sotto gli altissimi marosi del primo e alquanto ferale sommovimento della prima ondata. Il post che ripropongo è del 6 giugno del 2008, tre mesi prima di quella caldissima notte del settembre dello stesso anno nel quale Bush Jr, Bernspan e Hank Paulson decisero che Lehman Brothers, a dispetto della sua liquidity pool da oltre 200 miliardi di dollari (più o meno quella che vanta oggi il colosso creditizio tedesco dai piedi di argilla Deutsche Bank) fu fatta ignominiosamente fallire, sull'onda della fine della credenza del Too Big to Fail. La sottopongo all'attenzione dei lettori e delle lettrici del Diario della crisi finanziaria perché credo che si tratti di una lezione amara, forse della più amara di quella che verrà ricordata come la più grave crisi di liquidità di sempre!

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Si chiariscono meglio i contorni del nuovo caso britannico, rappresentato dalle difficoltà di un’altra banca prevalentemente specializzata nel mortgage, la Branford&Bingley, che oltre all’annuncio di perdite lorde per 8 miliardi di sterline è stata anche costretta a rendere noto che è tenuta ad onorare l’impegno ad acquistare mutui per oltre 2 miliardi di sterline, il che non produrrà certo benefici effetti sui conti dei trimestri a venire, così come su quelli dell’intero esercizio 2008, sempre ammesso che B&B sia in grado di sopravvivere nella sua attuale configurazione sino alla fine di questo orribile anno bisesto.

Come notavo nella puntata di ieri, l’aggravante è rappresentata dal fatto che è molto difficile per B&B rivolgersi al mercato per raggranellare capitale fresco, né mettersi alla ricerca di un cavaliere bianco, in quanto ciò è già avvenuto a prezzi di assoluto saldo nei mesi scorsi con l’intervento del fondo di investimento statunitense, Texas Pacific Group, che aveva investito la ben misera somma di 179 milioni di sterline per acquisire poco meno di un quarto del capitale della malcapitata entità britannica.

Ma quello che sta veramente scuotendo il mercato finanziario è la notizia delle cattive intenzione di Fitch, l’agenzia di rating che si è già distinta per la severità dei suoi giudizi su Ambac ed il suo braccio armato Ambac Financial, giudizi emessi nel mese di gennaio, e che ora sarebbe intenzionata a rivedere il rating di Lehman Brothers e di altre importanti banche globali poste al di qua ed al di là dell’Atlantico.

Evidentemente la più piccola delle agenzie di rating ha deciso di fornire ai decision makers politici e finanziari del G7 la prova del suo pur tardivo ravvedimento, cosa che forse le varrà un trattamento diverso rispetto a quello che Bernanke, Paulson, Draghi & Company riserveranno alle impenitenti Moody’s e Standard & Poor’s che si ostinano a tenere in osservazione le maggiori entità del mercato finanziario globale sino al giorno dopo del loro, speriamo sinceramente evitabile, fallimento.

Sarà un caso, ma si assiste sui principali mercati europei ad un significativo fly to qualità che privilegia, ad esempio in Gran Bretagna, la alquanto ripulita Hong Kong Shangai Banking Corporation ai danni delle molto malmesse Barclays e Royal Bank of Scotland, le due banche che ancora si pentono di essersi contese in uno scontro senza precedenti l’olandese ABN AMRO, tristemente fatta a pezzi dal trio vincente composto da RBS, Fortis e quel Santander che è riuscito a rifilare l’appena acquisita Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena, al netto peraltro di Interbanca e di pezzi minori, ad un prezzo realmente remunerativo per un acquisizione durata soltanto lo spazio di un mattino.

Non altrettanto si può dire per la Francia, paese nel quale le tre maggiori banche sembrano accomunate da una discesa delle quotazioni che sembra non operare particolari distinzioni tra entità che pur presentano caratteristiche e problematiche certamente molto diverse, ma che sembrano accomunate da uno scarso appeal nei confronti dei potenziali azionisti, né molto diverso si presenta lo scenario italiano, che vede i primi due gruppi bancari non molto distanti dai minimi storici toccati nel corso di questa tempesta perfetta, mentre il terzo polo in formazione con epicentro in quel di Siena stenta anche a recuperare quel livello dei due euro per azione che sino a pochi mesi orsono sarebbe stato visto come un’onta disonorevole dalla omonima fondazione che ha deciso, o è stata costretta, ad investire nel gruppo bancario poco meno del 90 per cento del suo patrimonio da 5,4 miliardi di euro e che ora cerca disperatamente di trovare dei partner bancario e/o assicurativi di respiro quanto meno europeo che la aiutino a tirarsi fuori dagli impicci nei quali l’ha cacciata Mussari, uno che non è neanche nato a Siena e che, almeno agli occhi degli alquanto inferociti contradaioli, ha cacciato la Fondazione e la Banca in un vicolo cieco che li conduce, pari pari, nelle fauci del molto mal disposto tre volte ministro dell’Economia, quel Giulio Tremonti che già aveva imposto, per legge, il limite del 30 per cento alle Fondazioni di origine bancaria.

Ma, venendo alle odierne vicende americane, è giusto osservare che non ha destato buona impressione tra gli operatori la notizia che, non più tardi di ieri, l’addetto alle consegne di titoli della finanza strutturata di Lehman Brothers si è presentato alla capace discarica aperta dalla Fed di New York alla guida di un vero e proprio convoglio di camion, in luogo del solito camioncino da uno-due miliardi di dollari, al giorno, si intende, facendo crescere le preoccupazioni degli operatori che proprio non riescono a dimenticare che il livello di leverage della storica Investment Bank, così come quello di Morgan Stanley e Merrill Lynch, non si discosta poi molto da quello del defunto orso di Stearns, volenterosamente acquisito a prezzi di vero saldo da quella J.P. Morgan-Chase che si colloca solo poco al di sotto di quel rapporto di circa 30 volte esistente nelle altre quattro appartenenti al gruppo delle Big Five oggi, purtroppo, ridotte soltanto a quattro.

Veramente a poco servirà a Lehman ostinarsi ad acquistare a piene mani i propri titoli come sta facendo veramente senza soste da ieri, così come a poco serviranno le smentite che ricordano tanto i giuramenti del numero uno della sfortunata Bear Stearns nei tre giorni precedenti al collasso, evitato per un soffio dopo la drammatica nottata che ho più volte descritto in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, vicende che sembrano non aver insegnato molto a Bernanke, Paulson ed al capo della Securities and Exchange Commission, l’ormai mitico Effe O Ixs, noto ai suoi contemporanei come Fox, uno che se la batte con l’altrettanto mitico King, Governatore della Bank of England.

Il massiccio buy back in corso in queste ore da parte di Lehman non appare molto diverso dall’altrettanto ostinato modus operandi delle maggiori banche centrali sul mercato dei cambi e su quello della liquidità interbancaria, movimenti alquanto inconsulti che si traducono, nella maggior parte dei casi, in un effetto boomerang che produce più danni di quanto sarebbe accaduto lasciando libero il mercato di sfogare la sua delusione per l’assoluta inutilità degli 8 miliardi di dollari di aumenti di capitale effettuati in questi mesi, così come a poco serviranno i 4 miliardi di dollari di cui parlavano ieri fonti vicine alla banca di investimento o l’eventuale soccorso di qualche fondo sovrano, che non avrà certo modalità meno esose di quelle strappate ad altre banche dagli abili manager di questo particolare tipo di fondi.

Può sembrare paradossale, ma in soccorso di Lehman è veunto un upgrade di un’altra indiziata di possibile default, Merrill Lynch, che cerca di sovrastare l’impatto del pressoché contemporaneo downgrade emesso da Fitch, un giudizio che un normale mercato finanziario dovrebbe valutare con un giusto grado di sospetto, anche se, da umile cronista della tempesta perfetta, devo dire che ho avuto più volte modo di rendermi conto che la maggior parte degli operatori crede solo a quello che vuole credere.

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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/