martedì 24 giugno 2008

Provaci ancora, Bernspan!


Come si sta verificando spesso nel corso di questa lunghissima tempesta perfetta, il mercato azionario sembra sospeso dopo che il fragile vascello del mercato finanziario globale si è appena inabissato rompendo un importante supporto psicologico quale quello fissato sui 12 mila punti del Dow Jones, quasi vi fosse molta incertezza sulla direzione da prendere, ma questo strano fenomeno non ha certo impedito al settore finanziario di sperimentare anche ieri nuovi minimi, con particolare riferimento alle Big Four ed alle banche più o meno globali, per non parlare poi dei nuovi test verso i profondi abissi nel caso delle pluridegradate monoliner, cui si accompagna, sempre da ieri, anche l’europea Dexia che sino a poco tempo fa riteneva se stessa in una situazione molto diversa da quella sperimentata dalle sue omologhe statunitensi MBIA ed Ambac.

Non manca, peraltro, ormai molto al tanto atteso vertice dei capi di stato e di governo del G8 che si terrà alla fine della prima settimana di luglio in Giappone, un appuntamento preceduto dal vertice finanziario dei ministri economici degli otto grandi e dall’importante, anche se alquanto inconcludente, meeting tra un gran numero di paesi produttori e paesi importatori di greggio, a sua volta conclusosi con un aumento pressoché simbolico della già elevatissima quota di produzione appannaggio della fedele Arabia Saudita, un rialzo talmente impercettibile che ha spinto ad un sensibile rialzo il prezzo del barile scambiato sulla piazza di New York.

La forte attesa per il meeting del G8 è facilmente spiegabile con il fatto che il Governatore della Banca d’Italia e presidente del Financial Stability Forum, Mario Draghi, è chiamato a presentare la versione definitiva del rapporto elaborato dall’organismo da lui presieduto ed una versione più o meno aggiornata delle 65 raccomandazioni presentate in occasione del vertice finanziario del G8 svoltosi in quel di Washington a metà dell’aprile di questo anno bisesto anno funesto, un set di misure illustrate in una non proprio gradita anteprima al gotha della finanza mondiale precettato in una cena esclusiva e che hanno letteralmente mandato il boccone di traverso a quel parterre de roi di amministratori delegati e presidenti di banche e compagnie di assicurazione, non pochi dei quali le hanno a suo tempo tentate davvero tutte per non essere presente all’esibizione del duo Draghi-Paulson.

Devo confessare che vi è ormai molto poco da aggiungere al disastro delle compagnie di assicurazione monoline statunitensi, anche perché, seppur giunte con grave e molto colpevole ritardo rispetto alla coraggiosa decisione presa da Fitch il 18 gennaio, anche le due maggiori agenzie di rating, Moody’s e Standard & Poor’s, hanno tagliato di uno o due tacche i rating delle due compagnie, dichiarando al contempo che non finisce qui e che il rating finale di ambedue le disastrate entità giungerà, stavolta in tempi molto più rapidi, a livelli di gran lunga inferiori rispetto a quelli attuali.

Mentre si ode il battere delle ali dei miliardari che hanno deciso di mettersi in posizione in attesa delo squagliamento definitivo della maggior parte delle monoliner, pronti ad approfittare, mediante l’utilizzo dei leggeri ed agili veicoli appositamente costituiti, a fare il loro ingresso in forze nel lucroso e relativamente sicuro business delle emissioni di bond degli enti locali statunitensi di ogni ordine e grado, grazie anche alla decisione dei vertici della maggiori compagnie monoliner di non accogliere l’alquanto interessato suggerimento di un miliardario voglioso di entrare nel loro business, a patto che avessero deciso di splittare il ramo dedicato a fornire garanzie in relazione all’emissione di quei titoli della finanza strutturata che gli investitori ed i risparmiatori non vogliono più.

D’altra parte, l’avvicinarsi delle posizioni sino a qualche tempo fa diametralmente opposte di Henry e John Paulson, omonimi ma assolutamente non legati da alcun vincolo di parentela, impegnati il primo nell’improba fatica di governare la nave nel corso della più grave tempesta perfetta da un secolo a questa parte, mentre il secondo ha provato invano a lanciare l’allarme in tempi non sospetti, facendo nel frattempo quattrini a palate grazie alle sue alquanto inascoltate profezie, previsioni che si sono comunque verificate molto al di sotto della realtà del diastro prossimo a verificarsi e che ora rilancia con una previsione di perdite finali di gran lunga superiore a quella già di dimensioni abnormi lanciata come un macigno dagli esperti del Fondo monetario Internazionale sul già ricordato vertice dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centralizzate degli otto paesi maggiormente industrializzatosi di metà aprile.

I tono insolitamente duri utilizzati dall’altro Paulson, un uomo rotto a tutte le esperienze dell’investment banking, ma che al momento è duramente impegnato nel suo ruolo di pompiere delle ansie e delle paure cui sono preda gli operatori e gli analisti operanti in tutti i paesi del pianeta, con l’aggravante che, anche in virtù della sua duplice esperienza, il buon Henry dispone di stime probabilmente di gran lunga peggiori e verosimilmente molto più vicine al vero di quelle azzardate da John.

L’andamento altalenante del cambio trade weighted della valuta statunitense, il permanere dei tassi interbancari sui livelli massimi, con un innalzamento delle scadenze comprese tra i nove mesi e l’anno, la volatilità presente nei prezzi del petrolio e delle altre materie prime, derrate alimentari purtroppo comprese, sono tutti elementi che inducono a valutare la situazione come prossima ad un punto di rottura che potrebbe essere oltrepassato nel momento in cui i vertici di una o due delle residue quattro Investment Banks americane si vedessero costrette ad alzare le braccia, attendendo, forse invano, la comparsa all’orizzonte di un cavaliere bianco in grado di farsi carico del loro default.

Purtroppo, la situazione si presenta di una gravità tale da non consentire di escludere che qualcosa di analogo possa verificarsi nel teatro europeo, un’area che, con la lodevole eccezione delle due maggiori banche spagnole che sembrano essere passate indenni attraverso gli alti marosi della tempesta perfetta, ha registrato perdite bancarie addirittura superiori rispetto a quelle contabilizzate dalle banche statunitensi, mentre di gran lunga inferiore si presenta la ricapitalizzazione verificatasi in Europa rispetto a quanto è avvenuto nel primo anno della crisi finanziaria negli Stati Uniti d’America.

Non condivido in alcun modo le granitiche certezze degli analisti che si dicono convinti che il FOMC della Federal Reserve iniziato ieri e che si concluderà questa sera si risolverà in un nulla di fatto, un esito che dimostrerebbe una volta di più l’inettitudine di Bernspan e complici.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/