mercoledì 11 giugno 2008

Try it again, Einhorn!


La lunghissima e certamente faticosa conference call della Chief Financial Officer di Lehman Brothers, Erin Callan, rappresenta realmente uno squarcio sul molto misterioso mondo dell’investment banking, uno squarcio particolarmente significativo ove riguardi una entità sotto forte attacco da parte di specialisti del gioco al ribasso aventi a loro disposizione un adeguato volume di fuoco ed aventi in scia un nugolo di imitatori che, pur non disponendo della medesima expertise e dello stesso sangue freddo di David Einhorn, determinano un ulteriore aumento delle difficoltà per chi, come la Callan, è da mesi impegnata a mettere in campo in modo aggressivo strategie difensive al limite del possibile.

Non so quando capiterà nuovamente una simile opportunità, anche alla luce del fatto che la maggior parte degli interlocutori di Erin nella conference call appartenevano a banche di investimento del calibro di Goldman Sachs, Merril Lynch, Citigroup e Deutsche Bank, solo per citare le più importanti e la relazione della CFO e le domande e risposte sono state ad un livello di tecnicalità difficilmente comprensibile per un addetto ai lavori e, almeno in certi passaggi, dense di messaggi trasversali e di rinvii alla conference call che si terrà lunedì prossimo dopo la presentazione ufficiale dei conti del secondo trimestre, che, come la stessa Callan ha ammesso, potrebbero presentare ulteriori ed anche significativi aggiustamenti rispetto alle informazioni da lei presentate.

Confesso che la prima sensazione che ho vissuto leggendo il lungo e denso testo è stata quella di assistere ad uno smontaggio del motore di una vettura di formula uno in piena corsa, anche perché non credo sia impresa meno ardua di quella effettuata in questi mesi da Lehman nel tentativo, parrebbe riuscito, di ridurre il leverage lordo della casa a 25 volte il patrimonio (da livelli superiori al 30 per cento) e quello netto a 12,5 volte, un livello che risulterebbe proibitivo per una banca tradizionale, ma di quasi tutta tranquillità per una delle superstiti quattro grandi Investment Banks statunitensi.

Risparmio ai lettori l’elenco delle perdite per settore di attività, anche perché poco rappresentativo del punto che più sta appassionando gli operatori e gli analisti e che è, invece, dato dalla composizione delle attività incluse nella maxi svendita per 130 miliardi di dollari effettuata in un periodo di tempo non meglio precisato, ma che non dovrebbe avere avuto inizio prima dei primi mesi del 2007, anche perché la relativamente contenuta entità delle perdite al momento annunciate farebbe propendere, come uno degli interlocutori ha maliziosamente sottolineato, verso la conclusione che si sia venduta in larga misura la migliore argenteria di famiglia, consentendo così solo in minima misura l’alleggerimento delle posizioni classificate come Third Level, quelle, cioè, a più alto rischio e più onerosa liquidabilità.

Ricordo perfettamente il modo in cui ho aperto la puntata precedente, con una vera e propria invettiva nei confronti della assoluta disinvoltura delle dichiarazioni rilasciate dai massimi vertici di Bear Stearns poche ore prima del salvataggio e, in questi giorni, pari, pari replicate dall’amministratore delegato e dal presidente di Lehman Brothers, ma, avendo a mente i rigori previsti dalla Sarbanes-Oxley per la specifica figura del Chief Financial Officer e le opportune precisazioni formulate dal dirigente addetto alle Investor Relations in apertura della conference call, nonché le dovute avvertenze della stessa Callan, credo proprio che quanto è stato detto corrisponda in buona misura allo stato dell’arte nell’alquanto disperata ma molto blasonata Investment Bank pesantemente sotto tiro da mesi.

A prescindere dai dettagli e dalle tecnicalità, il messaggio che la Callan ha voluto lanciare al mercato è quella di avere costituito una base di liquidità che, almeno a suo parere, consentirebbe a Lehman di evitare la sorte dell’orso di Stearns, alla luce di un cash per 15 miliardi di dollari ed una liquidity pool di dimensioni tre volte superiori, mentre il capitale di lungo termine è stato portato ad un ammontare che supera di poco i 150 miliardi di dollari, munizioni solo in piccola parte legate ai ripetuti aumenti di capitale effettuati a partire da aprile per complessivi 12 miliardi di dollari, anche perché va comunque fronteggiata la prevista perdita nel secondo trimestre che, salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe sfiorare i 3 miliardi di dollari.

In tempi diversi dalla tempesta perfetta, le cifre fornita da Erin avrebbero determinato un fortissimo balzo in avanti delle quotazioni di Lehman, un rialzo che si sarebbe protratto per diverse sedute, consentendo un significativo recupero delle considerevoli perdite registrate a partire da settembre, mese in cui, lo ricordo, è iniziato l’attacco di Einhorn e di altri miliardari ad una dozzina di entità rilevanti operanti a vario titolo nel mercato finanziario globale, ma, del resto alquanto prevedibilmente, questo non solo non si è verificato ieri, ma abbiamo dovuto registrare un ulteriore tonfo delle quotazioni di lehman ed un certo fly to quality di cui hanno beneficiato le sue principali concorrenti.

Per spiegare l’apparente contraddittorietà di ciò, mi vedo costretto nuovamente a scomodare John Maynard Keynes, non tanto attingendo alla sua dottrina economica, quanto alle sue esperienze di investitore molto sfortunato, almeno sino a quando si è ostinato a ritenere che quello che realmente contava era la valutazione quasi scientifica del reale valore dell’impresa nella quale investire i soldi propri e, ahimé, anche quelli della sua agiata famiglia, giungendo a portare i tre componenti del nucleo ai limiti del fallimento personale.

In un articolo pubblicato nel lontano 1987 su Il Manifesto, dal titolo “Imparare dagli stupidi per gabbarli”, ho ripercorso questa amara esperienza personale di Keynes e la successiva illuminazione che lo portò a comprendere le determinanti ultime dell’agire economico dell’essere umano, quel micidiale mix di stupidità, avidità e paura che consentiva, in quel casinò che anche a quei tempi era il mondo della finanza, vincite e perdite raramente spiegabili se non con ragionamenti costruiti ex post e di come fosse possibile, quindi, attingere ai corollari di questa evidenza per anticipare i movimenti di quello che molto più tardi fu definito il parco buoi, cosa che il nostro fece, divenendo in breve tempo veramente molto ricco, al punto da potersi permettere grandi gesti di liberalità nei confronti della sua vasta cerchia di amici, in particolare di pittori e scrittori bravissimi ma spesso in difficoltà economiche, come Virginia Woolf e tanti altri.

Per questo e per molti altri motivi, credo proprio che Einhorn non mollerà l’osso che sta stringendo tra i suoi forti denti, come peraltro viene esplicitamente invitato a fare dagli inviperiti vertici di Lehman, con un linguaggio che ricorda quello usato dall’ottuagenario Antoine Bernhaim nei confronti del giovane Davide Serra alla recente assemblea delle Generali, anche perché uno come lui sa benissimo che questo immane sforzo difensivo illustrato così bene da Erin rende molto più probabile il completo successo della sua scommessa, una scommessa che, nel frattempo, lo ha già reso ancora molto, ma molto più ricco.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/