mercoledì 23 luglio 2008

Riusciranno Mario Draghi, Giulio Tremonti ed Antonio Catricalà a correggere le anomalie del sistema bancario italiano? (quarta parte)


La semplificazione dell’assetto di vertice del sistema bancario italiano intervenuta con l’aggregazione, a coppie, delle prime quattro entità poste al vertice della classifica per total assett, ha consentito di mettere a nudo più facilmente le residue, ma molto importanti, anomalie tuttora esistente nel settore creditizio del Belpaese e che continuano a rendere l’Italia non assimiliabile ai sistemi creditizi più evoluti, in particolare a quelli basati sul modello anglosassone, anomalie sostanzialmente rappresentate, da un lato, dall’anomalo rapporto tuttora esistente tra le Fondazioni di origine bancaria e le banche da cui, per scissione sono nate, o i gruppi creditizi che le stesse Fondazioni hanno contribuito a creare, mentre, dall’altro, è dato dalle questioni legate alla natura cooperativistica e le conseguenti problematiche in tema di governance relative al mondo delle banche popolari, con particolare riferimento a quelle di grandi dimensioni, peraltro quotate in Borsa.

Non è, quindi, un caso se l’attenzione di Mario Draghi e quella di Giulio Tremonti, nelle rispettive competenze di Governatore della Banca d’Italia e di, in questo caso per la terza volta, ministro dell’Economia, è ai livelli massimi nei confronti di queste anomalie, che, almeno in alcuni e ben circoscritti casi, sembrano assolutamente determinati a superare, mediante l’utilizzazione dell’ampia strumentistica a loro disposizione, mentre l’attivismo di Antonio Catricalà, nella sua veste di presidente dell’Antitrust, è, ovviamente, più rivolto alla soluzione dei problemi legati alla particolare forma di mercato prevalente nel settore del credito che presenta, ancora oggi, elementi propri del modello dell’oligopolio collusivo, anche se non vanno negate le promettenti presenze di germi concorrenziali a livello, purtroppo, ancora embrionale.

Le due maggiori criticità nei due rispettivi ambiti sono rappresentanti dall’assoluto predominio della Fondazione Monte dei Paschi di Siena sull’omonimo gruppo, con il pesante corollario dell’assorbimento, dovuto alla pesantissima acquisizione di Antonveneta, di poco meno del 90 per cento del patrimonio disponibile della Fondazione medesima, mentre per quanto riguarda le banche popolari, non vi è dubbio alcuno sulla ferma intenzione di Draghi di indurre, con le buone o con le cattive, la Banca Popolare di Milano ad adottare un modello di governance che garantisca pari opportunità di rappresentanza a tutti i soci, mettendo la parola fine ad un sistema che consente ai soci dipendenti, attivi o in quiescenza, di controllare la stragrande maggioranza dei posti del molto ampio Consiglio di Amministrazione, avendo al contempo ampia voce in capitolo sulle scelte gestionali e sugli organigrammi interni.

Mentre, nel secondo caso, il Governatore ha utilizzato la strada della Vigilanza, mediante l’invio di una folta squadra di ispettori, raddoppiata in corso d’opera, che è poi sfociata nella lunga relazione sui risultati dell’ispezione non casualmente tenuta in prima persona dalla responsabile della Vigilanza, Anna Maria Tarantola, che ha anche letto una missiva personale di Draghi ed ha lasciato agli attoniti consiglieri meno di sei mesi per riformare lo Statuto della banca in conformità alle stringenti raccomandazioni di Via Nazionale, molto più ardua e complessa si presenta la strada da percorrere per indurre i riottosi vertici della Fondazione senese a diluire in modo estremamente significativo la preponderante maggioranza azionaria nel gruppo omonimo.

In entrambi i casi, il Governatore ha trovato opportune sponde interne, rappresentate, in ambito BPM, dal presidente Mazzotta e dalle più che tempestive dimissioni del direttore generale, Viola,dimissioni più che motivate dall’interessato e con motivazioni che, molto significativamente, riecheggiano molte delle considerazioni rappresentate dalla dottoressa Tarantola, nonché una palese divisione del fronte sindacale interno, che vede tre sigle più aperte rispetto alla necessità di cambiare qualcosa per evitare approcci più drastici che finirebbero, per un molto malinteso conservatorismo, per gettare via il cosiddetto bambino insieme all’acqua sporca, mentre, per quanto riguarda la questione senese, non vi è dubbio che la decisione fulminea dell’ex presidente della Fondazione ed attuale numero uno del gruppo bancario, Mussari, ha determinato, non si sa quanto volontariamente, le condizioni per una necessaria apertura dell’azionariato a soci non necessariamente italiani e dotati delle cosiddette spalle forti, necessarie per cavare gli inquilini di Rocca Sansedoni dagli impicci nei quali si trovano e che non sono in alcun modo risolvibili dalla più che prevedibile vendita dei residui gioielli di famiglia.

Avendo dedicato più di una puntata del Diario della crisi finanziaria alla ricostruzione, ovviamente basata su ragionamenti logici e niente di più, delle intenzioni del giovane e preparato Governatore, non crdo sia necessario tornare sui dettagli dell’operazione che potrebbe vedere nascere il terzo polo bancario ed assicurativo italiano, mediante l’acquisizione e successiva incorporazione della Banca Nazionale del Lavoro da parte della banca senese, così come l’acquisizione della Unipol che consentirebbero al partner assicurativo di Siena, la francese AXA di realizzare in Italia una compagnia che si porrebbe immediatamente alle spalle di Sai-Fondiaria.

La presa di posizione del sindacato interno della banca di Rocca Salimbeni (ma quante rocche ci sono in quel di Siena?) contraria all’introduzione della figura dell’amministratore delegato, attualmente non prevista dallo Statuto, ha rafforzato in me l’idea che tale carica potrebbe essere prevista a breve ed essere occupata da Matteo Arpe, che, pur avendo rifiutato di recente il posto di numero uno di Deutsche Bank Italia, difficilmente resisterebbe alla prospettiva di un ritorno alla grande sulla scena bancaria nazionale forzatamente abbandonata per le ragioni che descrivevo nella puntata di ieri, anche perché, nel frattempo, è asceso ad analoga carica in BNL Gallia, persona con la quale ha avuto modo di lavorare molto bene in Capitalia, cosa che potrebbe ripetersi in ambito Monte dei Paschi.

Pur essendo frutto di personali ragionamenti, non vi è dubbio che la soluzione che intravedo per il Monte dei Paschi di Siena, al di là dell’esattezza nell’individuazione dei protagonisti (sia persone che aziende), avrebbe il pregio di cavare le castagne dal fuoco ad una pluralità di soggetti italiani e stranieri, che difficilmente possono, in tutta onestà, dirsi soddisfatti dello stato attuale delle cose, realizzando, inoltre, sinergie di non poco momento e contribuendo a quella semplificazione degli assetti di sistema che la terza fase del processo di ristrutturazione del settore finanziario italiano non ha ancora prodotto, per non parlare poi della novità che sarebbe rappresentata dal superamento del modello attuale di bancassurance realizzabile con la realizzazione di un vero gruppo bancario ed assicurativo che rappresenterebbe un elemento di assoluta novità nel panorama creditizio italiano.

La doppia soluzione prossima ventura delle due criticità sopra esposte consentirebbe di evitare stravolgimenti ancora più radicali che, seppure personalmente da me ritenuti opportuni per la modernizzazione del sistema e per una maggiore omogeneità dello stesso all’esperienza di paesi più evoluti in campo finanziario, certamente non sarebbero graditi dalle potenti associazioni di categoria delle banche popolari da un lato e del mondo delle Fondazioni bancarie dall’altro.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.