sabato 23 agosto 2008

E' meglio ascoltare il guru Sinai!


Per chi non ha avuto modo di conoscere Allen Sinai, storico Chief Economist di Lehman Brothers per lungo tempo, ma poi messosi in proprio con una sua società di previsioni, credo proprio che potrebbe legittimamente derubricare le sue molto pessimistiche valutazioni in relazione alla tempesta perfetta in corso come una delle tante facili profezie fatte quando le cose vanno, come purtroppo sta accadendo, realmente male.

Avendo seguito attentamente il suo lavoro, almeno per quanto è possibile per chi non ha la fortuna di essere cliente della sua Decision Economic Inc., devo, invece, dire che la lettura della sua intervista apparsa sul quotidiano La Repubblica di giovedì 21 ha prodotto su di me un notevole effetto, in quanto Sinai ha detto con relativa tranquillità che 1) non vi è speranza alcuna che Fannie Mae e Freddie Mac possano proseguire la loro attività come public company e 2) che una grande istituzione finanziaria è destinata a fallire nei prossimi mesi, ma che per quanto gli consta questa non sarà Lehman Brothers, due importanti affermazioni delle quali, da par suo, fornisce una spiegazione che considero alquanto convincente.

Per quanto riguarda le due disastrate entità semipubbliche, ma regolarmente quotate e le cui azioni sono, al momento, esclusivamente in mano ad azionisti istituzionali e semplici investitori/risparmiatori, Sinai spiega che gli abnormi livelli di debt/capital ratio che fanno gridare allo scandalo nel caso delle quattro superstiti Investment Banks statunitensi e che pochi mesi orsono e prima del selvaggio processo di deleverage messo in atto da tutte e quattro le entità si aggiravano intorno al livello di 30 a 1, sono stati superati alla grande da Fannie e Freddie, che, viste come fossero un’unica entità, sono giunte ad un livello che vede i 5.200 miliardi di indebitamento porsi a 65 volte gli 83,2 miliardi di dollari di capitale cumulato, un dato che rende veramente risibile la recente testimonianza del numero uno di Fannie davanti all’apposita commissione del Congresso USA e nella quale il nostro ha avuto la faccia tosta di dire che il livello del capitale è più che adeguato.

Il guru americano indica nell’intervento pubblico nel capitale di Fannie e Freddie la soluzione più probabile, anche se sorvola sul piccolo particolare che tale intervento non può che prevedere l’amara precondizione dell’azzeramento più o meno totale del valore residuo delle azioni attualmente in mano a quelli che più che azionisti sembrano incalliti frequentatori del tavolo della roulette o del black jack (si consideri soltanto che il valore residuo delle due azioni oscilla attorno al 5 per cento del massimo degli ultimi due anni), il che pone a sua volta le condizioni per un selvaggio sell off prima che suoni, ovviamente in un week end (e, quindi, a mercati rigorosamente chiusi), la campana che annuncia la fine della corsa!

Ovviamente, il cambio in corsa della composizione dell’azionariato di Fannie e Freddie (ma perché nessuno si occupa della povera Sallie Mae, più piccola è vero, ma veramente essenziale per gli studenti universitari statunitensi?) avverrà in una data ed a condizioni che sono note soltanto al ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, che sarà pure uomo d’onore, ma proviene sempre, come il sottosegretario non ancora piazzato sulla tolda di comando di qualche banca, dal mondo dell’investment banking e che, pur non rivelando soggettivamente alcun segreto d’ufficio, è ampiamente prevedibile dagli esperti delle banche più o meno globali, molto meno dai semplici risparmiatori/investitori, il che pone inevitabilmente un altro dei problemi messi drammaticamente in luce dalla crisi finanziaria in corso e che è rappresentato dalla totale disparità di informazioni, strumentistica e know how tra i giocatori di professione ed i turisti di quel grande casinò a cielo aperto che è oramai diventato il mondo della finanza.

Ma siccome raramente il diavolo è in grado di fare i coperchi insieme alle classiche pentole, nessuno, neanche uno dei guru più ascoltati a Wall Street come Sinai indubitabilmente è, è in grado di dire come saranno gestiti i 5.200 miliardi di indebitamento delle due entità, in larga misura rappresentati da quei GSE che solo una sorta di superstizione ha reso analoghi ai Treasury Bonds, a dispetto della piccola differenza rappresentata dall’assenza, per i GSE, della garanzia statale, garanzia che non può essere loro, sic et simpliciter, estesa, per il semplice motivo che, negli Stati Uniti d’America, esiste un limite costituzionale al livello dell’indebitamento, limite che il Congresso ha da non molto elevato a quei 9 mila miliardi di dollari che già dovrebbero essere superati alla luce dell’andamento veramente disastroso dei conti pubblici federali, per non parlare di quelli dei singoli Stati, delle Contee, dei municipi e delle tante entità facenti capo alle tre macro realtà.

Certo, un’iniezione di capitale di 100-200 miliardi di dollari renderebbe più agevole la gestione dello stock del debito, così come potrebbe favorire una netta riduzione dei tassi sui certificati a cinque anni che sono giunti all’incredibile livello del 16 per cento, anche se sarebbe molto più opportuno un progetto che veda grandi investitori privati, inclusi quelli istituzionali, che dovrebbero sentire la necessità di supportare un tassello così importante del mortgage statunitense, vera colonna portante dell’American Dream! (ma, interpellato, Warren Buffett ha già detto no)

I miei pochi ma affezionati lettori mi scuseranno se mi appassionerò di più alla seconda delle affermazioni di Allen Sinai, anche perché riguarda la sopravvivenza della piccola ma molto blasonata casa di investimenti per la quale ha lavorato così bene e così a lungo, premettendo subito che non mi ha sfiorato nemmeno per un istante l’idea che il suo ottimismo fosse legato a questioni di affezione o, peggio, di portafoglio, anche perché non solo credo nella sua integrità, ma per la molto più banale ragione che la sopravvivenza della sua società attuale è strettamente legata a quella reputazione che Sinai ha saputo pazientemente costruire e consolidare attraverso le molto travagliate vicende dell’economia e della finanza statunitensi e globali.

Sinai scommette sulla sopravvivenza di una Lehman molto, ma molto ridimensionata e che accetti di tornare a quello che è stato il suo core business, rinunciando alle gestioni patrimoniali ed a tutte quelle attività che hanno portato all’inferno le Investment Banks e le divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali ed io credo che questo potrebbe anche essere possibile, sempre che l’attuale capitano del molto malandato vascello, Richard Flud, abbia la capacità, il coraggio e quel pizzico di spregiudicatezza necessari per consentire ala sua banca di sopravvivere e non affondare miseramente spezzata dagli altissimi marosi della tempesta perfetta in corso.

Resta, ahinoi, la previsione di Sinai che comunque almeno una grande istituzione finanziaria globale debba soccombere, anche se sull’identità di questa banca moritura il nostro molto prudentemente non si pronuncia e lascia a noi l’arduo busillis!.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.