giovedì 16 ottobre 2008

Non è proprio un bel segnale se i tre maggiori hedge funds abbandonano i mercati azionari!


Dalla gazzetta di bordo della decimata flotta delle maggiori protagoniste della finanza globale, il Wall Street Journal, apprendo che i tre maggiori hedge funders hanno dimostrato ancora una volta di avere capito tutto ed hanno liquidato per tempo le loro posizioni sull’azionario, parcheggiando decine di miliardi di dollari in strumenti del mercato monetario, diventando così del tutto o in larghissima parte liquidi e del tutto indifferenti al più che prevedibile rally che ha caratterizzato lunedì le borse di tutto il mondo (martedì mattina il Nikkei 225 per ragioni di chiusura per festività nel giorno dell’euforia collettiva), un balzo in avanti senza precedenti legato alle speranze indotte negli alquanto disperati analisti ed operatori dallo scatto di reni verificatosi in Europa con l’approvazione pressoché pedissequa da parte dei paesi dell’euro zona del piano di salvataggio elaborato per Gordon Brown da un ex banchiere pentito che attualmente presta gratuitamente, ma molto fattivamente, la sua opera da ministro del governo britannico.

L’ingresso nel porto sicuro della liquidità delle navi ammiraglie dei maestri indiscussi della volatilità, sta gettando nello sconcerto gli altri 7.997 vascelli impegnati nello stesso ramo di attività (o almeno quanti tra di loro non hanno dovuto chiudere i battenti a causa della marea montante dei riscatti pretesi dai loro molto infuriati sottoscrittori), che stanno freneticamente cercando di replicare, come sono soliti fare, le mosse di autentici mostri del settore quali Stephen Cohen, di Sac Capital Advisors, Israel Englander, del fondo Millenium Partners e, the last but not the least, John Paulson dell’omonimo Paulson & Company, che è poi quel personaggio che per primo quantificò in 1.300 miliardi di dollari le perdite legate alla tempesta perfetta, bagnando il naso agli economisti alle dipendenze del Fondo Monetario Internazionale, allora fermi ad una stima di 200 miliardi, poi divenuti 945, per giungere, nello scorso week end, alla cifra di 1.400 miliardi di dollari, 600 circa dei quali a carico delle banche europee.

I tre hedge funds in questione gestiscono complessivamente 63 miliardi di dollari, anche se il solo Paulson (non ha nessun grado di parentela con Hank, l’ex (?) investment banker attualmente alla guida del dicastero del Tesoro Usa, che, anzi, in un pranzo recente, avrebbe dichiarato, secondo quanto ha raccontato Richard fuld nella sua drammatica audizione al Congresso, di “voler uccidere gli hedge funds cattivi e regolamentare duramente tutti gli altri”) ne gestisce 35 ed ha guadagnato ben il 20 per cento scommettendo sulla direzione dei venti della tempesta perfetta virulentemente ancora in corso ad oltre quattordici mesi dal suo inizio, mentre è rimasto pressoché in pari Englander e peggio è andata a Stephen Cohen che, pur perdendo il 9 per cento ha nettamente battuto il Dow Jones che ne ha persi quasi trenta di punti percentuali, ma che ha bruscamente accentrato i portafogli dei suoi gestori che, almeno a suo dire, “non vedevano più la palla”, il che non è poi strano viste le avverse condizioni meteorologiche determinate dalle crescenti ondate della tempesta in corso.

Ma perché i topi stanno precipitosamente abbandonando la nave? Come mai i maggiori esperti nello sfruttare le onde della volatilità in base al loro know how, la migliore strumentazione esistente sul mercato e ad un fiuto da setter inglese, si sono ritratti come fossero un sol uomo dalla fase di massima volatilità sui mercati di ogni ordine e specie mai registrata a memoria d’uomo?

Ebbene, almeno per questi tre, non regge assolutamente la facile spiegazione legata al timore dei riscatti, in quanto i loro sottoscrittori hanno buone ragioni per continuare a nutrire una fiducia pressocchè cieca nei loro tre eroi che, nel durissimo processo di selezione che caratterizza il mercato finanziario in generale ed il settore degli hedge funds in particolare, hanno mostrato il loro valore in mille battaglie, beneficiando peraltro del fly to quality che sta inducendo i massicci riposizionamenti degli investitori, il che ci lascia una sola spiegazione che poi, come spesso accade, è la più semplice e coerente con le loro recenti azioni concrete: hanno una fifa blu del comportamento da mandria di bufali impazziti che caratterizza quello che i vecchi operatori di borsa chiamavano il parco buoi!

L’etichetta di keynesiani e neokenesiani è certamente molto spesso attribuita el tutto a sproposito a persone che dimostrano di non avere capito un accidente del pensiero di John Maynard Keynes, ma credo proprio che Paulson, Englander e Cohen abbiano pienamente compreso quella parte del pensiero del mai troppo compianto economista di Cambridge relativa al comportamento degno di un manuale psichiatrico della maggior parte dei risparmiatori/investitori, un comportamento nella maggior parte dei casi del tutto irrazionale che può essere sfruttato alla grande da volponi come certamente sono questi tre, tranne quando la paura si trasforma in panico, o in brevi fasi di euforia dagli effetti altrettanto perniciosi del menzionato panico, del quale rappresentano proprio l’altra faccia della medaglia.

Non ho chiuso del tutto a caso ogni forma di comunicazione con il crescente numero di lettori del Diario della crisi finanziaria, in quanto, nelle poche puntate in cui avevo lasciato la possibilità di inviare posts, ero stato sommerso da richieste di consulenza su investimenti già effettuati o da effettuare, un’attività per la quale non solo non sono abilitato, ma per la quale non nutro alcuna forma di interesse, ritenendo fermamente che la maggior parte di quelli che decidono di distaccarsi dal proprio denaro dovrebbero prima fare a sé stessi un profondo esame di coscienza sulla loro preparazione specifica, sulla strumentazione di cui dispongono e sulla autoassegnazione di stringenti regole di stop loss e profit taking, ancora più severe di quelle che le entità finanziarie assegnano ai loro dipendenti, un percorso alquanto severo che non credo proprio caratterizzi coloro che decidono di investire in azioni, obbligazioni o quant’altro viene offerto dall’un tempo magico mondo della finanza più o meno globale!

Quella che si era aperta come la settimana della riscossa dei mercati, rischia molto seriamente di replicare la certo non esaltante performance che ha caratterizzato l’ottava scorsa, mentre apprendo con soddisfazione che il prezzo del greggio si è appena posto al di sotto della previsione che avevo formulato il 31 dicembre del 2007, il che mi consente molto più tranquillamente di confermare il nuovo obiettivo formulato di recente e che vede il greggio a 50 dollari al barile entro la fine dell’anno.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.