lunedì 24 novembre 2008

Basterà il maxi piano di salvataggio ad evitare il default o lo spezzatino di Citigroup?


La notizia del tentativo di salvataggio del colosso creditizio Citigroup è giunta stamane all’apertura dei mercati asiatici, il Nikkei era chiuso per festività, ma non è riuscita, vista la vaghezza dei dettagli, ad impedire la chiusura in rosso di Hong Kong e di Shanghai, perdite, tuttavia, alquanto ridotte rispetto allo scivolone iniziale registrato da entrambi i listini.

Si tratta di un piano di intervento alquanto complesso, che prevede un’ulteriore iniezione di capitale per 20 miliardi di dollari dopo i 25 miliardi già stanziati un mese fa circa, mentre la parte più interessante riguarda una garanzia offerta dal Dipartimento del Tesoro, dalla Federal Reserve e dalla Federal Deposit Insurance Corporation sulle perdite potenziali relative a 306 miliardi di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che fanno parte dei 2.000 miliardi di dollari di total assets facenti capo a Citi (erano 2.500 prima dell’energica cura dimagrante prescritta dal giovane Chief Executive Officer indiano, Vikram Pandit, pisologicamente assistito da quella vecchia volpe che risponde al nome di Robert Rubin, una vita spesa in Goldman Sachs, poi ministro del Tesoro sotto Bill Clinton ed, infine, un incarico pressoché onorifico da 60 milioni di dollari l’anno proprio in Citigroup).

I 20 miliardi di dollari in azioni ordinarie di Citi saranno a carico del TARP, il fondo da 700 miliardi di dollari approvato dal Congresso dopo tante incertezze e l’insurrezione della minoranza repubblicana, mentre il costo non quantificato della garanzia andrà a carico delle tre entità federali coinvolte nel salvataggio, anche se è previsto che i primi 29 miliardi di dollari di perdite andranno a sul conto economico di Citi, mentre la restante parte sarà sostenuta dallo Stato per il 90 per cento (la parte a carico della Fed prenderà la forma di un finanziamento a Citi), mentre il 10 per cento sarà sostenuto dalla banca.

Non è solo previsto che il costo della garanzia sarà trasformato in azioni privilegiate di Citi per 7 miliardi di dollari, ma è stato anche scritto nero su bianco che il dividendo trimestrale per azione non potrà essere superiore ad un centesimo di dollaro per i prossimi dodici trimestri, contro i 16 centesimi attuali ed i 32 centesimi pagati nello scorso trimestre (si consideri che per una regola non scritta le azioni della banca garantivano, negli anni passati, un rendimento del 7,5 per cento, quasi si trattasse di obbligazioni e non di titoli di rischio e pertanto legati all’effettivo andamento della gestione), mentre vengono previste anche non meglio precisate limitazioni alle remunerazioni ed aboliti i bonus precedentemente previsti.

Ma la parte più importante del piano di salvataggio della seconda banca commerciale statunitense, peraltro presente in 100 paesi del globo, prevede l’estensione del modello Indymac, la banca californiana andata a zampe all’aria a luglio, di rinegoziazione dei mutui, un modello che prevede che i mutuatari in difficoltà paghino soltanto il 3 per cento di tasso e che l’importo annuale delle rate non superi il 38 per cento del reddito del mutuatario, una soluzione che mira a ridurre al minimo il numero di espropri immobiliari e che oltre che da Citigroup, verrà prossimamente adottato anche dalle nazionalizzate Fannie Mae e Freddie Mac.

Come ben evidenziato dal comunicato diffuso stamane dalle tre entità governative impegnate nel salvataggio di Citi, alle intense negoziazione ha partecipato anche il futuro ministro del Tesoro statunitense ed attualmente presidente della Fed di New York, Timothy Geithner, oltre che ovviamente ai numeri uno attuali del ministero del Tesoro, della Fed e della FDIC, una presenza che ha certamente influito sulle modalità tecniche e ‘sociali’ dell’intervento, nonché sulle limitazioni alle retribuzioni ed ai dividendi e sulla sospensione dei bonus.

L’aspetto più inquietante del gigantesco financial bailout è rappresentato dal fatto che, ad onta delle sue dimensioni, non è del tutto sicuro che sarà sufficiente a risolvere tutti i problemi di una banca che era ritenuta sino a pochi mesi orsono una delle meno toccate dagli alti marosi della tempesta perfetta in corso oramai da sedici mesi e mezzo, tanto è vero che era stata prescelta per il salvataggio di Wachovia Bank, la quarta banca statunitense, finita poi nelle braccia, pare alquanto più solide, della Wells Fargo, la banca che trae le sue origini dalla compagnia che assicurava le comunicazioni nell’allora selvaggio West.

La reazione dei principali mercati azionari europei alla notizia del tentativo di salvataggio di Citigroup è stata, ovviamente, quasi euforica, con rialzi che stamane andavano dai 2 ai quasi 4 punti percentuali, anche se sono risultate subito evidenti l’andamento in netta controtendenza delle due maggiori banche francesi che, a differenza delle altre banche europee e delle principali compagnie di assicurazione, segnavano flessioni significative che contrastano nettamente con il forte rialzo della britannica Barclays o della svizzera UBS, mentre improntate a molto maggiore prudenza appaiono i rialzi delle banche italiane e delle altre banche poste al di qua ed al di là della Manica.

Una spiegazione dell’andamento difforme delle banche europee potrebbe essere ascrivibile all’indeterminatezza dei piani di razionalizzazione e concentrazione prossimi venturi da parte dei governi dei quattro principali paesi dell’Unione europea, il che spiegherebbe, almeno in parte, il motivo del balzo in avanti delle quotazioni delle azioni delle poche banche che hanno deciso di non utilizzare i finanziamenti pubblici e di rivolgersi ai propri azionisti per gli indispensabili aumenti di capitale.

Non resta che attendere la reazione dei mercati azionari statunitensi che, dopo il rally di venerdì scorso legato alle sempre più probabili nomine nella futura amministrazione Obama, daranno modo di comprendere meglio quante chances il mercato attribuisce alle possibilità di successo del salvataggio di Citigroup.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.