martedì 4 novembre 2008

It's deflation, stupid!


Quanti speravano nella continuazione del rally delle borse che la settimana scorsa è riuscita ad impedire che il mese di ottobre dell’anno di disgrazia 2008 non battesse il record dello stesso mese del 1987 (siamo, infatti, rimasti ad un -17,7 per cento contro il pesantissimo -23 per cento di ventun anni orsono), saranno rimasti davvero gelati oggi quando è stato diffuso il dato riassuntivo relativo all’indagine dell’Institute for Supply Management che l’indice che misura l’attività manifatturiera è crollato in ottobre ad ottobre a 38,9 contro una lettura di 43,5 riferita a settembre, una flessione di 4,6 punti che ha largamente superato in peggio la previsione del consensus degli analisti che speravano che l’ISM si mantenesse intorno a 41.

Se si tiene conto che qualsiasi lettura inferiore a 50 indica che l’economia è in fase recessiva, la permanenza dell’ISM per buona parte dell’anno in corso al di sotto di tale soglia, nonché l’abbandono repentino dell’area 40 verificatosi nel mese appena trascorso, risulta evidente l’allarme degli economisti più avveduti che, utilizzando indicatori più articolati dell’alquanto rozzo indice che misura il Prodotto Interno Lordo, sostengono che l’avvio della fase recessiva può tranquillamente fatto risalire all’inizio del 2008 e che il +2,8 per cento del PIL nel secondo trimestre negli Stati Uniti d’America ben poco aveva a che fare con il reale andamento dell’economia statunitense che, in realtà, viaggiava già da tre mesi con il freno a mano tirato.

Leggendo la notizia su quest’ennesimo segnale del brusco sprofondamento dell’economia reale a stelle e strisce, non ho potuto fare a meno di pensare alla sicumera con la quale una giovane analista italiana operante per una grande banca prevedeva un rimbalzo del petrolio già nei primi mesi del 2009, se non addirittura prima, una previsione che, come tante altre che mi è capitato di sentire in questi anni, dimostra veramente quanto sia difficile il mestiere dell’economista al soldo di una banca, ma soprattutto i rischi insiti nella iperspecializzazione, una tendenza sempre più diffusa nelle ex Investment Banks e nelle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali e che porta quasi inevitabilmente con sé una vera e propria incapacità di cogliere l’interconnessione dei fenomeni economici,spingendo, per di più, ad una vera e propria incapacità di vedere una wild card se appare su uno schermo che non è quello che rappresenta il mercato che ti è stato assegnato.

Sarei molto curioso di vedere cosa scriveva la giovane analista quando il greggio viaggiava a 147 dollari al barile e i quotati analisti della potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs scrivevano ai loro clienti che quota 200 dollari era proprio là dietro l’angolo, anche se capisco che non era solo ai tempi di Don Abbondio che valeva il “se uno il coraggio non ce lo ha, non se lo può dare”, anzi credo che, rispetto a tanti analisti contemporanei di ambo i sessi, il povero curato di manzoniana memoria possa essere considerato un cuor di leone!

Non so perché, ma tutto questo mi fa tornare alla mente un analista statunitense molto bravo che soleva dire che uno dei guai della professione era rappresentato dalla tendenza a pensare che se le cose stanno andando bene non potranno che andare meglio, mentre se vanno male non potranno che andare peggio, quasi si fosse ipnotizzati dal trend, una malattia professionale che non è caratteristica distintiva ed esclusiva degli analisti tecnici (quelli che un salto non lo individuerebbero neanche ci sbattessero con il naso), ma che colpisce con eguale virulenza anche molto analisti fondamentali che non riescono a vedere le interconnessioni tra un fenomeno e l’altro.

L’altro dato fresco di giornata, quello relativo alla spesa per costruzioni, costituisce un’ulteriore conferma di quanto dicevo sopra, in quanto l’ennesima flessione dello 0,3 per cento è stata giudicata positiva soltanto perché la maggior parte degli analisti aveva molto pigramente previsto una flessione di maggiori dimensioni, senza rendersi conto che i costruttori qualcosa devono pure inventarsi per sbarcare il lunario e, quindi, come i proprietari della case, a furia di chiedere prezzi sempre più bassi, stanno iniziando ad attirare compratori, così i costruttori stanno abbassando, e di parecchio, le loro richieste, anche perché l’unica alternativa che hanno consisterebbe nel chiudere i battenti della loro impresa e questa è una prospettiva che non piace a nessuno, tanto meno a chi ha deciso di fare l’imprenditore.

Tutta questa lunga tirata mi consente di entrare a piedi pari nel vivacissimo dibattito sulla deflazione prossima ventura, da molti esclusa, da altri preconizzata, non mancando quelli che, per non sapere né leggere né scrivere, prevedono una crescita zero dei prezzi, un dibattito che solo apparentemente è per soli addetti ai lavori, non fosse che per il banalissimo motivo che la questione è strettamente collegata a quella della possibile durata della recessione in corso, altra questione sulla quale esperti e luminari si stanno ferocemente azzannando da un tale numero di mesi che dovrebbe già, non fosse altro che per motivi squisitamente oggettivi, fare pendere la bilancia dalla parte di quelli che prevedono i tempi lunghi sia per la tempesta perfetta in corso sui mercati finanziari di tutto il mondo da quindici mesi, sia per gli inevitabili riflessi che questa sta producendo sulla cosiddetta economia reale.

Come spesso accade, basta scorrere qualche sondaggio tra non addetti ai lavori per vedere che quasi un quarto degli intervistati prevede che le cose saranno molto grame per 5-10 anni, una previsione che mi trova concorde, ma che porta con se, con un alto tasso di inevitabilità, la possibilità che, per la prima volta dagli anni Trenta del secolo scorso, saremo chiamati a fare i conti con un fenomeno del tutto sconosciuto alla maggior parte degli abitanti del pianeta: una flessione generalizzata dei prezzi, quel fenomeno che, appunto, prende il nome di deflazione e che è vista come la maggiore delle iatture da Big Business, Big Oil, Big Pharma, Big Finance e tutti gli altri Big che vi vengono in mente!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.