lunedì 29 dicembre 2008

Forse l'industria dell'auto USA se la cava!


L’ultimatum della Federal Reserve alla mega finanziaria GMAC è fatalmente scaduto alla mezzanotte di venerdì scorso senza che venisse presentato un piano credibile che dimostrasse l’intenzione dei detentori di bond per 30 miliardi di dollari di convertirli in azioni, condizione essenziale perché la Fed autorizzi la trasformazione in holding bancaria dell’entità che svolge un ruolo fondamentale per la vendita delle auto della general Motors, della Chrysler e di altre case automobilistiche presenti sul territorio statunitense.

In una laconica e-mail, la portavoce di GMAC ha confermato il superamento della deadline, ma ha anche confermato che i dettagli dell’operazione verranno forniti in tempi molto rapidi, anche perché è ovvio che i bondholders non hanno molte alternative rispetto all’opzione loro proposta, in quanto avrebbero poche possibilità di recuperare il loro denaro nel caso di un’ammissione della finanziaria alla protezione nei confronti dei creditori offerti dall’ancora accomodante legge fallimentare statunitense, mentre hanno qualcosa da guadagnare dall’ammissione di GMAC alle previsioni del TARP, il fondo da originari 700 miliardi di dollari per il salvataggio delle banche operanti negli USA approvato dal Congresso nello scorso mese di ottobre.

Non certo di minore interesse per gli alquanti disperati possessori dei bond di GMAC sarebbero, inoltre, le opportunità offerte, come alle altre banche, dalle varie misure di sostegno messe in campo in questi mesi dalla Fed, quali l’accesso all’ampia discarica a cielo aperto per i titoli più o meno tossici della finanza strutturata gestita dalla Fed di New York, i prestiti a tasso prossimo allo zero cui hanno accesso le sole banche, così come la possibilità di effettuare il risconto a scadenze più lunghe al tasso ufficiale dello 0,50 per cento, tutte ipotesi su cui il mercato ha già scommesso nell’ultima seduta della settimana scorsa facendo registrare all’azione deciso balzo in avanti, cifrabile in chiusura in un rialzo che ha sfiorato il 90 per cento.

Non credo sia necessario spiegare i motivi per i quali la tenuta in vita di GMAC costituisce uno snodo essenziale per la stessa sopravvivenza di General Motors e Chrysler, nonché del loro gigantesco indotto, così come è chiaro che un eventuale successo della trasformazione aprirebbe le porte al non piccolo braccio finanziario di Ford, la casa automobilistica che gode attualmente di migliore salute e non è stata pertanto inclusa nel finanziamento da complessivi 17,4 miliardi di dollari recentemente accordato alle altre due società, ma che non potrebbe permettersi di non godere degli stessi vantaggi che molto presumibilmente verranno a breve accordati alla finanziaria rivale.

D’altra parte, le motivazioni che hanno spinto le autorità monetarie a favorire questa trasformazione sono più o meno le stesse che hanno portato alla nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, in quanto il fallimento delle entità che assicurano buona parte dei finanziamenti agli acquirenti di case e di autovetture sarebbe davvero esiziale per qualsivoglia programma governativo volto al rilancio della domanda in due settori che sono davvero strategici per l’economia a stelle e strisce, anche se è chiaro che gli effetti dei giganteschi sforzi attuali si vedranno solo a partire dalla seconda metà del 2009.

L’attivismo dell’amministrazione uscente e di quella a breve subentrante è, quindi, un qualcosa che va ben al di là delle questioni ideologiche che ancora dividono i due schieramenti, così come va rimarcata l’assoluta noncuranza con la quale George W. Bush ha ignorato gli alti lai dei senatori del suo partito che si erano messi letteralmente di traverso rispetto alla possibilità di approvazione di una legge che si era trascinata per le aule del Congresso per settimane, per finire poi sonoramente bocciata, costringendo un molto riluttante Hank Paulson ad aprire i cordoni della borsa per un importo addirittura superiore di quello previsto dall’abortito provvedimento legislativo.

La mossa del presidente uscente ha, tuttavia, impedito che venissero attribuiti a Paul Volker, l’ex presidente della Fed ed attuale capo della task force in materia economica protamente insediata da Barack Obama, i pieni poteri sulle sorti delle tre maggiori case automobilistiche statunitensi, anche se è ovvio che ciò avverrà a breve, non appena si sarà insediata la nuova amministrazione e diverranno, soprattutto, disponibili gli altri 350 miliardi di dollari previsti dal piano di salvataggio e a gestirli sarà il nuovo ministro del Tesoro e attuale presidente della Fed di New York, il coetaneo di Obama Timothy Geithner.

In uno scenario simile, è davvero difficile dare torto al numero uno della Fiat, nonché vice presidente dell’extracomunitaria UBS, Sergio Marchionne, quando afferma che non è possibile che i governi europei e quelli asiatici restino con le mani in mano rispetto a quanto sta avvenendo al di là dell’Oceano Atlantico, non fosse altro che per la semplicissima ragion che le case automobilistiche europee e giapponesi verrebbe danneggiate da una competizione che avvenisse ad armi assolutamente dispari rispetto alle loro concorrenti a stelle e strisce fortemente insediate sui mercati posti al di fuori degli USA.

Non è peraltro del tutto vero che i governi europei e quello giapponese non stiano facendo nulla per le loro case automobilistiche, ma il problema resta quello dell’andare in ordine sparso e senza nessuna coordinazione, il che, in particolare in Europa, rischia di creare ulteriori disparità sul piano concorrenziale a danno delle imprese di quei paesi che stanno facendo poco o nulla in questo campo come, a solo titolo di esempio,il Belpaese.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.