martedì 30 dicembre 2008

La decisione del trio Bush-Paulson Bernspan di lasciar fallire Lehman Brothers è costata 75 miliardi di dollari!


Per chi ha avuto la pazienza di leggere la trascrizioni dell’ultima conference call di Rick Fuld, l’ex numero uno di Lehman Brothers, quella fatta pochi giorni prima che il governo statunitense lasciasse fallire la storica banca di investimenti, non è stata certo una sorpresa la stima fatta da alcuni analisti sull’enorme somma che è stata persa a seguito del ricorso precipitoso alla procedura fallimentare, in larga parte dovuto al blocco delle disponibilità liquide di Lehman da parte delle altre maggiori banche globali.

Come i lettori più attenti ricorderanno, ho dedicato almeno un paio di puntate a quelle dichiarazioni di Fuld, ma, soprattutto, al vero e proprio fuoco di fila di domande cui venne sottoposto da parte dei migliori analisti delle principali banche concorrenti, traendone l’impressione che l’eccellente lavoro di deleverege svolto nei dodici mesi precedenti aveva creato le premesse per un esito del tutto diverso da quello pervicacemente perseguito dall’ancora per poco ministro del Tesoro statunitense, Hank Paulson, uno che non è mai stato in grado, nelle innumerevoli audizioni al Congresso, di spiegare per quale motivo sono state nazionalizzate o accasate tante altre grandi entità del mercato finanziario a stelle e strisce e lo stesso non è stato possibile farlo nel caso di Lehman.

In una drammatica deposizione fatta davanti alla commissione bancaria del Senato poco dopo il fallimento della ‘sua’ banca, lo stesso Fuld ha detto che il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari non avrebbe mai visto la luce se lui “non fosse prima caduto per terra”, una valutazione che mi trova pienamente concorde e che ha avuto conseguenze devastanti non solo per quanti detenevano titoli direttamente o indirettamente garantiti da Lehman, ma sull’intero mercato finanziario globale che ha rischiato veramente di oltrepassare quel ciglio del baratro ben descritto dal direttore del Fondo Monetario Internazionale poche ore prima che i governi dei paesi maggiormente industrializzati decidessero di gettare nel piatto migliaia di miliardi di dollari per impedire una catena di default senza precedenti.

Tutti coloro che si sono mestamente iscritti al passivo di Lehman Brothers vantando crediti per 200 miliardi di dollari circa hanno scoperto ieri che ben 75 miliardi di dollari mancheranno all’appello a causa della scelta fatta dal trio Bush-Paulson-Bernspan e dal comportamento alquanto miope delle principali banche concorrenti, in quanto la chiusura improvvisa delle posizioni e la vendita frettolosa degli asset ha impedito la valorizzazione corretta di buona parte delle attività presenti nel bilancio della banca, per non parlare poi delle innumerevoli partecipazioni all’estero.

Il problema, purtroppo, non è tanto rappresentato dalle perdite dei creditori, quanto dalla perdita di credibilità dell’intero sistema finanziario, in quanto sarà impossibile in futuro non pensare al fatto che una qualsivoglia entità finanziaria, seppure di enormi dimensioni e caratterizzata da una secolare presenza sul mercato, possa essere in grado di offrire la garanzia di essere immune da rischi di default.

D’altra parte, sfido chiunque a sostenere che aveva previsto con largo anticipo sullo scoppio della tempesta perfetta che sarebbe stato necessario procedere al salvataggio di entità come Bear Stearns, Merrill Lynch o Countrywide, che sarebbe stato necessario nazionalizzare entità gigantesche come Fannie Mae e Freddie Mac o la prima compagnia di assicurazioni statunitense e forse del mondo, AIG, che Lehman Brothers potesse fallire o che le Investment Banks, pur di salvarsi, chiedessero e ottenessero di diventare banche ordinarie e di essere per ciò soggette alla vigilanza della Federal Reserve!

In questo processo di caduta verticale della fiducia nelle diverse entità protagoniste del mercato finanziario globale, non ha certo aiutato la scoperta della truffa da, almeno si spera che questa sia la cifra, 50 miliardi di dollari orchestrata da Bernard L. Madoff, con l’aggravante che il tutto è emerso a causa della confessione del reo, messo alle strette non dai segugi della Securities and Exchange Commission, ma dalle pressanti richieste di riscatto avanzate dai suoi molto facoltosi clienti, molti dei quali per di più erano banche di grandi dimensioni operanti a livello planetario, due delle quali, il Santander e il BBVA, erano peraltro uscite pressoché indenni dalla tempesta perfetta per scoprire che erano finite mani e piedi legati in una delle più classiche riproposizioni dello schema di Ponzi.

Come in molte delle vicende principali di questa oramai lunghissima crisi finanziaria, uno degli aspetti che più colpisce è rappresentato dal fatto che, almeno stavolta, anche i ricchi, a volte i ricchissimi, piangono, anche perché era necessario essere molto abbienti per godere delle cure personali dell’ex presidente del Nasdaq!

Venendo alle vicende quotidiane, le residue speranze di un rally di fine anno sul mercato azionario statunitense si sono infrante definitivamente ieri anche a causa della decisione del Kuwait di non procedere più alla costituzione della joint venture da 17,4 miliardi di dollari con la Dow Chemical, una decisione dettata pare da motivi politici interni a quel piccolo ma ricchissimo stato mediorientale, e dell’annuncio che il raider Kerkorian ha venduto tutte le azioni della Ford in suo possesso, un uno due che ha fatto sprofondare i listini, anche se l’aiuto da 5 miliardi di dollari del Tesoro a GMAC (più un miliardo extra a GM) ha consentito un recupero nelle ultime battute di contrattazione che ha consentito al Dow Jones 30 e allo S&P’s 500 di contenere le perdite allo 0,36 e 0,39 per cento rispettivamente, mentre il Nasdaq ha perso l’1,30 per cento.
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Apprendo mentre sto scrivendo questa puntata la notizia della scomparsa di Flavia Castiglioni, una dirigente sindacale curiosa, preparata e appassionata che ho avuto modo di conoscere e apprezzare in questi anni e che non ha mai abdicato al suo impegno, né tanto meno alle sue idee. Ciao, Flavia.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.