sabato 27 dicembre 2008

Le ricette per uscire dalla crisi finanziaria non possono prescindere dagli insegnamenti del caso giapponese!


A parziale integrazione di quanto ho scritto ieri sulla situazione economica giapponese e sulla maggiore flessione su base annua mai registrata nella storia del settore automobilistico nel paese del Sol Levante (-20.4 per cento nel mese di novembre) nelle vendite di automobili e camion, vorrei ricordare anche il tonfo quasi senza precedenti della produzione industriale che ha registrato un calo che sfiora il 9 per cento, sempre in novembre e sempre come variazione anno su anno, due dati che inducono a ritenere che molto difficilmente il piano da mille miliardi di dollari stanziato dal governo giapponese sarà in grado di evitare la riproposizione di quello scenario recessivo conosciuto dal paese, salvo sprazzi più o meno momentanei, a partire dallo scoppio della gigantesca bolla immobiliare e finanziaria nel 1989.

Non vorrei rubare il posto al Dr Doom, ma credo proprio che una delle preoccupazioni maggiori di quanti, ai massimi livelli, si stanno ingegnando per trovare una via d’uscita dalla tempesta perfetta ancora virulentemente in corso, abbia molto a che fare con il caso giapponese, in quanto è stato proprio in quel paese che si sono sperimentati per la prima volta i tassi di interesse ufficiali a livelli di poco superiori allo zero, una politica monetaria ostinatamente perseguita per poco meno di venti anni e che si è dimostrata del tutto inefficace contro il muro pressoché invalicabile di apatia dei consumatori che continuano da allora a sedere sopra la maggiore ricchezza pro capite, almeno riferita a un paese industriale di grandi dimensioni, creando così le premesse del verificarsi concreto di quella trappola della liquidità delineata tanto tempo fa da John Maynard Keynes.

Non voglio aggiungere elementi allo sconforto e ai timori dei decision makers del mondo industrializzato, ma anche i giganteschi piani di sostegno alla domanda e i mega salvataggi delle banche sono stati quasi ossessivamente sperimentati in quella che è stata certamente, e tuttora è, la più lunga recessione mai sperimentata da un paese altamente industrializzato, un caso considerato e studiato a fondo in tutte le scuole di management, producendo montagne di analisi e studi che non hanno mai fornito una risposta plausibile ed esauriente ai reali motivi che hanno spinto i giapponesi ad astenersi da quella vera e propria orgia consumistica che li aveva caratterizzati negli anni Settanta e, soprattutto, negli anni Ottanta.

Lo scoppio pressoché contemporaneo della bolla azionaria e di quella immobiliare, due esagerazioni senza precedenti ben testimoniate dalla quota 40 mila toccata dal Nikkei 225 e dall’astronomico valore di case e lotti di terreno toccati sul finire degli anni Ottanta, la conseguente crisi bancaria provocata in larga misura dal repentino sgonfiamento di questi stessi valori, hanno repentinamente determinato uno scenario che la stessa tempesta perfetta ha impiegato oltre un anno a determinare, ma il risultato è stato più o meno lo stesso: l’astensione repentina e quasi simultanea dei risparmiatori/investitori dall’acquisto dei titoli (allora molto meno sofisticati di quelli successivamente escogitati dagli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali), un feroce processo di ristrutturazione del sistema bancario nipponico, i ripetuti e fallimentari tentativi di stimolare i consumi.

Ma non è solo la fenomenologia della lunghissima crisi nipponica che ci riporta a quanto sta avvenendo da poco meno di un anno e mezzo all over the world, in quanto vi è un elemento di similitudine ben più evidente e che rischia di rendere inefficaci le politiche monetarie e il selvaggio deficit spending attuati dalle banche centrali e dai governi dei paesi maggiormente industrializzati, un elemento che è rappresentato dal verticale crollo della fiducia che le persone, spesso a prescindere dal loro livello di reddito e dal loro grado di istruzione, nutrivano nella trasparenza del sistema finanziario, economico e politico, del controllo dello stesso da parte delle autorità monetarie e dei governi, ma, soprattutto, nella sostanziale eticità e correttezza dei comportamenti dei maggiori protagonisti del mercato finanziario globale.

Ripeto di non avere nessuna intenzione di sostituirmi al bravissimo Nouriel Roubini, per lunghi mesi etichettato, appunto, Dr Doom, ma credo proprio che il generosissimo tentativo da parte dei governi di mettere in sicurezza il sistema finanziario, a partire dallo snodo cruciale rappresentato dal sistema bancario, pur essendo certamente condizione necessaria per far fronte agli alti marosi della tempesta perfetta, non sia, purtroppo, condizione sufficiente per ripristinare il necessario grado di fiducia dei risparmiatori/investitori/consumatori per decidere nuovamente di staccarsi dal poco o tanto denaro di cui gli stessi dispongono, condizione indispensabile perché il meccanismo si rimetta in moto.

Al di là delle più che evidenti intemperanze caratteriali del per la terza volta ministro italiano dell’economia, Giulio Tremonti, credo proprio che sia questa la ragione del contendere che lo oppone al Governatore della Banca d’Italia e, non del tutto a caso, presidente da oltre due anni del Financial Stability Forum, Mario Draghi, in quanto a dividere i due non è certo l’analisi della crisi finanziaria, quanto, piuttosto, la necessità, sentita dal ministro e molto meno dal governatore, di procedere ad una sorta di processo di Norimberga che punti in tempi molto rapidi ad accertare le responsabilità individuali e sistemiche di quanto è avvenuto, procedendo subito dopo ad un ricambio molto radicale dei vertici aziendali, dei sistemi di governance e delle regole, un processo che non può che prevedere, almeno questo è quanto sembra pensare Tremonti, un intervento diretto dello Stato nel capitale delle banche e non solo sostegni più o meno onerosi in favore delle stesse!

Ricordo che il Diario della crisi finanziaria è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.