mercoledì 3 dicembre 2008

Se Profumo e Passera seguissero l'esempio di Wagoner e Mullaly!


Tornando a Washington in auto a propulsione ibrida e con il cappello sul sedile di fianco, Rick Wagoner, Chief Executive Officer di General Motors, Alan Mulally suo omologo in Ford e, ma è meno chiaro, il numero uno di Chrysler, hanno deciso di fare il grande gesto e di accettare una paga annua per il 2009 di un dollaro (nonché di prevedere una rilevante quota azionaria a fronte dell’intervento pubblico per complessivi 34 miliardi di dollari richiesto al congresso per il loro salvataggio e rilancio), un esempio che dovrebbe proprio essere seguito dagli altri top manager di Big Business, Big Finance, Big Pharma, Big Oil e tutti gli altri Big che vi vengono in mente, sia posti al di qua che al di là di un Oceano Atlantico sempre più flagellato dagli alti marosi della tempesta perfetta in corso oramai da ben diciassette mesi e ad un anno data dall’avvio della più lunga recessione a stelle e strisce dalla fine del secondo conflitto mondiale!

Come non ho afflitto i miei lettori con il vero e proprio bollettino di guerra dei corsi azionari del Black Monday dei mercati mondiali, così non mi soffermerò affetto sui più che scontati rimbalzi di ieri, comunque di molto inferiori alle perdite del giorno precedente, anche perché è dall’inizio di questa avventura editoriale che avverto che quello che quotidianamente accade ai corsi azionari è posto poco al di sotto della superficie di questo mare davvero tempestoso, utile al più a comprendere lo stato d’animo degli operatori e degli investitori/risparmiatori, due specie del tutto in balia di eventi difficili da comprendere se non si dispone della guida di una salda e ben visibile stella polare.

Non sono davvero in grado di prevedere la reazione degli agguerriti congressisti ai patinati piani industriali che verranno loro sottoposti da Wagoner e compagni che, almeno a quanto risulta, hanno deciso di giocare ognun per sé questa che è davvero la battaglia più difficile della loro vita, ognuno mettendo in campo il meglio delle risorse aziendali, con un mix di vendite di assets aziendali più o meno strategici, selvaggi piani di ristrutturazione e dilazione dei pagamenti a fornitori e dipendenti, tutto pur di evitare di portare i libri in tribunale e mentre i dati sulle vendite di auto diventano più neri della mezzanotte.

La notizia del crollo delle vendite della General Motors in novembre, un calo superiore al 40 per cento che supera di molto gli sfracelli segnati con riferimento allo stesso mese dalle altre due Big statunitensi e dalle case automobilistiche europee, rende appieno il senso dell’urgenza di una forma di aiuto pubblico che si presenta davvero come conditio sine qua non per la realizzazione di qualsivoglia piano di rilancio e che potrebbe davvero rappresentare l’occasione per quel salto tecnologico in senso ecologista che viene preteso dal popolo di internet che ha letteralmente intasato in queste settimane il web, oramai divenuto la vera agorà del popolo statunitense.

Delle tre audizioni, quella più drammatica è stata quella del CEO di Chrysler, da qualche tempo di proprietà della locusta Cerberus, che ha chiaramente avvertito i componenti dell’apposita commissione parlamentare che l’eventuale fallimento della sua come delle altre due case automobilistiche avrebbe l’effetto di provocare un devastante effetto a catena su gran parte dell’industria manifatturiera statunitense, un’eventualità che, al di là delle dichiarazioni di rito, è ben chiara ad entrambi i leader dei due schieramenti politici che da sempre si contendono la guida degli Stati Uniti d’America.

Come non mi stancherò mai di ripetere, i tanti fondi dei molteplici barili che stanno vivendo le cicale a stelle e strisce potrebbero davvero costituire una grande opportunità per il lancio di un modello alternativo di sviluppo maggiormente sostenibile, nonché di gran lunga molto, ma molto più attento alle emergenze climatiche ed ambientali che sono oramai visibili anche di chi non ha occhi per vedere ed orecchie per intendere, il tutto largamente favorito da quella estrema flessibilità del sistema economico e sociale americano, un sistema davvero capace di grandissimi errori, tra i quali quello di contribuire in misura largamente più che proporzionale alla distruzione delle risorse del pianeta, ma che ha anche dimostrato i numerose circostanze di essere perfettamente in grado di ricompattare attorno ad un valore o ad una sfida le notevoli energie latenti in quella grande nazione.

Ovviamente, la dimensione della sfida presente è immensa, ma credo proprio che il giovane e determinato presidente eletto possa dimostrarsi all’altezza dell’impegno colossale che lo attende e che assorbirà certamente l’intero suo primo, e mi auguro non ultimo, mandato presidenziale, un dato anagrafico che, assieme alla disastrosa eredità di George W. Bush e alla molto malmessa salute del suo anziano sfidante, ha fatto decisamente pendere l’esito del voto, in particolare di quello giovanile, a favore di Barack Obama.

Di fronte a queste caratteristiche distintive del modello americano, lo stato dell’arte nell’Unione Europea induce ad un maggiore pessimismo, in quanto è quasi un eufemismo parlare di Europa a due velocità, con i tre paesi che pure si sono dilaniati sulla prospettiva della guerra a Saddam Hussein, Francia e Germania da un lato e Gran Bretagna dall’altro, fattivamente impegnati a contrastare gli effetti della tempesta perfetta, peraltro partendo da un’analisi sufficientemente corretta delle sua cause, mentre la maggior parte degli altri ventiquattro paesi membri, Italia in testa, continuano a balbettare ed a partorire topolini dopo defatiganti discussioni e litigi interni!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.