domenica 11 gennaio 2009

Come sarà il mercato finanziario globale al termine della tempesta perfetta! (2)


Nella puntata del 22 gennaio del 2008 del Diario della crisi finanziaria avevo cercato di delineare i lineamenti fondamentali del mercato finanziario al termine della tempesta perfetta, un esercizio previsivo oltremodo complesso, in quanto sono ignote sia la durata residua della crisi, sia l’efficacia delle misure messe in campo in questo anno e mezzo dai governi e dalle autorità monetarie, sia la risposta degli investitori/risparmiatori al più grande piano di stimoli mai messo in campo dallo mano pubblica (tutt’altro che invisibile in questa fase) correlato alla relativa messa in sicurezza degli intermediari finanziari.

Come è largamente noto ai lettori del Diario, pur non sottovalutando assolutamente gli aspetti quantitativi e qualitativi degli interventi messi in campo dai governi dei paesi maggiormente industrializzati, né tanto meno le mosse, non sempre composte ma certamente frenetiche, delle banche centrali di tutto il mondo che hanno portato sino al massimo ipotizzabile l’offerta di moneta e ai minimi storici e anche al di sotto di questi i tassi ufficiali relativi alla stessa, continuo a ritenere lo scenario recessivo e deflazionistico che caratterizza il Giappone dalla fine degli anni Ottanta l’esito più probabile dei titanici sforzi messi in campo da governi e banche centrali e neanche il peggiore tra quelli possibili!

Pur essendo perfettamente consapevole che una simile valutazione può apparire pessimistica alla luce di un intervento statale che nei soli paesi del G7 è valutabile tra i 10 e i 15 mila miliardi di dollari, ricordo che questa previsione nasce dal fatto che la bolla creditizia continua ad avere un valore nominale non lontano da una cifra tra le otto e le dodici volte superiore alle pur cospicue cifre stanziate e che le banche che devono scontare un perdita in termini di capitalizzazione di borsa dell’ordine, almeno per ora, di 3.000 miliardi di dollari non sono in grado di garantire flussi creditizi sostitutivi superiori ad un ammontare che va da un terzo alla metà di quelli un tempo garantiti dalle invenzioni degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle ex Investment Banks e delle sempre più ridimensionate divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali.

Mi conforta alquanto leggere l’analisi contenuta in un breve saggio di Matthew Warren, apparso venerdì scorso su Morningstar.com con il titolo “Banks and the Avalanche of Deflation”, un autore che parte dalla stessa analisi delle cause dell’attuale tempesta perfetta che mi sforzo di esplicitare dal settembre del 2007 e individua tra gli scenari possibili al termine dei suoi alti marosi quello giapponese come il più probabile e anche come il meno deleterio, pur rappresentando lo stesso la maggiore verifica empirica di quella trappola della liquidità descritta per primo dal mai troppo compianto John Maynard Keynes sulla base delle evidenze della Grande Depressione che, come tutti ricorderanno, durò poco meno di quattordici anni nonostante l’impegno senza precedenti di fondi statali contenuto nel New Deal di Roosevelt.

La repentina uscita di scena di Robert Rubin dal colosso sempre più dai piedi d’argilla Citigroup, rappresenta, peraltro, uno degli effetti collaterali di quel processo di consolidamento e ristrutturazione del sistema bancario statunitense che veniva descritto nella prima parte del mio sforzo previsivo, in questo aspetto almeno facile per il semplicissimo motivo che si tratta di un fenomeno che sta avvenendo a tappe alquanto forzate sotto gli occhi di tutti e che vede come entità destinate al processo aggregante e fatte salve ulteriori sorprese: la stessa Citigroup, Bank of America, J.P. Morgan-Chase, e Wells Fargo, mentre, delle due superstiti tra le cinque entità appartenenti al gruppo di testa dell’investment banking, appare quasi certa la sopravvivenza della potente ma sempre meno preveggente Goldman Sachs, mentre non si sono dissipati i dubbi sulla sorte di Morgan Stanley, che, anche alla luce delle ultime voci autorizzate su una possibile joint venture con Citi nel settore del wealth management, potrebbe essere destinata a confluire nel gruppo sempre più saldamente guidato da Vikram Pandit.

Così come è destinato a procedere senza soste il processo di deleverage in atto nelle sempre più grandi per poter fallire entità sopraccitate, un processo che va a sommarsi alla naturale e fisiologica riduzione dell’offerta di credito legata a processi di concentrazione che assumono sempre di più le caratteristiche di salvataggi più o meno teleguidati dalla Federal Reserve, dalla Federal Deposit Insurance Corporation e dal Tesoro, nonché da un utilizzo di quel che resta dei 700 miliardi di dollari del TARP che sembra favorire un’ulteriore accelerazione del processo di concentrazione sommariamente descritto sopra.

La strategia seguita dai governi e dalle autorità monetarie britanniche, tedesche e francesi, soprattutto dopo la ritrovata unità di intenti seguita al provvidenziale ravvedimento di Frau Merkel, vanno esattamente nella medesima direzione seguita al di là dell’oceano Atlantico, un processo al termine del quale avremo molto verosimilmente due o al massimo tre grandi banche nel Regno Unito, forse lo stesso numero in Francia, mentre, dopo il massiccio intervento statale nel combinato disposto di Commerzbank-Dresdner, la possibilità di realizzare una mega banca privata aggregando questa con Deutsche Bank che ha da poco rilevato il ramo bancario di Deutsche Post.

Lasciando gli spagnoli ai loro travagli e gli svizzeri alle loro ambasce, credo proprio che siamo alla vigilia di un ulteriore processo di concentrazione nel Belpaese, dove diviene sempre più probabile un accasamento del travagliatissimo Banco Popolare, mentre resto in attesa delle determinazioni che le fondazioni azioniste di Unicredit Group assumeranno nella riunione prevista per giovedì prossimo venturo!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.