sabato 17 gennaio 2009

Ma cosa può fare di più il povero Trichet se manca un vero governo europeo?


Vedere vendere in una sola seduta di borsa poco meno di un miliardo e centomila azioni di Citigroup e di Bank of America, contro una media di poco più di 200 milioni, rende appieno l’idea del clima di fortissime preoccupazioni sulla possibile sopravvivenza di questi due colossi bancari divenuti dei veri e propri supermarket del credito grazie all’improvvida abolizione dei paletti posti dai provvedimenti assunti ai tempi della Grande Depressione, una deregulation di cui hanno responsabilità le varie amministrazioni repubblicane e democratiche succedutesi a partire dalla metà degli anni Novanta, anche se va detto che gli ultimi e decisivi colpi di piccone portano la firma di Robert Rubin e Larry Summers, alternatisi alla carica di ministro del Tesoro nel corso dei due mandati di Bill Clinton.

Colpisce, inoltre, che il valore dell’azione di Bank of America sia riuscita a portarsi significativamente al di sotto del minimo toccato nel corso del terribile mese di ottobre del 2008, una performance che rappresenta un unicum tra il gruppo di testa delle banche statunitensi, un gruppo, lo ricordo ai più distratti, che, solo pochi mesi, contava dieci entità, in quanto la quarta banca USA, Wachovia Bank, è stata acquisita da Wells Fargo, Bears Stearns e Merrill Lynch sono state inglobate da J.P. Morgan Chase e dalla stessa Bank of America, mentre la povera Lehman Brothers è stata lasciata fallire a metà del mese di settembre.

La celerità con la quale il Senato statunitense ha accolto il pressante invito del presidente eletto, Barack Obama, a concedergli un avallo al gigantesco piano economico volto al rilancio dell’economia e l’autorizzazione all’utilizzo della seconda tranche da 350 miliardi di dollari previsti dal TARP approvato nello scorso mese di ottobre, un via libera da complessivi 1.200 miliardi di dollari che è stato approvato nella serata di giovedì con 54 voti favorevoli e 42 contrari, una maggioranza ben più solida di quella di cui gode il partito democratico e che ben rappresenta come la paura degli effetti devastanti della tempesta perfetta stia facendo saltare molti schemi ideologici ed egoismi di schieramento anche tra i cento eletti nella camera alta in quel di Washington D.C., mentre un clima moderatamente bipartisan si respira anche nella più ampia sala che ospita gli eletti alla Camera dei Rappresentanti, un organismo nel quale, dopo l’esito dell’Election Day di novembre, la maggioranza del partito dell’asinello è molto più ampia.

Secondo l’autorevole Wall Street Journal, il quotidiano che appare sempre di più il vero e proprio giornale di bordo della tempesta perfetta, il dicastero del Tesoro statunitense sarebbe pronto a iniettare altri 20 miliardi di dollari in Bank of America e ad accollarsi 120 miliardi di dollari di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che i vertici della banca sostengono costituire parte dell’eredità di quella Merrill Lynch da loro salvata ma, sempre a loro giudizio, strapagata, in quanto la successiva due diligence avrebbe consentito di avere un quadro più realistico dello stato effettivo dei conti della ex investment bank, un quadro che rende stratosferico il valore di 50 miliardi di dollari, seppur pagati mediante scambio di carta contro carta.

Come ricordavo nella puntata di venerdì, la necessità di provvedere con urgenza all’ennesima ricapitalizzazione di Citi e Bank of America dopo analoghi interventi per complessivi 70 miliardi di dollari, 50 in favore di Citi e 20 per Bank of America, per non parlare dei 400 miliardi dollari acquisiti dalla prima e dell’ammontare non meglio precisato, ma certo non irrilevante, scaricato dalla seconda nell’ampia discarica gestita dalla Fed di New York, stanno gettando nel panico operatori e investitori/risparmiatori, mentre è certo che l’ennesima bottiglia di champagne è stata stappata da David Einhorn e da quel pool di miliardari che da diciotto mesi stanno indefessamente e dichiaratamente scommettendo sul ribasso delle banche e delle compagnie di assicurazione statunitensi, una scommessa che è stata certamente vincente non solo nel caso delle banche che sono finite a zampe all’aria, ma anche in quello di Citi che si trova a capitalizzare in questi giorni qualcosa come 20 miliardi di dollari contro i 250 miliardi di un anno e mezzo fa, un trend disastroso accentuatosi nelle ultime cinque sedute che hanno visto polverizzarsi il 50 per cento della capitalizzazione residua della multinazionale del credito con sede a New York!

Lasciando l’America alle sue ambasce, mi preme di chiarire il senso dell’ultima mossa del germanizzato Trichet e dei suoi colleghi neotemplari del board della Banca Centrale Europea, quella riduzione al 2 per cento del tasso di riferimento che è facile liquidare come tardivo e insufficiente, soprattutto se si guardano i livelli prossimi allo zero praticati dalla Federal Reserve e dalla Bank of Japan, una valutazione che non tiene nel debito conto l’approccio di un’istituzione che rappresenta solo sedici dei ventisette paesi membri dell’Unione Europea e che non ha come contraltare un’entità politica come potrebbe essere quel governo europeo da sempre vagheggiato ma mai realizzato, il che si traduce in ventisette piani di salvataggio nazionali poco e male tra loro coordinati, il che determina una situazione che non ha confronti in nessuno degli altri quattro continenti, anche perché tra i paesi che si tengono al di fuori dell’area dell’euro vi è anche quella Gran Bretagna che ospita una delle maggiori piazze finanziarie del mondo e che è a buon diritto membro del G7.

In uno scenario del genere, è alquanto difficile che la Banca Centrale Europea non debba fare di tutto per dimostrarsi la degna erede della Bundesbank, una situazione che potrà anche mandare su tutte le furie Sarkozy, Brown e, almeno da qualche tempo, anche la cancelliera Angela Merkel, ma che rappresenta anche l’unico baluardo per evitare danni ancora maggiori alle istituzioni finanziarie targate UE e alla stessa economia reale dei ventisette paesi membri!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito www.uil.it nella sezione del dipartimento di politica economica.

Nessun commento: