martedì 20 gennaio 2009

Mentre l'America aspetta l'incoronazione di Obama, l'Europa assiste al meltdown delle suo sistema bancario!


Mentre l’America festeggia il Martin Luther King Day e un’immensa folla a New York ha avuto modo di ascoltare un mega concerto all’aperto in ricordo del leader nero tragicamente scomparso, in attesa della cerimonia di insediamento del primo presidente nero della più che bicentenaria storia degli Stati Uniti d’America, i mercati finanziari di quel paese sono rimasti chiusi e possono restare sugli allori del mini rimbalzo di venerdì scorso che ha fatto registrare rialzi che si aggirano intorno all’uno per cento per i tre indici principali.

A fare le spese dell’avvio dell’ottava sono rimasti i mercati finanziari europei che hanno fatto registrare l’ennesima seduta negativa, contrassegnata da un calo pressoché generalizzato degli indici che si mantengono comunque su livelli di perdita ben inferiori a quelle registrate dalle principali entità del mercato finanziario europeo, con cali che arrivano anche a essere a due cifre, come nel caso dei due colossi creditizi francesi, BNP Paribas e Socgen, mentre il Credite Agricole si limita a perdere qualcosa come l’8 per cento.

Ben peggiori sono le performance delle banche britanniche, con la Royal Bank of Scotland che ha perso in una sola seduta poco meno dell’80 per cento, spingendosi a testare la soglia psicologica di una sterlina, mentre la Barclays e l’Hong Kong Shanghai Banking Corporation perdono entrambe più del 10 per cento, anche per l’annuncio del premier Gordon Brown che ha in programma di procedere con nuove e più sostanziose immissioni di capitali pubblici che si tradurrebbero di fatto in una vera e propria nazionalizzazione della parte più rilevante del sistema creditizio inglese.

Non molto diversa appare la situazione in Germania e in Svizzera, con Deutsche Bank in calo di poco meno del 10 per cento, mentre la quasi nazionalizzata Commerzbank, che ha da poco completato l’acquisizione della Dresdner Bank dalla Allianz, contiene le perdite a poco più del 3 per cento.

Le bellicose intenzioni del governo britannico, le mire mai nascoste del decisionista Sarkozy, uno che sin dai primi mesi della tempesta perfetta ha usato parole durissime contro gli eccessi (le follie ebbe a definirle nel corso di una visita in India) del mercato finanziario e che vorrebbe favorire un forte processo di concentrazione che riguarderebbe in un modo o nell’altro le quattro principali banche del paese e il netto cambio di passo della cancelliera Angela Merkel che ha deciso in pochi giorni l’acquisizione di un quarto delle azioni della Commerzbank, sono tutti elementi che fanno ritenere che i leaders dei tre grandi paesi dell’Unione Europea hanno finalmente deciso di rompere gli indugi e di utilizzare una parte più consistente dei 1.500 miliardi di euro stanziati a metà ottobre (e sinora utilizzati soltanto in minima parte).

La vera novità del nuovo approccio seguito da quello che molti iniziano già a chiamare il Direttorio europeo sta nel fatto che è oramai chiara la consapevolezza della sostanziale inutilità degli aiuti incondizionati in favore delle banche, anche perché solo da una presenza diretta dello Stato nei consigli di amministrazione e, dove necessario, da un ricambio più o meno radicale degli attuali vertici possono venire maggiori garanzie sul mantenimento del flusso di credito alle famiglie e alle imprese, vera conditio sine qua non dell’avvio di un percorso che eviti alle economie dei tre paesi di restare in recessione per un periodo di tempo lunghissimo.

Non è, invece, ancora altrettanto chiara la strategia del governo Zapatero in materia, anche alla luce della maggiore solidità dei due principali gruppi creditizi spagnoli, due vere e proprie multinazionali del credito con forte radicamento nei paesi dell’America latina, mentre è certamente apprezzabile lo sforzo che il governo di Madrid sta profondendo in favore del settore delle costruzioni e di ampie parti dell’industria manifatturiera.

Nella puntata di ieri, ho cercato di delineare un ambizioso progetto di controllo statale indiretto delle principali entità del mercato finanziario italiano, una ricostruzione in larga misura basata sull’osservazione delle mosse del per la terza volta ministro italiano dell’economia, Giulio Tremonti, anche perché scrivevo ascoltando le risposte fornite dallo stesso nel corso di una lunga intervista rilasciata al conduttore della fortunata trasmissione televisiva di Fabio Fazio.

La mia lunga esperienza nel campo dell’analisi economica e della comunicazione mi ha insegnato ad ascoltare quello che dicono i protagonisti, un approccio che ho molto affinato quando dovevo prevedere le decisioni dei maggiori banchieri centrali del pianeta, anche perché spesso dicono esattamente quello che faranno, seppure amino utilizzare un linguaggio che va in qualche modo interpretato.

Ebbene, devo dire francamente che il linguaggio di Tremonti è, invece, abbastanza chiaro e che, sin dall’inizio di ottobre, ebbe modo di dichiarare in più occasioni che il suo obiettivo non era quello di salvare le banche o le compagnie di assicurazione, quanto quello di garantire che i depositanti non perdessero i propri risparmi, cosa che stabilì per decreto, mentre chi aveva sbagliato tra i banchieri doveva andare, a seconda delle fattispecie e delle responsabilità individuali, o a casa o in galera!

Tre mesi dopo quelle prime dichiarazioni, è chiaro ai più quello che ebbi a scrivere in quei giorni e che, cioé, le banche italiane potevano scordarsi aiuti pubblici incondizionati e a poco prezzo, cosa che in realtà non è mai accaduta e mentre si è ancora in attesa del relativo decreto legge.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.