mercoledì 18 febbraio 2009

Caro Obama, non credo proprio che sia "l'inizio della fine" della tempesta perfetta!


Con la penna nella mano sinistra e il voluminoso testo della legge da 787 miliardi di dollari che attendeva soltanto la sua firma, il giovane presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, ha sentito l’irrefrenabile bisogno, quasi l’urgenza, di pronunciare una frase che, almeno nella sua mente, doveva suonare come una sveglia per le centinaia di milioni di donne de di uomini che sono stretti da oltre un anno e mezzo tra sentimenti quali lo stupore, la paura, la rabbia per il repentino e drammatico infrangersi del sogno americano, quello fatto da elementi quali la casa individuale di abitazione, la libertà di movimento nel grande paese da costa a costa, l’uso disinvolto dell’automobile e quello davvero dissennato del proprio reddito, caratterizzato da una propensione al consumo quasi invariabilmente superiore all’unità.

“E’ l’inizio della fine della crisi”, così ha detto Obama, pur sapendo benissimo che queste parole potrebbero fatalmente rivolgerglisi contro almeno quanto le frasi pronunciate da Hedgar Hoover di fronte alla trasformazione di una pur grave finanziaria in quel lunghissimo e triste periodo delle non lunghissima vita degli States che prese a pieno titolo il nome di Grande Depressione, un’era cupa e maledetta che solo la gigantesca spesa pubblica legata al secondo conflitto mondiale avrebbe poi fatto, si sperava per sempre, finire nel dimenticatoio della storia, una tragedia sociale solo in parte mitigata dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt, un predecessore che, assieme ad Abramo Lincoln, rappresenta davvero una stella polare per il giovane avvocato di Chicago che si trova ad affrontare un compito che farebbe tremare i polsi a chiunque e che, come lui stesso ricorda, gli sta togliendo da qualche tempo il sonno!

Mentre ferve un dibattito tra gli economisti, i commentatori e gli analisti sull’efficacia di misure quali la restituzione fiscale pressoché indiscriminata prevista dal piano, un tentativo, peraltro, già fatto dal suo predecessore senza grandi risultati, un intervento a pioggia che porta poco sollievo a chi ha perso la casa, il lavoro, o, come spesso accade entrambi, nella stessa misura prevista per chi non ha nessuno di questi problemi e dedicherà queste risorse aggiuntive a spese spesso superflue, mentre le parti che riguardano l’economia reale sono disperse in mille rivoli pretesi, in modo del tutto bypartisan, dai voraci eletti dal Popolo al Congresso che sono stati attenti, pur non sforando il tetto di 800 miliardi di dollari preteso dai repubblicani, alle esigenze del proprio collegio o della lobby cui fanno riferimento per le loro sempre maggiori spese elettorali.

Come amava ripetere Bill Clinton nel corso del duro scontro elettorale che lo oppose a George H. Bush, quel volpone quasi omonimo di quel suo figlio che è riuscito a stare alla Casa Bianca il doppio di lui, “It’s economy, stupid!”, con la piccola ma significativa variante che oggi è proprio il caso di dire “It’s finance, stupid!”, già, perché il problema, come vado ripetendo invano dal 4 settembre del 2007, nessuna terapia potrà, di per sé, essere efficace, se non parte da una piena consapevolezza delle vere cause della tempesta perfetta, il che costituisce un buon passo in avanti per l’individuazione dei rimedi!

Mentre si allarga il coro di quanti sostengono che la crisi finanziaria che stiamo vivendo non è che il prodotto dei tre concomitanti fenomeni di finanziarizzazione, deregolamentazione selvaggia e globalizzazione, il problema continua a risiedere nel fatto che, invece di affidare a un gruppo di persone dotate della necessaria saggezza, esperienza e buon senso, di riscrivere le regole del gioco, si continua ad affidare questo compito a quegli stessi organismi che hanno consentito che si creassero, nel giro di ventidue anni, le basi della tragedia attuale, un compito peraltro suddiviso tra un numero di organizzazioni sopranazionali, comitati, organismi preposti alla standardizzazione delle regole contabili, per finire con quel Financial Stability Forum che ha poco da offendersi quando viene assimilato dal per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, “ai topi posti a guardi del formaggio”.

Se sono queste le premesse per una Bretton Woods II, allora stiamo davvero freschi! Il che non sarebbe poi del tutto un guaio alla luce del fatto che la Storia ha confermato come gran parte delle motivazioni in base alle quali John Maynard Keynes si oppose violentemente al progetto statunitense che poi, ovviamente prevalse tra i boschi del New Hampshire, erano valide al punto che ventisette anni più tardi venne meno, per decisione unilaterale dell’allora presidente Nixon, quella convertibilità del dollaro in oro al cambio irrealistico di 35 dollari per oncia che del nuovo ordine economico e monetario internazionale ivi stabilito rappresentava il pilastro fondamentale.

Se oggi tutti o quasi concordano sul fatto che il problema fondamentale è quello di ristabilire il necessario clima di fiducia da parte dei risparmiatori/investitori nel sistema finanziario globale, la notizia della scoperta, da parte di una risvegliata Securities and Exchange Commission (anche perché non più presieduta da Effe O Ixs, al secolo Christopher Cox) dell’ennesima frode finanziaria da parte del miliardario texano R. Allen Stanford che, tramite la sua omonima banca, ha piazzato titoli per 8 miliardi di dollari che erano andati letteralmente a ruba a causa dei rendimenti altissimi che promettevano e che, secondo la stessa Sec, erano basati su ipotesi talmente irrealistiche e infondate da sollevare gli acquirenti da qualsiasi responsabilità, configurandosi invece gli estremi della truffa.

E’ alla luce dei dubbi sulle terapie seguite dai governi e dalle banche centrali, nonché da piacevolezze come la scoperta dell’ennesima truffa in danno dei risparmiatori e degli investitori che non vi è davvero da meravigliarsi se anche la giornata di ieri si è trasformata nell’ennesimo bagno di sangue sui mercati di tutto il mondo, iniziata male in Asia, per poi finire molto, ma molto peggio in Europa e negli Stati Uniti d’America, per poi replicare di nuovo stamane, anche se in quello che in gergo si definisce un esito misto, in Asia.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .