mercoledì 25 febbraio 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (quarta parte)


Prima di proseguire, mi vedo costretto a rivolgere lo sguardo a quanto sta accadendo in queste ore sulle due sponde dell’Atlantico, in quanto nel week end, come era largamente prevedibile, si sono consumati alcuni avvenimenti che incideranno, e parecchio anche, sulle questioni che ho affrontato nelle tre precedenti puntate sulle conseguenze economiche di Silvio Berlusconi!

La prima è rappresentata dall’anomalo vertice dei capi di Stato e di Governo dei principali quattro paesi dell’Unione Europea, Italia, ovviamente, inclusa, a cui partecipavano anche il presidente della UE, Barroso, il premier olandese, quello spagnolo e quello della Repubblica Ceca, causa presidenza di turno semestrale, una riunione tutt’altro che effimera e nella quale è stata messa giù una molto impegnativa agenda in vista del G20/G21 previsto per il 2 aprile prossimo venturo in quel di Londra, un’agenda che prevede, tra l’altro, la lotta senza quartiere ai paradisi fiscali rei di essere base di quei 7 mila miliardi di euro che non solo sono in gran parte sottratti agli oneri fiscali previsti nei paesi di appartenenza, ma vengono anche visti, a torto o a ragione, come la hot money che imperversa, a fini altamente speculativi sul mercato finanziario globale travolto dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta in corso.

Ma nell’agenda è previsto anche quanto sta già avvenendo negli Stati Uniti d’America, la nazionalizzazione di fatto di larga parte del sistema bancario e finanziario a stelle e strisce, un’operazione iniziata già in ottobre con Fannie Mae, Freddie Mac, Ginnie Mae e il colosso assicurativo AIG che è tornato ieri a bussare cassa, ma che da ieri sta coinvolgendo Citigroup, Bank of America, attraverso la conversione della montagna di preferred shares già acquisite in common shares, azioni ordinarie, previa immissione di altre decine e decine di miliardi di dollari direttamente sotto forma di azioni ordinarie, mentre sarebbe prevista la conversione di tutti gli interventi previsti dalla prima parte del TARP in altrettante azioni ordinarie delle entità a suo tempo beneficiate, incluse Wells Fargo, J.P. Morgan-Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley, sempre che le stesse non restituiscano quanto ricevuto (sic)!

E’ ora molto più comprensibile la recente esternazione di Silvio Berlusconi dopo l’incontro a Roma con il “salvatore del mondo” Gordon Brown” svoltosi in vista del vertice sopra menzionato, così come è chiaro che anche i governi dei maggiori paesi europei stanno seriamente considerando l’opzione statunitense, indubbiamente la più efficace per mettere in sicurezza i rispettivi mercati finanziari, anche se, quando tutto ciò si verificherà, stuoli di giornalisti e commentatori alquanto emebedded si sgoleranno a giurare che si tratterà soltanto di misure temporanee, peccato che nessuno di loro sarà in grado di indicare la data di conclusione dell’esperimento, anche perché è chiaro a tutti che non vi è nulla che piaccia di più ai governanti di turno come l’esercizio del potere pressoché assoluto sulla distribuzione del credito, che ovviamente sarà effettuata da persone da loro direttamente indicate o a loro certamente gradite!

Chiarito lo scenario internazionale che farà da cornice alle scelte di politica economica e ai piani di salvataggio delle entità protagoniste del mercato finanziario italiano, possiamo riprendere il filo del ragionamento esposto nelle tre puntate precedenti, ricordando che ci eravamo fermati a quanto è emerso nell’intervento del Governatore della Banca d’Italia alla riunione annuale del Forex e delle altre associazioni degli operatori impegnati nel mercato finanziario, un intervento nel quale Draghi ha evitato accuratamente di criticare il Governo per la scarsa entità dei provvedimenti, soprattutto se raffrontati alle cifre multiple messe in campo da Brown, da Sarkozy e dalla Merkel, mentre ha invitato i banchieri presenti (e i tanti stranamente assenti) a valutare molto attentamente il testo che prevede i cosiddetti Tremonti Bonds, che molti, a torto o a ragione, vedono come una sorta di cavallo di Troia di Bermonti per espugnare le alquanto traballanti mura di difesa dei primi cinque gruppi creditizi italiani.

Pur di cacciare dalla sua poltrona l’odiato Antonio Fazio, fu proprio Tremonti a indicare a Berlusconi il nome dell’allora uomo di vertice di Goldman Sachs, ma per un decennio Direttore Generale del ministero del Tesoro, Mario Draghi appunto, pur avendo perfettamente a mente il ruolo fondamentale svolto dal designato Governatore nel processo di privatizzazione di parte del sistema bancario e di aziende del calibro di Telecom, ENI ed ENEL, un ruolo che lo poneva indubitabilmente come elemento di punta del disegno europeista fortemente propugnato da Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Carlo De Benedetti e compagnia cantante e che rappresentò una vera e propria festa per le più importanti Investment Banks del mondo, inclusa quella potente e ancor più preveggente Goldman Sachs che molto opportunamente lo cooptò al termine della sua esperienza in Via XX Settembre, affidandogli importanti incarichi in Europa e ammettendolo al proprio comitato esecutivo mondiale!

Non voglio assolutamente entrare nel pur vivace dibattito che vede in quella fase del processo di privatizzazione un’occasione mancata per valorizzare l’esperienza delle Partecipazioni Statali, un regalo a Mediobanca e al capitalismo delle grandi famiglie, ma quello che è certo è che i medi, piccoli e piccolissimi imprenditori restarono, per così dire, a bocca assolutamente asciutta e fecero fatica a comprendere la strategia dei noccioli e nocciolini duri applicata a realtà quali la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano, e le importanti utilities sopra citate, un’opposizione sorda e muta che non fu estranea alla prima grande avventura imprenditoriale di Roberto Colaninno e dei suoi compagni di avventura, primo indizio della forma economica che stava assumendo quel partito del Nord che allora era soltanto in ‘mente dei’.

Così come non mi pare il caso di ricordare la doppia presidenza dell’IRI opportunamente affidata a Romano Prodi o che, nella doppia disfida di Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti, la prima avvenne, ancora ai tempi del pentapartito e quando Bettino Craxi godeva fama di grande statista, proprio su quella SME della quale il Professore si voleva a tutti i costi liberare, come, tanti anni dopo, dell’Alitalia, tutte occasioni nelle quali venne affidato a un allora giovane Berlusconi il compito di fare il guastafeste, anche se nel mezzo vi è la grande battaglia sulla proprietà della Arnoldo Mondadori Editore, una battaglia di grande e strategica importanza, anche alla luce del fatto che la Rizzoli era già saldamente controllata, via Roberto Calvi, dai padrini del tempo dell’uomo di Arcore.

Allora come oggi, Mediobanca rappresenta uno snodo troppo importante per accettare la presenza di Bolloré e dei francesi, qualcosa che ricorda molto da vicino la situazione esistente in Banca Intesa ai tempi in cui il Credit Agricole ne era l’azionista di riferimento e che fu risolta attraverso la fulmine e più volte ricordata acquisizione del San Paolo-IMI, il che apre al discorso relativo a Profumo e a Unicredit Group che affronterò domani!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .