giovedì 26 febbraio 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (quinta parte)


Al di là della proliferazione dei vertici tra capi di Stato e di Governo riscontrabile dall’autunno del 2007, è certo che gli alti marosi della tempesta perfetta in corso da oltre un anno e mezzo hanno messo in evidenza quel che manca nel progetto di edificazione degli Stati Uniti d’Europa, un processo che dalla visione iniziale dei padri fondatori ha certamente compiuto significativi passi in avanti, in particolare sul piano monetario, con la progressiva adesione di ben sedici paesi su ventisette alla moneta unica, il rafforzamento del parlamento e delle istituzioni europee, ma al quale mancano passaggi significativi e fondamentali che rischiano seriamente di allontanarsi di molto nel tempo, se non di finire per non realizzarsi più, in primis la possibilità di giungere ad un Governo unico, con precise competenze almeno in materia di difesa, politica economica e rapporti con l’estero.

Mentre la crisi finanziaria ha reso molto più probabile l’adesione all’euro dei paesi che hanno sinora utilizzato la clausola dell’opting out, non vi è dubbio che l’impossibilità di giungere alla definizione di un piano di salvataggio unitario ha ridato fiato a quelle spinte mai sopite a favorire gli interessi nazionali, anche a scapito degli altri paesi membri, accresciuto la tendenza al rafforzamento e alla difesa dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, nonché la tentazione di eliminare, spesso via aggregazioni successive, qualsiasi presenza ‘straniera’ ingombrante nel settore finanziario.

Se questa è una peculiarità francese, in parte legata a motivi storici, non vi è dubbio che nel settore creditizio italiano questa logica abbia avuto un ruolo prevalente nelle motivazioni che hanno portato all’acquisizione fulminea del San Paolo-IMI da parte di Banca Intesa e di Capitalia da parte di Unicredit, mentre non è stato risolto in Mediobanca che è, e intende rimanere, l’azionista di riferimento di quelle Assicurazioni Generali che hanno non del tutto a caso appena deciso l’incorporazione delle controllate Alleanza e Toro.

Non dispongo di alcun elemento di conoscenza in merito ai rapporti esistenti tra Giulio Tremonti e l’anziano banchiere di Marino, Cesare Geronzi, mentre è certo che quest’ultimo intrattiene rapporti cordialissimi sia con Silvio Berlusconi che con il suo braccio destro Gianni Letta, nel cui ufficio di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si svolgono quotidianamente incontri bilaterali, riunioni e conciliaboli, una sorta di stanza di compensazione tra le strategie da tempo delineate e l’applicazione pratica delle stesse.

Ho l’impressione che Alessandro Profumo non si sia accorto di quanto accadeva in questi mesi a Palazzo Chigi e dintorni, forse confidando troppo nella difficoltà di conciliare la visione tremontiana e le dichiarate ambizioni nutrite da Geronzi, nonché sull’attiva attività di interdizione svolta dal Governatore della Banca d’Italia che, in più di un caso, ha promulgato disposizioni che sembravano rispondere più che criteri di carattere generale alla volontà di sbarrare la strada verso quegli incarichi di vertice nelle Generali cui Geronzi sembrava aspirare, una sottovalutazione dei rapporti di forza che è deflagrata in occasione della conversione ad u sul modello di governance fortemente voluta da Geronzi e ostacolata sia da Profumo che da Draghi.

Tutto è divenuto più chiaro quando un cronista che in Unicredit Group è di casa ha anticipato, sull’organo ufficiale della Confindustria, un resoconto ampio una pagina sulla possibile fusione tra Mediobanca e Unicredit Group, un vero e proprio fulmine a ciel sereno, con ovvio seguito di smentite imposte dalla CONSOB ai due gruppi interessati, ma che altrettanto ovviamente nulla dicevano sulle intenzioni degli azionisti di riferimento dei rispettivi gruppi, in particolare di quelli di parte italiana, di alcuni dei quali è più che nota l’insoddisfazione per la situazione attuale, con particolare riferimento al progressivo squagliamento dell’azione di Unicredit.

Mentre è del tutto difficile, se non impossibile, dire quale sarebbe il senso industriale di una simile aggregazione, anche se di ciò non ci si è troppo preoccupati nelle due mega aggregazioni citate di sopra, o chi guiderebbe le danze, per non parlare poi della governance prossima ventura dell’aggregato risultante, quello che è certo è il cui prodest, anche alla luce dei nomi che sono circolati per le cariche di presidente e di amministratore delegato che i più hanno visto corrispondere, rispettivamente, a quelli di Cesare Geronzi e di Alberto Nagel, mentre, in base ai numeri, la presenza di Bolloré e degli altri soci francesi di Mediobanca si sarebbe diluita in modo drastico e così la loro influenza su quella che è forse la principale ragione di esistere dell’istituto di Piazzetta Cuccia: la partecipazione nelle Generali!

Con la benedizione di Berlusconi e la guida di Geronzi, non vi è dubbio che sia la componente bancaria che quella industriale di origine italiana del patto di sindacato che governa Mediobanca esprimerebbero a larga maggioranza parere favorevole all’operazione, anche se per le banche azioniste si tratterebbe solo di realizzare un capital gain, in quanto, alla luce della recente indagine conoscitiva dell’Antitrust in materia di governance, non sarebbe loro consentito di fare parte degli organi collegiali dell’aggregato risultante, mentre l’operazione rappresenterebbe una boccata di ossigeno per le fondazioni azioniste di Unicredit che, fatta eccezione per Cariverona, non hanno colto il messaggio implicito contenuto nella lettera circolare loro inviata da Tremonti.

Sarà un caso, ma la puntata che ho dedicato a suo tempo a questa operazione è stata una delle più lette sia dall’Italia che dall’estero, così come quelle dedicate al male oscuro che affligge Unicredit da quando è divenuto Group, anche se credo che difficilmente si procederà al solo fine di allontanare Profumo e Rampl dalle loro rispettive poltrone, anche perché credo che l’obiettivo dei padrini dell’operazione sia molto più ambizioso e molto più omogeneo a quel desiderio di controllare che siano garantiti, almeno dai due principali gruppi creditizi italiani, i flussi di impieghi essenziali per quello sterminato numero di imprese che già vede in Berlusconi una sorta di novello Re Mida, mentre fornirà un concreto motivo di fede per quelle che ancora mantengono un atteggiamento agnostico.

Se l’eventuale matrimonio tra Mediobanca e Unicredit Group è una pratica direttamente gestita da Berlusconi e Letta, delle prospettive del Monte dei Paschi di Siena se ne occupa direttamente Tremonti, sia perché l’attuale proprietario è una fondazione di origine bancaria, sia perché il tempo concesso a Rocca Sansedoni per ravvedersi è, per il poco paziente ministro, oramai pressoché scaduto, con il rischio che la complessa operazione che avrebbe dovuto fare nascere il terzo polo bancario e assicurativo italiano potrebbe essere divenuta più difficile da realizzare, ma di questo mi occuperò nella puntata di domani!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .