sabato 28 febbraio 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (settima parte)


L’emissione dei cosiddetti Tremonti Bonds da parte delle banche interessate a ricevere gli aiuti di Stato rappresenterà, d’altra parte, un chiaro test dell’influenza raggiunta dall’Esecutivo nei confronti dei vertici dei maggiori gruppi creditizi italiani, cui è destinata una quota che si aggira intorno all’80 per cento dei 10-12 miliardi di euro previsti, un test significativo in quanto, alla fine di un lungo ed estenuante braccio di ferro, il ministro dell’Economia l’ha spuntata su ABI, Banca d’Italia e ambienti della maggioranza sensibili alle ragioni delle banche ed è riuscito a imporre una serie di condizioni che, soltanto un anno fa, le banche avrebbero sdegnosamente respinto al mittente, ma che ora si apprestano a subire, seppur non senza qualche molto silenzioso mugugno!

L’adozione di un codice etico, la moratoria per un anno dei mutui a cassintegrati e disoccupati, un deciso abbassamento dei mega bonus e delle stock options milionarie (pro capite), il controllo esercitato dai Prefetti sulla stabilità degli impieghi alle imprese, in particolare a quelle piccole e piccolissime, non sono proprio bocconi facili da ingoiare per il gotha dei banchieri italiani, gente abituata a condizionare i politici, piuttosto che esserne condizionata, se non apertamente minacciata dal per la terza volta ministro italiano dell’Economia che, in più di un’occasione, ha ripetuto il suo jingle preferito sui banchieri in caso di default.

Certo, come ogni vincitore che si rispetti, Tremonti ha riposto sia l’arme della critica che quella delle armi, accontentandosi di avere messo in riga tutti quelli che, a torto o a ragione, ancora considera i responsabili dei danni subiti dai risparmiatori/investitori in una lunga serie di vicende dal carattere eccezionale, da Parmalat a Cirio, dai Bonds argentini a Giacomelli, ma che considera un po’ disinvolti anche nella attività ordinaria, in merito alla quale ha lasciato lunghe le briglia sul collo all’Antitrust che, in realtà, da un po’ di tempo si sta dando parecchio da fare sulle vere cause della cronica assenza di concorrenza nel mercato creditizio italiano, un comportamento che vede poche differenze tra le banche italiane e quelle straniere.

Confermandosi l’enfante terribile del giornalismo economico italiano, Oscar Giannino dal ‘suo’ Libero mercato ha lanciato una bordata non c’è male contro i maggiori gruppi bancari italiani, sottoponendoli allo stesso stress test previsto per le prime diciannove banche statunitensi e traendone la conclusione che, con la sola eccezione positiva di UBI Banca, tutte le altre si pongono di poco al di sopra del 3 per cento, ove il patrimonio venga depurato dell’avviamento, del marchio e di altre voci che non reggerebbero due minuti ove l’istituto di credito esaminato si trovasse realmente in difficoltà, una verifica che capita a fagiolo mentre si dibatte tanto sull’utilità o meno degli aiuti di Stato per le banche.

Richiamandosi esplicitamente all’esperienza in materia fatta dalla Francia, il Governo italiano punta a ottenere il massimo risultato possibile in termini di influenza e moral suasion nei confronti di quei gruppi che rappresentano tanta parte del sistema bancario italiano con il minimo esborso di mezzi, peraltro molto meglio remunerati di quanto il Tesoro corrisponda ai suoi creditori, mentre Tremonti continua ad accreditarsi come un novello Robin Hood agli occhi di quegli imprenditori di piccola taglia che già erano o rischiavano fortemente di essere le principali vittime del credit crunch in corso.

Lanciata una discreta manciata di brioches al popolo degli imprenditori, Berlusconi può così dedicarsi agli affari più importanti, raggiungendo un’intesa strategica sul nucleare con l’amico Sarkozy, cornice alla sigla di un deal tra ENEL e EDF, rimette il turbo al Ponte sullo Stretto di Messina, cerca di sedare la rissa nel pollaio milanese intorno al Big Business legato all’Expo prossimo venturo, tutte opere molto in là da venire ma che consentono al premier e ai suoi ministri di mettersi un casco bianco o giallo in testa e lanciare messaggi rassicuranti su un futuro fatto di decine e decine di miliardi di euro di opere pubbliche e di interessi molto privati.

Ma dove, almeno al terzo tentativo, Berlusconi compie il suo capolavoro è in quell’opera di intercettazione delle paure più o meno reali del suo pubblico, poco importa quanto le stesse siano amplificate da media che definire embedded e poco più di un eufemismo, un’opera nella quale il nostro non sbaglia davvero un colpo, poco importa che si tratti di immigrati, delinquenza più o meno organizzata, fannulloni, scioperanti nei servizi pubblici, con particolare attenzione ai trasporti, una lista molto lunga di obiettivi caratterizzati da un denominatore comune: una chiara maggioranza nei sondaggi preventivamente favorevole a che si faccia qualcosa, senza andare troppo per il sottile e senza curarsi degli effetti collaterali!

In perfetta assonanza con quanto previsto nel noto manifesto di una delle organizzazioni più o meno segrete di chiara ispirazione atlantica, anche nella sua terza esperienza governativa, Silvio Berlusconi ha ben chiaro che a quella residua parte del Paese che si ostina a non diventare un lavoratore autonomo o un imprenditore nemmeno a part time è rimasto un unico baluardo e che questo è rappresentato dalle organizzazioni sindacali che, a differenza dei partiti del centro sinistra o della sinistra attualmente esclusa dal Parlamento, sono ancora caratterizzate da un forte radicamento sociale e da una significativa capacità di influenzare i propri iscritti che, includendo i pensionati, continuano a superare la soglia dei dieci milioni di donne e di uomini, un numero importante, anche se oramai, come ho scritto nella prima puntata, i lavoratori dipendenti nel loro complesso siano divenuti una minoranza.

Pur non rappresentando un capitolo della politica economica in senso stretto, è tuttavia evidente che quello delle relazioni con le organizzazioni sindacali rappresenta un capitolo cruciale della strategia di Berlusconi, ma che è anche il capitolo sul quale ha incontrato le maggiori difficoltà nelle sue due precedenti esperienze governative, al punto da decidersi a delegarle completamente al duo Sacconi-Brunetta, i due ministri che, assieme a Tremonti, maggiormente risentono dell’influenza di Franco Reviglio della Venaria, una circostanza rivendicata dall’ex ministro socialista delle Finanze in una sua recente apparizione televisiva andata in onda a tardissima notte.

Le prossime settimane e i prossimi mesi chiariranno se l’azione congiunta di Brunetta e Sacconi avrà successo, anche se il solco che si stava creando tra la CGIL da un lato e le altre tre confederazioni sindacali dall’altro sembra si stia riducendo, alla luce della consapevolezza che l’obiettivo potrebbe non essere solo il ridimensionamento dell’organizzazione con sede a Corso d’Italia, quanto il Sindacato tout court, un dubbio che serpeggia sempre di più tra gli stati maggiori della CISL, della UIL e della UGL, in particolare da quando Epifani e i maggiori esponenti della sua confederazione stanno assumendo un atteggiamento più prudente.


Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .