sabato 28 marzo 2009

I banchieri a stelle e strisce regalano a Obama un giubbetto di salvataggio!


Avrei voluto essere una mosca o qualsivoglia altro insetto per poter essere presente e ascoltare cosa realmente ha detto ieri il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, quando si è trovato di fronte i principali responsabili del meldown finanziario che stiamo vivendo da poco meno di ventuno mesi al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, in quanto aveva invitato alla Casa Bianca i massimi esponenti delle principali banche statunitensi, di recente accomunate nella categoria delle banche più o meno universali e più o meno globali, almeno da quando, nell’autunno dell’anno scorso, le due uniche superstiti delle Big Five, Goldman Sachs e Morgan Stanley, avevano rinunciato al loro status di Investment Banks che le sottraeva sì al controllo non troppo occhiuto del sistema della riserva federale, ma che avrebbe impedito loro di accedere agli aiuti previsti dall’ex (?) boss di Goldman e pro tempore ministro del Tesoro, Hank Paulson.

Da quando seguo assiduamente le vicende americane, ho sempre invidiato la mole di statistiche e il dettaglio dei reportage di quella che rimane la più potente nazione del mondo, ma devo dire che ieri sono rimasto molto deluso dal basso livello di copertura che i media hanno voluto dedicare all’incontro tra il nuovo inquilino della Casa Bianca e quelli che, seppur molto acciaccati, restano pur sempre dei Masters of Universe, assisi sopra attivi (sic) per complessive decine di migliaia di miliardi di dollari, con alle dipendenze centinaia di migliaia di dipendenti sopravvissuti ai micidiali tagli degli organici anche se non sempre dei bonus milionari, tagli e bonus contemporaneamente presenti in particolare in quel settore di attività che viene definito Corporate & Investment Banking.

Ma i media americano di ogni ordine e grado non sono stati soltanto aprchi di notizie su quanto si sono realmente detti Obama e Summers da un lato e i banchieri guidati da larry Blankfein della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, ma anche su una notizia bomba diffusa nelle ore precedenti e che riguardava nientepopodimeno che il licenziamento in tronco del numero uno dell’ente federale che dovrebbe sorvegliare il settore delle casse di risparmio, un comparto decimato nella precedente e specifica crisi che costò ai contribuenti americani ‘solo’ 400 miliardi di dollari e che coinvolse anche il precedente inquilino della Casa Bianca, George W. Bush, allora giovane esponente di una cassa di risparmio del Texas che, come le altre, si era improvvisamente trovata nei guai sino al collo e che, come molte altre, fu salvata grazie al generoso intervento dello Zio Sam!

Pur nella scarsità di notizie, si è comunque scoperto che l’alto funzionario aveva chiuso entrambi gli occhi sulle difficoltà delle banche della specie, fornendo aiuti per centinaia di miliardi di dollari complessivi alle stesse e retrodatandoli per fare sì che le stesse rispettassero quegli stringenti requisiti patrimoniali stabiliti, appunto, dopo il costoso salvataggio di qualche decennio fa, una pratica emersa con chiarezza spulciando nei conti della famosa IndyMac Bank fallita nel luglio del 2008 e le cui spoglie sono state di recente composte pietosamente, ma molto interessatamente, da un fondo di private equity di proprietà di George Soros e del fondatore dell’omonima ditta di computer, Michel Dell, mentre non risulta che il numero uno pro tempore dell’agenzia federale sia stato associato, almeno per ora, alle patrie galere.

Sarò sospettoso, ma quando ho visto che il capo dei portavoce della Casa Bianca affermava che, ovviamente, il Presidente USA avrebbe adottato nel colloquio a porte rigorosamente chiuse gli stessi toni e le stesse argomentazioni utilizzati nelle numerose e recenti esternazioni pubbliche sull’argomento, non gli ho creduto, anche perché sono certo che, a taccuini e telecamere tenute a debita distanza e in una stanza rigorosamente schermata alle orecchie indiscrete, Obama abbia detto forte e chiaro ai suoi interlocutori parole non troppo dissimili da quelle pronunciate in incontri similari da Nicolas Sarkozy, Gordon Brown, Angela Merkel, e, per quel che conta, il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, parole di fuoco nei confronti della totale irresponsabilità e perdurante avidità dimostrate da questi uomini (non credo fosse presente alcuna donna nel club molto esclusivo dell’alta finanza statunitense) che hanno portato il loro Paese e il mondo intero sull’orlo del baratro se non addirittura direttamente nel precipizio!

Qualcosa di quello che gli hanno detto i banchieri lo si è, invece, capito da alcune dichiarazioni, in particolare quelle del numero uno della banca dei nipotini di John Pierpoint Morgan e di Nelson Rockfeller, Jamie Dimon, che ha dovuto ammettere che tutte le favole sugli ottimi primi due mesi del 2009 si stavano infingendo sul mare di perdite portate da un mese di marzo non ancora concluso ma che ha già fatto segnare perdite di poco meno di 10 miliardi di dollari per le sole principali banche presenti all’incontro, un annuncio che conferma quanto è stato scritto dopo le inusuali dichiarazioni dei numeri uno di Citigroup prima e di Bank of America che avevano illuso il mondo intero e un bel po’ di sprovveduti investitori che il peggio fosse oramai alle spalle, due personaggi che avevano inopinatamente deciso di calcare le orme di quei vertici di Bear Stearns, Washington Mutual, Merrill Lynch, Lehman Brothers, Merrill Lynch, Wachovia Bank, Countrywide che avevano giurato che tutto andava benissimo e lo dicevano proprio mentre le burrascose ondate della tempesta perfetta avevano orami inondato le stive dei loro un tempo potentissimi vascelli poi frettolosamente affidati alle cure di altre entità o, come nel caso ancora molto oscuro di Lehman, lasciati miseramente fallire.

Credo proprio che, al di là degli scarsi convenevoli di rito e le obbligatorie valutazioni di ottimo e abbondante riferite ai piani della nuova amministrazione, i banchieri presenti abbiano avvertito Obama che forse è meglio per lui e per tutti noi indossare in fretta il giubbetto di salvataggio per l’arrivo di una nuova e più alta ondata della tempesta perfetta!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog