martedì 31 marzo 2009

La tempesta perfetta modifica in modo radicale l'assetto geopolitico mondiale!


Mentre, alla fine della scorsa settimana, mettevo in guardia i miei lettori da quella che più di un osservatore delle cose economiche definiva un po’ ironicamente la corsa dell’orso, quel rimbalzo delle borse durato, seppur tra qualche incertezza, per ben tre settimane, ero perfettamente consapevole dello scetticismo suscitato dal mio warning, anche se credo che la giornata borsistica di ieri sui tre principali fusi orari, dall’Asia alla chiusura per noi notturna di Wall Street, abbia avuto perlomeno il merito di sostanziare con eloquenti dati di fatto quanto ‘noi scettici’ andavamo sostenendo in, almeno stavolta, nutrita compagnia.

Per quanti amano, come si dice a Roma, riconsolarsi con l’aglietto, resta l’argomento inoppugnabile che, nonostante tutto, siamo ancora ben lontani dai minimi toccati tra gennaio e febbraio, anche se mi viene da dire che, a due soli giorni dalla solenne apertura del G20/G21 in quel di Londra, ben altra doveva essere l’intonazione delle principali borse mondiali, non fosse altro che per il semplice fatto che mai vi è stata una così grande attesa come per l’appuntamento che, una forse del tutto inconsapevole regia, ha caricato di tanti problemi irrisolti e caricato le povere spalle degli sventurati sherpa dei capi di Stato e di Governo di dossier così ponderosi e così assolutamente misteriosi per i non addetti ai lavori!

Lasciati gli investitori di tutto il mondo alle loro speranze e alle relative disillusioni, vorrei approfittare di questa vigilia del summit per vedere, anche alla luce dei catastrofici dati sull’import degli Stati Uniti d’America e dei correlativi crolli dell’export di Cina, Giappone e Germania, quale è lo stato dell’arte della geopolitica determinato dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta ancora viva e vegeta e pochi giorni dal suo ventunesimo mese di vita.

Come in tutti gli esercizi comparativi che si rispettino, anche in questo caso è utile tornare ai mesi di giungo e luglio dell’anno scorso, quando, a un anno esatto dal blocco della liquidità interbancaria intervenuto il 9 agosto del 2007, un bimestre che vedeva la rottura verso l’alto del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, derrate alimentari purtroppo incluse, un situazione che, oltre ad arricchire il folto manipolo degli speculatori che operavano mentre le autorità regolatorie chiudevano uno e forse tutti e due gli occhi, donavano ai paesi esportatori di petrolio una forza e un senso di onnipotenza quali non si erano visti nemmeno dopo gli embarghi decisi da quello sceicco Yamani che, in un’ampia intervista riportata dal supplemento economico dell’edizione del lunedì del quotidiano La Repubblica, ha aperto uno squarcio sulle vere ragioni per le quali l’Arabia Saudita e gli altri paesi allora facenti parte dell’OPEC decisero allora di tagliare bruscamente e alquanto brutalmente le forniture di greggio ai paesi maggiormente industrializzati dell’ Occidente, Giappone ovviamente incluso!

Ma dagli anni Settanta a oggi ne è passata veramente tanta di acqua sotto i ponti, determinando uno scenario che ha visto molti altri paesi acquisire un ruolo di primo piano nel fruttuoso settore di attività avente a oggetto l’estrazione dell’oro nero, come, a solo titolo di esempio, la Gran Bretagna, la Russia e connesse repubbliche indipendenti, il Venezuela, il Messico, il Canada e chi più ne ha ne metta, mentre la ventennale crescita impetuosa delle economie e del commercio internazionale mettevano in ottima posizione molti altri paesi detentori di riserve di altre materie prime caratterizzate da un più o meno elevato grado di scarsità, ma indispensabili per la produzione di oggetti molto richiesti nell’era della rivoluzione informatica.

Un test del senso di onnipotenza che aleggiava in quei mesi al Cremino lo si è avuto con l’avventura georgiana, avviata pressoché in contemporanea con l’inaugurazione dei giochi olimpici ospitati da una Pechino avveniristica capitale di una Repubblica Popolare Cinese che sembrava destinata a replicare all’infinito tassi di crescita a due cifre del proprio prodotto interno lordo e correlate e crescenti ambizioni imperialistiche, due eventi apparentemente così lontani tra di loro, ma uniti dal filo rosso della crescente insofferenza dei gruppi dirigenti a stelle e strisce nei confronti della più che prevedibile marginalizzazione prospettica di quella che era, è e vuole a tutti i costi continuare a essere la più importante nazione del pianeta.

Come era largamente prevedibile, un’efficace mano alle esigenze di Washington è venuta da un’ampia intervista rilasciata, evento di per sé assolutamente straordinario, dal Re dell’Arabia Saudita, non del tutto a caso riportata con grande evidenza dai principali quotidiani di tutto il mondo e, nella quale, il capo dell’amplissima famiglia reale che conta molte migliaia di membri rendeva nota urbi et orbi la sua profonda insoddisfazione per il livello stellare oramai raggiunto dal prezzo della principale, se none esclusiva, risorsa del suo paese, una contingenza che, ben lungi dal renderlo felice, preoccupava lui come avrebbe dovuto preoccupare tutti gli altri capi di Stato e di Governo dei paesi produttori di greggio.

Per quanto superfluo, mi trovo costretto a ricordare ai più distratti tra i miei lettori che, a partire da quel preciso momento, il prezzo del petrolio abbandonò in fretta e furia lo stratosferico prezzo di 147 dollari al barile per sprofondare in poco tempo sino all’infimo livello di 34 dollari, per poi oscillare di poco intorno a quel livello di 50 dollari che sembra gradito al Re saudita, allo sceicco Yamani, anche se lo è molto, ma molto di meno al Cremino e dintorni, o a Caracas e nelle capitali di quei paesi che speravano fosse finalmente giunta l’ora del proprio riscatto economico e finanziario dopo decenni di umiliazioni nei consessi internazionali.

Travolti dal crollo dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime, nonché squassati dalle sempre più alte ondate della tempesta perfetta, a questi stessi paesi non resta ora che aspettare, con maggiore o minore ansia, che il G20/G21 li tiri fuori dalle disgrazie attuali e prospettiche!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog