lunedì 2 marzo 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (nona parte)


E’almeno dalla fine dei ruggenti anni Ottanta, ma in particolare dal Governo Amato che prese il via in piena Tangentopoli, che qualsiasi esecutivo si sia succeduto alla guida del Paese ha, in realtà, avuto le mani legate dal peso percentuale e dal valore assoluto del debito pubblico, una questione che che è stata tuttavia gestita in modo assolutamente passivo, se si fa eccezione per qualche decisione episodica e non sempre impeccabile presa da Giulio Tremonti nella parte di quinquennio 2001-2006 che ha gestito prima della cacciata decisa da Fini e Casini, aprendo la strada al grigio periodo interinale di Domenico Siniscalco.

E’ perlomeno strano che in una fase durata poco meno di venti anni e pressoché coeva alla crescita esponenziale della finanziarizzazione a livello globale, non si sia cercato di fare nulla per trasformare il problema del debito pubblico in un’opportunità, lasciando tutto il campo a idee, purtroppo spesso realizzate, che equivalevano più o meno alla vendita o alla svendita della argenteria di famiglia, un esercizio questo che non ha assolutamente visto differenze negli esecutivi che si sono succeduti, anche se, come ho ricordato sopra, le decisioni più significative e irreversibili furono prese nei primi anni Novanta dal trio Ciampi-Amato-Draghi, mentre non vi è dubbio che sia che Berlusconi che Tremonti, in particolare nella presente esperienza governativa, sembrano gradire molto di più l’idea di una maggiore influenza dello Stato nelle utilities ancora non del tutto privatizzate, ENI ed ENEL in primis, ma anche a contare in società del tutto private quali Telecom Italia, per non parlare di quella vera e propria ansia di controllare direttamente o indirettamente i maggiori gruppi creditizi italiani.

Che il settore delle telecomunicazioni inteso in senso lato sia oggetto di attenzioni a livello quasi ossessivo da parte di Silvio Berlusconi è cosa non solo ultranota, ma anche comprensibile alla luce degli interessi diretti che il premier ha nel settore dei media, televisivi e non, un mercato che presenta rilevanti analogie con quello creditizio, anche se in realtà in questo caso si può parlare a buon diritto più di un duopolio che di un oligopolio collusivo, anche se si tratta di un duopolio che inizia a essere minacciato dalla crescente concorrenza della Sky di Rupert Murdoch, mentre non sembra preoccupare troppo quella che sempre più spesso appare davvero come Raiset l’insidia rappresentata dalle due reti che fanno capo direttamente a Telecom Italia, sempre che Bernabé non pretenda di crescere in termini di audience più di quanto fece a suo tempo Marco Tronchetti Provera.

Così come è un vero e proprio segreto di Pulcinella l’interesse nutrito da Berlusconi per il matrimonio del secolo, quello tra Mediaset e Telecom Italia, un interesse che rappresenta un, anche se non l’unico, motivo per la decisa azione di interdizione che Palazzo Chigi esercita sulle ambizioni della spagnola Telefonica e su quelle dell’amico-rivale Murdoch, entrambi interessati a fare il colpaccio, la prima con una possibile scalata o in Telco o sull’intera società, mentre il secondo sembra più che interessato a superare i limiti derivanti dal satellite, traslocando armi e bagagli sul filo.

Dopo la triste esperienza fatta nella sua prima vita da amministratore delegato di Telecom Italia, non vi è dubbio che Franco Bernanbè, che è solo per caso un altro ex pupillo e protetto di Franco Reviglio della Veneria, ha certamente capito che non è assolutamente il caso di mettersi in rotta di collisione con il Governo, pare anzi che sia uno dei più assidui frequentatori delle stanze che contano a Palazzo Chigi, una frequentazione che è divenuta molto più intensa nelle ultime settimane, quasi che il due volte amministratore delegato di Telecom, con esperienza in posizione analoga nientepopodimeno che all’ENI, una parentesi alla presidenza europea di Rothschild, consideri l’esecutivo il suo vero e unico azionista di riferimento, quasi fossimo ancora ai tempi della Super Stet di Agnes e Pascale!

Al di là del fatto indubitabile che Franco Bernabè sia uno dei pochi top manager italiani di assoluta qualità, certificata anche dalla sua frequentazione di un club esclusivo come il gruppo Bildberg, le ragioni della sua sudditanza dall’asse Berlusconi-Tremonti Letta sono alquanto semplici e risiedono nella struttura debitoria del gruppo che guida per la seconda volta che, dopo la scalate di Roberto Colaninno e quella di Marco Tronchetti Provera, si trova ad un rapporto tra indebitamento netto e fatturato che continua ad oscillare su valori prossimi a due, ma che è stato già spolpato di tutto lo spolpabile dai due precedenti controllanti, come con giusta veemenza osserva Beppe Grillo, ma quello che più colpisce è che oltre due terzi dei titoli del debito siano stati emessi all’estero, presentando così una situazione non troppo diversa da quella della Parmalat di Tanzi o della Cirio di Cagnotti prima dei rispettivi e clamorosi default.

Anche se è certamente vero che tale situazione non si presenti in modo diverso nelle principali grandi imprese basate in Italia, è quanto meno ovvio che a Bernabè necessiti assolutamente la qualificazione di campione nazionale e la realtiva protezione del Governo contro gli appetiti del socio Carlos Alierta e dello ‘squalo’ Murdoch, due che notoriamente sono molto attivi quando sentono il sangue fuoriuscire dalle ferite della preda di turno, ma anche due persone perfettamente in grado di cogliere il messaggio implicito nell’operazione CAI-Alitalia, un’operazione certamente assurda se osservata sul piano dell’economicità o dal punto di vista dei danneggiati creditori e contribuenti, ma che rappresenta un chiaro warning nei confronti di chi osi pensare che sia possibile ‘allargarsi’ in Italia non solo senza l’avallo politico, ma addirittura contro il volere dell’inquilino pro tempore di Palazzo Chigi.

Una delle caratteristiche principali di Silvio Berlusconi è quella di essere in grado di trasformare, a volte in modo anche brillante, qualsiasi rischio o minaccia in un’opportunità, anche perché non è affatto escluso che possa decidere di sfruttare le ambizioni dello spagnolo e dell’australiano per risolvere o perlomeno diluire fortemente l’annosa questione del conflitto di interessi che, assieme alla sua inguaribile tendenze alle gaffes più o meno pesanti, rappresenta da sempre il suo tallone d’Achille, anche se tendo a escludere che rinunci a essere socio dell’aggregato che potrebbe venire fuori da un merger tra telefonia e televisione, anche perché, al di là della quota residua, basta avere un patto di sindacato blindato per continuare a esercitare la sua influenza sul colosso che potrebbe nascere.

Pensate all’impatto che avrebbe una simile operazione che, in un solo colpo, consentirebbe a Berlusconi di affermare di avere risolto il suo conflitto, di uscire dall’angolo dell’obsolescenza della sua principale creatura imprenditoriale, di trovare un successore al povero Fedele Gonfalonieri che non ne può proprio più di continuare a essere il parafulmine del suo amico di gioventù, di avere una quota di quella che potrebbe essere un’impresa di grande successo, di monetizzare l’investimento in Mediolanum, nonché di smettere di essere il generoso editore di Massimo d’Alema e Walter Veltroni! A domani, per la decima e ultima puntata.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .