mercoledì 4 marzo 2009

Obama va all'attacco di Wall Street!


Sfruttando appieno il favorevole clima psicologico che accompagna i primi mesi di vita di ogni nuova amministrazione americana, Barack Obama, sta portando un deciso affondo alle varie Big dell’economia a stelle e strisce, Big Finance, Big Pharma, Big Oil e chi più ne ha ne metta, innescando un conflitto al calor bianco dagli esiti difficilmente prevedibili, soprattutto perché è molto difficile, che in piena luna di miele con l’elettorato e un quadriennio durissimo davanti, il giovane avvocato di Chicago finisca per venire a patti con quelli che già si profilano come i principali e più agguerriti avversarsi del cambiamento da lui invocato nel corso della lunghissima campagna elettorale.

Per una volta, mi trovo in profondo disaccordo con Paul Krugman, Nouriel Roubini e altri economisti a stelle e strisce, che, in buona sostanza, imputano a Obama di mettere in campo provvedimenti che si fermano a un certo punto, come, a esempio, nel caso della mancata completa nazionalizzazione di Citigroup, un caso da manuale, a mio modesto avviso, di bicchiere mezzo pieno visto, da questi valentissimi economisti, come mezzo vuoto, quasi non si rendessero conto che, in un Paese come quello dove loro si trovano a vivere, la trasformazione di azioni privilegiate sottoscritte dallo Stato in azioni ordinarie della più grande banca statunitense costituisce un atto realmente rivoluzionario, soprattutto quando sono state nazionalizzate tout court entità gigantesche come AIG, Fannie Mae e Freddie Mac!

La stessa nazionalizzazione delle entità appena citate non è stata di per sé risolutiva, né poteva ragionevolmente esserlo, dei quasi inestricabili nodi che avviluppano il mercato finanziario statunitense, vera costola fondante del sistema finanziario globale, ma hanno avuto il pregio di fare emergere una parte rilevante di quanto era stato volutamente e deliberatamente nascosto dagli strapagati presidenti e amministratori delegati precedenti, cosa che è destinata inevitabilmente a verificarsi in quella sorta di supermarket del credito che era divenuta la molto multinazionale Citigroup a causa delle scelte dissennate di Weill e del suo successore Chuck Prince III, mentre osservo solo di passata che, con quella che il Wall Street Journal, ha definito poco di meno di una pistola puntata alla testa, Geithner è riuscito a imporre al principe saudita Al Waalhed e a vari fondi sovrani di trasformare titoli con agganciata una operosissima cedola in azioni ordinarie di Citi.

Il vero e proprio braccio di ferro in corso tra il numero uno di Bank of America e il nuovo sceriffo di New York, Andrew Cuomo, con il secondo che ha messo il primo sotto inchiesta per il suo ostinato rifiuto a svelare i nomi dei manager si Merril Lynch destinatari dei bonus multimilionari in dollari alla vigilia dell’acquisizione della ex Investment Bank da parte di BofA, minaccia di trasformarsi nell’anticamera della nazionalizzazione, sempre nella versione obamiana, della seconda banca statunitense, anche se è certo che, sooner or later, lo stesso destino toccherà a tutte le entità creditizie che hanno fatto la parte del leone nella spartizione dei primi 350 miliardi di dollari previsti dal TARP.

Come i miei lettori ben sanno, ho dedicato le ultime dieci puntate del Diario della crisi finanziaria alle conseguenze e economiche di Silvio Berlusconi, dieci giorni che sono stati alquanto travagliati sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico per vicende alle quali ho potuto, al più, dedicare dei brevi siparietti, anche se devo dire che quasi tutto quanto è accaduto era stata largamente trattato nelle settimane e nei mesi precedenti, a esempio nelle due puntate che ho dedicato tempo fa al male oscuro di Citigroup, anche se devo dire che sono rimasto sorpreso nel vedere gli afflussi record di visitatori del blog sia dall’Italia che dall’estero in concomitanza con la pubblicazione a puntate del breve saggio dedicato a vicende complesse e molto domestiche.

Al di là delle oramai abituali montagne russe dei mercati azionari, devo dire che concordo con quanto detto ieri da Bernspan e da Jean Claude Trichet, quando, più o meno all’unisono, hanno affermato che il peggio non è assolutamente alle spalle, una cosa della quale i risparmiatori/investitori si sono, loro malgrado, perfettamente accorti da soli, anche perché i due maggiori banchieri centrali del pianeta si ostinano a stare pervicacemente behind the curve, al punto che, il primo dei due, per vederci meglio ha pensato bene di azzerare di fatto i tassi a brevissimo termine, mentre il secondo si tiene attaccato a quel due per cento che, per un germanizzato quale lui è, corrisponde più o meno a tassi di interesse negativi!

Certo che i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali dei sette paesi maggiormente industrializzati, quegli stessi che nel loro recente summit lampo di Roma avevano detto di non essersi assolutamente occupati di cambi, qualche frase dedicata all’argomento devono poi averla detta, almeno a giudicare dal sensibile indebolimento dello yen giapponese sia nei confronti del dollaro che dell’euro, un movimento alquanto repentino e che ha fornito una salutare boccata di ossigeno alle imprese esportatrici nipponiche che, come sta accadendo un po’ a tutta l’Asia, registrano un calo verticale delle loro spedizioni oltremare.

Il fallimento dell’ennesimo vertice dei capi di Stato e di governo dei ventisette paesi dell’Unione europea, o meglio la vittoria della posizione tedesca nettamente contraria ad adottare un piano di salvataggio dei paesi dell’Est, rischia di avere conseguenze drammatiche per le banche tedesche, francesi, britanniche e italiane presenti in quei paesi, ma anche di questo i risparmiatori/investitori sembrano essersene già perfettamente resi conto, mentre non so quanto ne siano consapevoli coloro che li governano!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .