mercoledì 25 marzo 2009

Perché fallirà anche il piano di Geithner!


Confesso di avere fermato a metà la lettura del lancio della Associated Press che riportava le parti essenziali dell’audizione congiunta che Timothy Geithner, il nuovo e giovane ministro del Tesoro di Obama, e il suo ex capo nel sistema della riserva federale, Ben Bernanke, in arte Bernspan, hanno tenuto ieri davanti a una agguerritissima commissione bancaria del Senato, non perché non fossi interessato agli argomenti da loro trattati, ma proprio perché queste dichiarazioni preconfezionate a uso e consumo dei media più embedded alle logiche del capitale finanziario mi hanno letteralmente nauseato dopo più di venti mesi di tempesta perfetta, anche se è giusto ricordare l’appello al Congresso di Tim per avere il potere di chiudere entità come AIG!

Come ho già fatto ieri, anche oggi continuerò a non pronunciarmi sul piano presentato lunedì dal ministro del Tesoro statunitense, Timothy Geithner, in una dichiarazione a porte rigorosamente chiuse alle telecamere, forse perché qualche ora più tardi Tim avrebbe fatto un’apparizione in diretta dagli studi televisivi di proprietà di quel Wall Street Journal che si conferma essere la vera gazzetta di bordo della malmessa flotta finanziaria squassata dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta.

Non credo proprio sia il caso di ripetere qui le ragioni che mi portano a non commentare un piano assolutamente non dettagliato su quello che ritengo l’aspetto principale e, cioè, il prezzo che verrà pagato agli attuali detentori di quelle decine di migliaia di miliardi di dollari di titoli più o meno tossici della finanza strutturata ancora presenti sopra o sotto la linea dei bilanci delle banche di ogni ordine e grado, delle compagnie di assicurazione, dei fondi di investimento, dei fondi pensione, degli hedge funds e delle altre entità comprimarie del mercato finanziario statunitense, che era, è e, molto probabilmente sarà anche in futuro, la vera costola essenziale del più vasto e molto procelloso mercato finanziario globale.

Come dicevo nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, sono perfettamente consapevole delle difficoltà del compito dei Governi e delle banche centrali nel gestire un problema delle dimensioni sopra ricordato in modo efficiente, efficace ed equanime, né pretendo come fanno il premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman, o altri economisti più o meno insigniti di questo come di altri prestigiosi awards, di avere la ricetta magica per uscire pressoché indenni dal meltdown finanziario provocato da ben individuati responsabili che, a onta degli sforzi dei solerti giudici americani e di uno stuolo di donne e uomini del Federal Bureau of Investigations, nonché di legioni di dipendenti di altre entità federali, restano bellamente a piede libero e molti di loro ancora ben assisi su quelle stesse remuneratissime poltrone dalle quali sono ancora in grado di fare danni e di licenziare in modo massivo decine di migliaia di persone che hanno avuto l’unico torto di obbedire ai loro ordini, più o meno formalizzati e più o meno scritti.

Non mi voglio, tuttavia, sottrarre all’obbligo di commentare l’idea in sé sostenuta da Geithner, un’idea che, in realtà, non è che l’evoluzione del pensiero e delle azioni concrete del suo predecessore e amico, Hank Paulson, un’idea che trova ferventi seguaci tra i leaders politici e tra quelli che il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, definisce alquanto sprezzantemente “i topi messi a guardia del formaggio”, un’idea certamente suggestiva e non priva di fascino, almeno a stare ai giudizi di persone che reputo sicuramente competenti e che hanno avuto la bontà di spiegarmela con passaggi formali che cerchereste invano di trovare nella montagna di articoli e di commenti che riempiono da mesi le pagine dei giornali specializzati e le pagine e economiche dei maggiori e più autorevoli quotidiani dell’intero pianeta.

L’idea prevalente tra i leaders politici ed economici del mondo è quella che, individuato in modo sufficientemente chiaro un problema, non è mai impossibile trovare una soluzione, per la semplice ragione che la seconda è spesso implicita nel primo, o, detto in parole più semplici, se il problema è rappresentato dal ritrarsi, come se fossero un solo individuo, dei risparmiatori/investitori dal mercato rappresentato dal punto terminale del processo di finanziarizzazione e, cioè, i titoli delle finanza strutturata collateralizzati a operazioni di impiego della più diversa specie, la soluzione è allora data dal trovare un modo per riattivare con mezzi di emergenza quello stesso mercato, creando allo scopo dei veicoli finanziati da capitali pubblici e, possibilmente, privati che ritirino dal mercato la porzione più tossica della montagna da decine di migliaia di dollari esistente, il tutto allo scopo di rendere più appetibile, via prezzi di mercato molto, ma molto ridotti, quella meno puzzolente e impresentabile.

Scusandomi in anticipo con i miei lettori per la presentazione semplicistica e molto schematizzata di un progetto che richiederebbe una formalizzazione più all’altezza dell’esposizione delle persone che sono state tanto gentili e pazienti con me, mi permetto di fare l’avvocato del diavolo e di dire quello che, a mio modesto avviso, non torna nel ragionamento dei decision makers mondiali e nelle spiegazioni tecniche sopra menzionate, facilitato in questo da quanto contenuto nell’appello ai leaders del G20/G21 inviato da Barack Obama in vista del prossimo summit del 2 aprile a Londra, un testo molto accorato e riportato integralmente dai maggiori quotidiani statunitensi ed europei e che, in buona sostanza, avverte che, senza uno sforzo comune proporzionato a quello che stanno facendo gli Stati Uniti d’America, non si va proprio da nessuna parte!

L’esortazione di Obama, tuttavia, rappresenta solo uno dei due corni del problema, il secondo essendo rappresentato dalle vere e profonde cause della disaffezione degli investitori, anche dei più avidi tra loro, nei confronti delle invenzioni degli apprendisti stregoni alle dipendenze delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, cause che, almeno al momento, non sono state nemmeno sfiorate negli innumerevoli vertici più o meno pubblici che da venti mesi impegnano quasi tutti i week end dei maggiori leaders mondiali!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog