domenica 24 maggio 2009

Ma non è che nazionalizzano Bank of America?


In vista del prossimo festival dell’economia che si terrà a Trento a cavallo della fine di maggio, il quotidiano La Repubblica ha dedicato un inserto di ben otto pagine dedicate all’avvenimento, un’iniziativa editoriale certamente lodevole e che ha dato modo anche a quanti non potranno prendere posto nelle locations previste per gli incontri di avere modo di sapere cosa avranno da dire i tre premi Nobel per l’Economia, che hanno, peraltro, ricevuto insieme il prestigioso award, e che hanno deciso di partecipare insieme a quelli tra gli economisti e i giornalisti economici italiani e stranieri che più si stanno impegnando a capire le caratteristiche del tutto particolari della tempesta perfetta che fra due settimane soltanto entrerà nel suo ventitreesimo mese di virulenta e devastante attività.

Pur avendo letto con interesse e con la dovuta attenzione gli articoli di Massimo Giannini, Federico Rampini, Eugenio Occorsio, Giorgio Lonardi, Carlo Petrini e Vittorio Zucconi, devo dire che mi ha molto più interessato quanto hanno detto Joseph Eugene Stiglitz, Michael Spence e George Arkeloff, che, assieme al fresco di Nobel Paul Krugman e il Dr. Doom, al secolo Nouriel Rubini, possono essere annoverati tra i pochi studiosi della scienza economica non emebedded alle logiche e agli interessi del capitalismo finanziario, così come appaiono alquanto scettici sulla ricetta del nuovo inquilino della Casa Bianca, ma, e forse soprattutto, appaiono non poco diffidenti nei confronti della maggior parte dei consulenti in materia che attorniano il giovane presidente degli Stati Uniti d’America e che, in buona parte, era già al servizio permanente attivo del suo predecessore Bill Clinton, uno che non muoveva un passo in materia di economia e finanza se non aveva ricevuto l’imbeccata da Robert Rubin prima e da Larry Summers poi.

Conversare con Stiglitz ha rappresentato un’occasione troppo ghiotta per Eugenio Occorsio che, infatti, ha cercato di capire il motivo della sua non adesione alla ricetta di Geithner e Bernspan per salvare le banche, ottenendo lo scoop di una visita su invito di Stiglitz e Krugman a Obama proprio per discutere le scelte della nuova amministrazione, un incontro che, al netto ovviamente dei dettagli, avrebbe consentito al presidente di chiarire ai suoi due autorevoli interlocutori la sua volontà di salvare i risparmi e i finanziamenti delle imprese e delle famiglie, una volontà che farebbe premio sulla difesa a oltranza dei banchieri e degli altri vertici delle entità protagoniste di quel mercato finanziario statunitense che è pur sempre la costola fondamentale del mercato finanziario globale.

Io e qualche altro cronista malizioso della tempesta perfetta ci spingiamo sino a vedere tra le righe delle scarne frasi dedicate da Stiglitz al delicato argomento qualche anticipazione in merito alle nuove mosse della amministrazione a stelle e strisce, mosse che dovrebbero portare a esaudire il desiderata dei due Nobel sulla necessità di procedere con maggiore decisione sulla strada di una temporanea nazionalizzazione di almeno due delle sei grandi banche statunitensi rimaste sulla scena, un riferimento che acquisisce maggiori contorni ove si pensi alla situazione in cui versano Bank of America e Citigroup, non del tutto a caso dei maggiori aiuti diretti e indiretti da parte del Tesoro e del sistema della riserva federale, aiuti che sfiorano i cento miliardi di dollari in termini di iniezioni di capitale e svariate centinaia di miliardi di dollari sotto forma di alleggerimento di titoli più o meno tossici della finanza strutturata presenti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle due colossali entità finanziarie appena citate.

Non sfugge a nessun osservatore attento che vi è, tuttavia, una differenza fondamentale tra la banca amministrata da Vikram Pandit e che ha pagato per lunghissimo tempo 60 milioni di dollari a Rober Rubin per un incarico poco più che ornamentale e quella gestita, almeno per il momento da Kenneth Lewis, una banca che si è dovuta fare carico del colosso dei mutui Countrywide, della più grande cassa di risparmio del mondo, Washington Mutual e, the last but not the least, di Merrill Lynch.

Non è un mistero per nessuno che Merrill venne salvata proprio nella stessa notte di metà settembre nella quale il trio Bush-Paulson-Bernspan decise di mandare letteralmente a zampe all’aria Lehman Brothers, mentre nazionalizzava di fatto il colosso assicurativo AIG, un’entità che non era solo troppo grande per essere lasciata fallire, ma che era anche controparte per cifre spropositate dei Credit Default Swaps sottoscritti da tutte le banche più o meno globali poste al di qua e al di là dell’oceano Atlantico e a gestire la quale l’ex (?) investment banker Hank Paulson decise di mandare proprio quel Edward Liddy che era stato suo sottoposto in Goldman Sachs e che doveva garantire che alla potente ma ancor più preveggente ex investment bank e a qualche decina di altre banche venissero saldati i conti che sono, per il momento, costati poco meno di 200 miliardi di dollari ai contribuenti americani, una missione più o meno completata e che consentirà al povere Ed di tornare a godersi la sua più che meritata pensione!

Ma vi è un altro motivo per cui Citigroup potrebbe non fare la fine di BofA ed è rappresentato proprio dalla ‘sconfitta’ subita da Rubin e Pandit nella corsa all’acquisizione delle spoglie di Wachovia Bank che, per loro fortuna, è stata conquistata dalla più piccola ma molte meglio messa Wells Fargo, così come credo che, nel ritirarsi dal conflitto legale, i due banchieri abbiano fatto tesoro dei suggerimenti ricevuti a Washington.

Alla fine della fiera, i 13 miliardi di dollari ottenuti dalla ricapitalizzazione lasciano sempre scoperte per Bank of America le necessità individuate dal Tesoro e dalla Fed, stimate in ulteriori 22 miliardi ai quali vanno aggiunti, a onor del vero, i 45 miliardi di dollari in preferred shares che Lewis dichiara, un giorno sì e l’altro pure, di volere restituire, anche se si dimentica sempre di dire quando!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog