lunedì 11 maggio 2009

Obama mette alla berlina i bondholders di GM!


Mentre prosegue veloce la procedura per fare uscire al più presto dal Chapter 11 della legge fallimentare statunitense quel che di Chrysler serve alla FIAT, si complicano, e di molto, le cose per General Motors, anche perché sembra proprio che non vi sia verso di convincere i possessori di obbligazioni per 27 miliardi di dollari della più grande casa automobilistica a stelle e strisce, per la semplice ragione che coloro che hanno investito i loro soldi in questi titoli rappresentativi del debito sembrano proprio non gradire affatto l’ipotesi di scambiarli con il 10 per cento del capitale della società, scambiando cioè il credito da loro vantato in azioni ordinarie che, per la loro stessa natura rappresentano capitale di rischio.

Capisco benissimo il nervosismo del nuovo inquilino della Casa Bianca rispetto a questo rifiuto dei bondholders di General Motors, più o meno analogo rispetto all’atteggiamento tenuto dai possessori di bonds della Chrysler, spingendomi anche a ritenere che sia possibile per Obama pensare che questi investitori/risparmiatori non sentano fino in fondo la drammaticità della situazione, anche se mi consento di suggerire maggiore pazienza allo stesso Obama, in quanto non è carino, né tanto meno produttivo per la creazione di quel clima di fiducia di cui tanti a parole sentono la necessità, fare i conti con i soldi degli altri, in particolare quando questa amministrazione e quella che la ha preceduta hanno preso e stanno prendendo decisione a nome dei contribuenti, di tutti i contribuenti, per somme astronomiche, assumendo con una certa disinvoltura rischi colossali che verranno pagati da tutti!

Mi fa molto piacere apprendere dai media che Obama ha deciso di rinunciare al gobbo elettronico che gli ha consentito sino a oggi di sfoggiare una discreta eloquenza, decidendo di farlo in un incontro conviviale con la stampa nel corso del quale si è dilettato in un sforzo ironico e persino autoironico, anche perché mai come nel corso di una tempesta perfetta di dimensioni inaudite è necessario sapersi rilassare e, almeno se ci riesce, divertire gli alquanto cinici giornalisti a stelle e strisce, così come è sempre vero il detto che recita “cuor contento, il ciel lo aiuta”, ma non mi sfugge affatto il fatto che il giovane presidente della nazione ancora più armata e potente del mondo abbia deciso di comunicare, tra una battuta e l’altra, che prevede di arrabbiarsi e molto nei prossimi cento giorni e ceto i motivi non gli mancano, né tanto meno gli mancheranno nelle prossime settimane.

Non è, infatti, un mistero per nessuno che sono in attività legioni di lobbisti al soldo di tutti gli interessi che si sentono, a torto o a ragione, minacciati dal programma economico e sociale esposto da Obama nella estenuante campagna elettorale e confermati sia nel lunghissimo periodo di transizione tra la vecchia e la nuova amministrazione, sia in questi primi mesi di mandato, proposte che toccano gli ambiti più disparati, dalle pratiche disinvolte seguite dalle società finanziarie che emettono e gestiscono le carte di credito, le compagnie di assicurazione, le banche di ogni ordine e grado, i detentori di titoli rappresentativi del debito degli emittenti di più varia natura, i sistemi di compensation & benefit delle aziende di ogni settore, le facilitazioni di cui sinora hanno goduto le aziende a carattere multinazionale e i ricchi in genere, insomma, verrebbe davvero da dire, come sfuggì a suo tempo a un dittatore italiano, ‘tanti nemici, tanto onore’, Mr. President!

Nel breve volgere di qualche mese, Obama è riuscito a fare infuriare anche i cosiddetti economisti liberal per la netta sensazione di continuità esistente tra le mosse del nuovo ministro del Tesoro, Timothy Geithner, e il suo predecessore, l’ex (?) investment banker, Hank Paulson, per non parlare poi delle briglie lasciate sciolte sul collo di Bernspan, il tutto condito da migliaia e migliaia di dollari profusi a piene mani per aiutare direttamente o indirettamente proprio quella Wall Street che, negli infuocati discorsi della campagna elettorale, sembrava proprio destinata a pagare un prezzo molto salato alle sue malefatte, anche perché il candidato Obama aveva giurato e rigiurato che era oramai venuto il momento di aiutare le tante Main Street di cui si fregia anche l’ultima cittadina di provincia degli Stati Uniti d’America.

Nella puntata di ieri ho cercato di dare conto degli ultimi, ma solo in ordine di tempo, interventi via carta stampata del premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, e del suo collega altrettanto insignito del prestigioso riconoscimento conferito dall’Accademia svedese, Robert E. Stiglitz, due staffilate che mettono alla berlina l’operato dei due pupilli dell’ex ministro del Tesoro e strapagato top manager di fatto senza incarichi di Citigroup, Robert Rubin, sì proprio il capo dei consiglieri economici della casa Bianca, Larry Summers, e il nuovo responsabile del dicastero del Tesoro ed ex presidente della Fed di New York, Timothy Geithner, un uno-due davvero micidiale condito da analisi prospettiche che rendono il povero Dr. Doom, al secolo Nouriel Roubini, un inguaribile ottimista.

Uno di questi due editoriali pubblicati in lingua italiana e in contemporanea nell’edizione di sabato scorso del quotidiano La Repubblica si sofferma in modo molto acido sulla frase pronunciata dall’eminenza grigia di Wall Street e valente avvocato di affari, che, dopo aver rifiutato il posto di vice di Geithner al Tesoro, ha anche sostenuto che, a suo avviso, i comportamenti nella nuova Wall Street assomiglieranno moltissimo a quelli allegramente praticati prima che prendesse il via, ventuno mesi fa, la tempesta perfetta che è tuttora e pienamente all’opera.

D’altra parte, significherà pure qualcosa il fatto che le quotazioni azionarie delle banche statunitensi maggiormente colpite dalla crisi finanziaria siano mediamente triplicate da quando Obama, Geithner e Bernspan hanno chiarito che non verrà consentito a nessuna altra grande banca americana di fallire, una escalation dei prezzi che non si è arrestata neppure quando, dopo la pubblicizzazione degli stress test, è emerso con chiarezza che servono loro altri 75 miliardi di dollari di nuovo capitale!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog