venerdì 15 maggio 2009

Secondo la BoE, arriva la terza ondata!


Mentre i dati economici apparsi nei primi tre giorni di questa settimana hanno provveduto a gettare secchiate di acqua gelida sui sostenitori, spesso molto autorevoli almeno sulla carta, della svolta sempre dietro l’angolo, credo proprio non sia il caso di sottovalutare la portata della mossa con la quale la Bank of England ha aperto la settimana, decidendo, d’intesa con il cancelliere dello Scacchiere e con l’organismo deputato alla sorveglianza delle banche operanti nel Regno di Sua Maestà Elisabetta II, di iniettare altri 50 miliardi di sterline nelle alquanto esangui casse delle principali banche britanniche, anche se non è dato di sapere se la Barclays abbia deciso di recedere dalla sua orgogliosa posizione e sia stata quindi destinataria di aiuti al pari della seminazionalizzata Royal Bank of Scotland, alla Lloyds Bank e al colosso dal nome esotico ma saldamente basata a Londra, la Hong Shanghai Banking Corporation.

Ma più che l’ennesima distribuzione dei soldi degli sciagurati contribuenti britannici, è interessante soffermarsi sulle motivazioni di tale elargizione, peraltro avvenuta mentre era ancora in atto la cosiddetta corsa dell’orso, in quanto le autorità monetarie del regno unito hanno sentito il bisogno di lanciare un drammatico warning al mercato, un allarme basato sulla convinzione che sia in arrivo una terza, e forse addirittura più micidiale delle precedenti, ondata della tempesta perfetta entrata oramai da qualche giorno nel suo ventiduesimo mese di vita!

Mentre non sono assolutamente d’accordo sulla numerazione attribuita all’ondata, non fosse altro che, dal mio modestissimo osservatorio e forse contagiati dal pessimismo cosmico del Dr. Doom, al secolo Nouriel Roubini, ne ho decisamente contata qualcuna di più, devo confessare di non essere particolarmente sorpreso dall’allarme meteorologico proveniente da Londra, non fosse altro che per la constatazione dell’inutilità degli sforzi compiuti dall’ente federale deputato a stabilire i corretti standard di bilancio in ambito statunitense, in particolare quella sorta di via libera al passaggio dal mark to market al mark to fantasy, una decisione che ha fatto ulteriormente calare, ove ve ne fosse il bisogno, il livello di confidenza degli analisti, degli operatori e dei risparmiatori/investitori nell’attendibilità degli stati patrimoniali e dei correlati conti economici illustrati nei bilanci trimestrali delle sei mega entità creditizie operanti al di là dell’Oceano Atlantico e che include nomi altisonanti quali Citigroup, Bank of America, Wells Fargo Corporation, J.P. Morgan-Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley.

Non vorrei infierire, ma credo proprio che nell’offesa continuata e aggravata all’intelligenza di quanti seguono per motivi professionali gli andamenti del mercato finanziario statunitense, tuttora la costola fondamentale del mercato finanziario globale, vi siano non poche delle ragioni che hanno portato a poco più di un terzo la patrimonializzazione di borsa delle sei entità faticosamente sopravvissute ai sempre più alti marosi della tempesta perfetta, una riduzione che sarebbe in realtà assai maggiore ove si considerassero nel dato precisi anche le capitalizzazione delle entità defunte o assorbite da banche che, a torto o a ragione, sono state considerate dalle autorità monetarie statunitensi come più salde di quelle che si lasciavano fallire, quali Lehman Brothers, Indymac e qualche decina di banche di minori dimensioni, o venire assorbite, spesso per poco più di un piatto di lenticchie, come è avvenuto nel caso di Countrywide, Bear Stearns, Washington Mutual, Wachovia Bank, Merrill Lynch e chi più ne ha ne metta, tutte entità che pure capitalizzavano complessivamente qualche centinaio di miliardi prima che si sviluppasse tutto il male del mondo!

Da modesto redattore del giornale di bordo della flotta finanziaria alle prese con la tempesta più grande e più duratura mai vista a memoria di donna o di uomo, sono costretto a riferire del malcontento che serpeggia sia tra gli addetti ai lavori che nel grande pubblico per questa decisione che va in senso diametralmente opposto alle giaculatorie sulla necessità di maggiore regolamentazione che ci tocca ascoltare dai leaders politici e dai banchieri centrali dei paesi maggiormente industrializzati, discorsi che spesso fanno il paio con l’auspicio che torni la fiducia di investitori e risparmiatori nei titoli della finanza più o meno strutturata emessi da banche, finanziarie, imprese industriali di ogni ordine e ritinge con le lamentazioni ipocrite sull’ovvia evidenza del fatto che tutto ciò non si verifica.

Così come non vorrei proprio che rispondessero al vero le voci che vorrebbero essere in corso un pressing volto a modificare le previsioni dei cosiddetti Credit Default Swaps, quelle armi di distruzione di massa della ricchezza finanziaria che continuano a essere garantiti nel verificarsi o meno delle clausole contenute nei relativi e ponderosi contratti dal consiglio direttivo dell’ISDA, un’ipotesi tutt’altro che remota o peregrina, anche alla luce delle dimensioni davvero mostruose raggiunta da questa particolare forma di mercato e che rappresenta la più probabile causa scatenante di quella Apocalisse che il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, essere oramai stata definitivamente sventata.

Ma quello che più preoccupa gli esperti del settore finanziario è rappresentato dai risultati non del tutto lusinghieri evidenziati dai bilanci trimestrali delle banche anche dopo che le stesse sono state esentate, seppure in misura e in forme diverse a seconda che operino al di qua o al di là dell’Oceano Atlantico, dal valutare le montagne di titoli più o meno tossici della finanza strutturata a quei valori infinitesimali espressi a livello di mercato, sempre che un mercato per alcune specie di questi titoli ancora esista, cosa della quale sono in molti a dubitare fortemente.

Un esempio di queste performance deludenti è rappresentato dai conti trimestrali di Unicredit Group e da quelli di Intesa-San Paolo, che presentano entrambi significative riduzioni del risultato netto rispetto allo stesso trimestre del 2008, flessioni del 58 e del 38 per cento rispettivamente.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog