sabato 20 giugno 2009

Geithner partorisce una riforma finta!


Come spesso accade, non solo nel corso di una tempesta perfetta che si appresta a celebrare il suo secondo compleanno, la montagna delle chiacchiere sulla indilazionabile riforma del mercato finanziario statunitense ha partorito il più classico dei topolini, una pseudo riforma che prevede, tra l’altro, di dare maggiori poteri a quello stesso sistema della riserva federale che avrebbe, stando almeno alla testimonianza giurata del numero uno operativo di Bank of America, Kenneth Lewis, forzato la mano all’intero Board of Directors di BofA perché acquistasse Merrill Lynch senza fare troppe storie e, soprattutto, senza indagare troppo sulla davvero pessima qualità degli assets della ex investment bank che Bernspan e Paulson avevano impacchettato per loro, il tutto nella stessa notte nella quale i due decisero, senza pensarci nemmeno troppo, di lasciare fallire la banca che un tempo apparteneva ai fratelli Lehman.

Non voglio assolutamente sottovalutare lo sforzo compiuto da Timothy Geithner e i suoi più stretti collaboratori, ma credo proprio che il notissimo avvocato d’affari che ha rifiutato di fare parte del gruppo di cinque vice al nuovo ministro del Tesoro finirà proprio per avere ragione nel suo vaticinio sulla sostanziale uguaglianza tra il modo di operare di Wall Street in futuro rispetto alle modalità alquanto scellerate che ci hanno portati dritti, dritti al punto in cui siamo, riecheggiando, ovviamente a modo suo, quanto ebbe a scrivere Tomasi di Lampedusa nel suo più celebre romanzo quando affermava, cito a memoria, che è necessario che tutto cambi, affinché nulla, in realtà, muti davvero!

Con la lucidità che contraddistingue i grandi anche quando stanno per celebrare il proprio centesimo anno di vita, Paul Samuelson, economista e premio Nobel nel lontano 1970, mostra di apprezzare lo sforzo regolatore della nuova amministrazione, ma mette in guardia Obama dal fuoco di sbarramento lobbistico che banche, compagnie di assicurazioni e le altre entità protagoniste del mercato finanziario a stelle e strisce foraggeranno alla grande, un’ipotesi che condivido appieno e che costituisce la seconda ragione per la quale mi risparmio la lettura di quel testo di 88 pagine che Tim sta perorando con tutto se stesso, ma che, da ex presidente della Fed di New York, sa benissimo che assomiglierà ben poco al testo che, prima o poi, verrà licenziato dai due rami di un Congresso di cui si può dire tutto meno che sia insensibile alle buone ragioni di Big Finale, Big Pharma, Big Tabacco, Big Oil e di tutte le altre Big che vi vengono in mente, una sensibilità del tutto bipartisan, come è stato dimostrato giovedì in Senato con quell’addolcimento della riforma del sistema sanitario che ha mandato istantaneamente e non casualmente alle stelle i titoli del settore assicurativo e di quello sanitario, azioni a lungo penalizzate proprio dalla relativa incisività del provvedimento originario.

Nel frattempo, è stato finalmente arrestato dalle donne e dagli uomini del FBI il miliardario finanziare Stanford, uomo saggiamente munito di un doppio passaporto e che e ieri è comparso davanti a un giudice federale per rispondere di una truffa da otto miliardi di dollari per titoli emessi off shore e che, secondo quanto sostenutola dalla Securities & Exchange Commission, non erano poi così sicuri come dicevano le eleganti brochures sottoposte ai numerosi clienti che li avevano sottoscritti, un arresto avvenuto mesi dopo l’emissione del mandato di cattura, un tempo certamente sufficiente per dirottare in luoghi sicuri come Hong Kong e Singapore (luoghi noti per l’abitudine dei giudici locali di rispedire al mittente le noiose richieste di rogatoria) le disponibilità che avrebbero consentito agli alquanto disperati investitori truffati di recuperare in tutto o in parte il presunto maltolto!