venerdì 26 giugno 2009

Ma è giusto che sia il solo Bernspan a stare sulla graticola del Senato? (prima parte)


Alla mossa inusuale fatta mercoledì dalla Banca Centrale Europea, l’ immissione di liquidità a un anno per oltre 440 miliardi di euro a favore delle banche operanti nell’area europea a fronte di titoli più o meno tossici della finanza strutturata ha risposto ieri il sistema della riserva federale statunitense con l’annuncio della riduzione del suo sforzo in sostituzione delle banche a stelle e strisce di ogni ordine e grado, un ruolo che, seppur necessario vista la prosecuzione dello stato di semicongelamento di mercati importanti quali quello delle Commercial Papers, ha posto la Fed in una posizione del tutto anomala nel pur variegato mondo delle banche centrali dei principali paesi industrializzati.

Certo, ieri Bernspan aveva tutti altri grilli per la testa, sottoposto come era a un vero e proprio fuoco di fila di domanda ostili da parte di esponenti del partito repubblicano nel corso della sua attesa audizione sulle presunte energiche pressioni da lui o da suoi stretti collaboratori esercitate nei confronti del numero uno della Bank of America, Kenneth Lewis, pressioni rese note dallo stesso Lewis in precedenti dichiarazioni e nel corso di un’audizione presso la stessa commissione del Senato che ieri ha messo sulla graticola quello che un tempo era un mite professore di storia economica presso il prestigioso ateneo di Princeton, ma che dal 2006 si è trasformato in una sorte di clone del suo predecessore e maestro, Alan Greenspan, l’uomo un tempo osannato dagli addetti ai lavori, ma che ora viene visto dai più come uno dei principali responsabili della tempesta perfetta ininterrottamente in corso dal 9 agosto del 2007!

Credo che, nel corso di questi lunghissimi e difficilissimi ventitré mesi, Bernspan abbia riflettuto molto sulla estrema relatività del tempo, anche perché sarà stato per lui molto, ma molto difficile mettere a confronto le decadi trascorse passeggiando per i vialetti per i vialetti del ‘suo’ ateneo insieme a colleghi e discepoli, con i tre anni trascorsi al vertice di quel sistema della riserva federale che aveva conosciuto in precedenza solo per una breve permanenza in una delle banche che compongono il sistema, quella di Philadelphia, un’esperienza che non ha lasciato grandi tracce e che non lo ha certamente reso il naturale successore del Maestro, del quale ha scimmiottato, e non sempre bene, l’attitudine a tenersi pervicacemente behind the curve, se non, addirittura, behind the market.

Certo, uno degli errori più gravi commessi dall’uomo che viene oggi fermamente difeso da Barack Obama e da Warren Buffett è stato quello di pensare che la riduzione a zero dei tassi e l’inondazione del mercato con migliaia di miliardi di dollari di liquidità fosse condizione necessaria e anche sufficiente per creare le premesse per una ripresa in tempi relativamente rapidi, scambiando nel più classico dei modi gli effetti con le cause, il che è particolarmente grave per uno studioso che ha dedicato la vita a studiare le crisi economiche e finanziarie del passato, esperienze spesso tragiche ma che hanno lasciato lezioni che Bernspan ha dimostrato di non comprendere, così come ha dimostrato di avere un’idea davvero vaga del contributo del mai troppo compianto John Maynard Keynes, un contributo forgiato proprio alla luce della tragica e non inevitabile esperienza della Grande Depressione.

L’uscita di scena contemporanea degli altri due corresponsabili della gestione della tempesta perfetta, l’ex ministro del Tesoro Hank Paulson e l’ex presidente George W. Bush, ha lasciato solo Bernspan,, ma nella puntata di domani del Diario della crisi finanziaria mi occuperò dell’ex presidente della Fed di New York e attuale ministro del Tesoro, Timothy Geithner.