lunedì 27 luglio 2009

Ben Bernanke spiega perché è stato costretto a trasformarsi in Benrspan!


Quella che si apre oggi è una settimana molto importante per capire quale direzione prenderanno i mercati dopo una serie positiva di dieci sedute a Wall Street che ha fatto seguito a una seria correzione iniziata a metà giugno ed esauritasi a metà del mese in corso, una serie positiva che ha consentito al Dow Jones di superare la soglia psicologica dei 9 mila punti, mentre il Nasdaq ha mancato il sorpasso di quella posta a 2 mila per la netta delusione rappresentata dai conti del quarto trimestre dell’anno fiscale di Microsoft, il gigante dell’informatica da tempo entrato nell’Olimpo del Dow Jones, ma le cui sorti influenzano in modo significativo le tante società del settore presenti nell’altro listino.

Poiché si tratta anche della settimana nella quale si dovrebbe capire se la maggioranza dei piccoli e medi detentori di bonds di CIT Group decideranno di accettare le condizioni loro proposte dalla holding bancaria, una condizione essenziale, dopo il deal da 3 miliardi di dollari raggiunto con i grandi creditori, per evitare quel ricorso alla protezione offerta dalla legge fallimentare che i vertici di CIT non si sentono ancora di escludere, un’incertezza che, assieme a una altra serie di ragioni, è alla base delle non esaltanti performance delle azioni delle principali banche statunitensi nelle ultime sedute della settimana scorsa.

Un’idea chiara della crucialità del passaggio che abbiamo di fronte a meno di due settimane dal compimento del secondo anno di vita della tempesta perfetta, la fornisce la davvero inusuale decisione del presidente del sistema della riserva federale di sottoporsi a un fuoco di fila di domande da parte dei cittadini di Kansas City, una significativa innovazione nel sistema comunicativo della Fed e che fa seguito all’altrettanto poco protocollare apparizione in marzo di Bernspan alla fortunata trasmissione televisiva Sixty Minutes, tutti segnali inequivocabili della volontà del presidente in scadenza all’inizio del prossimo anno di volersi unire allo sforzo comunicativo della nuova amministrazione sull’alquanto scottante tema della lunghissima crisi finanziaria e sui pesanti riflessi che la stessa sta avendo su redditi, investimenti, occupazione e conti pubblici negli Stati Uniti d’America e nel resto del pianeta.

Per la terza volta in un breve volgere di tempo, Bernspan è tornato a essere Ben Bernanke, il professore del prestigioso ateneo di Princeton che ha dedicato buona parte della sua vita allo studio delle crisi finanziarie del passato e che si è trovato catapultato al vertice della Federal Reserve poco prima che crollasse il castello di carta eretto con determinazione degna di miglior causa da Alan Greenspan e favorito dai concomitanti fenomeni di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia sviluppatisi nel corso di un lungo periodo che va dalla metà degli anni Ottanta alla cruciale estate del 2007.

Nel corso dell’incontro protrattosi ieri per oltre un’ora in un’aula molto affollata del municipio di Kansas City, Bernanke ha dichiarato di condividere il disgusto dei cittadini americani per le folli scommesse effettuate nel tempo dalle principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense e, ovviamente, di quello globale, un sentimento che lo avrebbe spinto anche a lasciar fallire alcune di queste grandi entità, ma che, turandosi il naso, ha favorito i salvataggi delle banche e delle compagnie di assicurazione perché non agire avrebbe provocato conseguenze davvero drammatiche per l’economia degli Stati Uniti e per quella globale, con il rischio concreto di passare alla storia come il presidente della Fed che aveva consentito una riedizione della Grande Depressione!