venerdì 3 luglio 2009

Il Non Farm Payrolls gela Wall Street!


In perfetta sintonia con il titolo della puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria (Americani in cerca di casa e lavoro), è giunto un uno-due micidiale rappresentato dalla perdita netta di 467 mila posti di lavoro nel mese di giugno e una sostanziale invarianza al di sopra delle 600 mila unità (614 mila, per la precisione) dei sussidi settimanali di disoccupazione, mentre il tasso di ufficiale di disoccupazione passa dal 9,4 al 9,5 per cento, un dato di uno 0,1 per cento inferiore a quello segnalato sempre ieri nell’Unione Europea e che porta a poco meno di 15 milioni di disoccupati ufficiali e a 6,7 milioni il dato sullo stock dei riceventi sussidi di disoccupazione in maniera continuativa.

Non c’è che dire, siamo di fronte all’ennesima doccia gelata sulle speranze dei tanti analisti e giornalisti embedded, quelli che si sforzano, un giorno sì e l’altro pure, di convincere risparmiatori e investitori che il peggio è oramai passato e che basterà aspettare la fine dell’estate per assistere alla ripresa economica, anche se riesce loro sempre più difficile spiegarlo ai 26 milioni di donne e di uomini statunitensi che rappresentano il vero esercito dei disoccupati, un dato tutt’altro che segreto e che viene illustrato negli stessi dispacci di agenzia che riportano i dati ufficiali, anche se colpisce davvero la flessione del numero di ore lavorate che si ferma a 33 ore, il che vuol dire che, oltre a licenziare e a non assumere, le imprese americane stanno facendo poco ricorso al lavoro straordinario dei lavoratori superstiti.

Quello che è davvero impressionante nella nuova falcidia di posti di lavoro registrata nel mese di giugno è il peggioramento che riguarda tutti i settori produttivi sia pubblici che privati, dalle costruzioni al settore manifatturiero, dal settore sanitario ai dipendenti della pubblica amministrazione, per i quali ultimi la perdita dei posti di lavoro è pari al quintuplo di quanto registrato nel mese di maggio, una situazione non destinata a migliorare dopo la dichiarazione di emergenza fiscale fatta dal Governatore della California, Arnold Swarzenegger, che è un po’ l’anticamera del default di uno Stato che, ove venisse considerato una nazione, si collocherebbe, o per meglio dire si collocava, al sesto posto tra le economie del pianeta, uno Stato che sta appena peggio di altri duramente colpiti dal meltdown immobiliare e dalla chiusura a raffica di impianti industriali!

Come ho avuto più volte modo di ricordare nei ventuno mesi in cui mi sono assunto l’onere di tenere il diario di bordo della malmessa flotta finanziaria nella tempesta perfetta, il problema non è rappresentato soltanto dall’emorragia continua di posti di lavoro al netto delle nuove assunzioni, 6,5 milioni dal dicembre del 2007, quanto dal fatto che, in una parte rilevante di casi, si trattava di posti di lavoro ben retribuiti sia in termini salariali, sia sotto il profilo previdenziale, che dal punto di vista dei programmi di assistenza sanitaria, posti ‘pesanti’, per così dire, e che spesso vengono rimpiazzati, quando va bene, da impieghi da Wal Mart o in una delle tante catene di fast food di cui è piena l’America.

Quando ci si interroga sulla data fatidica in cui avverrà la ripresa, sarebbe utile pensare a quale potrà essere lo stato della domanda effettiva in presenza di un processo di proletarizzazione della classe media statunitense quale non si era mai visto neppure quando quella grande nazione ‘subiva’ l’invasione di prodotti giapponesi, cinesi, europei e da quasi ogni parte del mondo, ma allora il depauperamento non avvenne grazie alla moltiplicazione dei pani e dei pesci operata dalla finanza più o meno strutturata!